Il possessore è colui che compie su di una cosa un'attività riconducibile nell'ambito delle facoltà spettanti al proprietario o al titolare di un altro diritto reale.
Il possessore può esercitare questo diritto in prima persona o per mezzo di altri che hanno la detenzione della cosa.
Questa, in sostanza, è la definizione di possessore che può desumersi dalla nozione di possesso declinata dall'art. 1140 c.c.
Si parla di possessore di buona fede per distinguerlo da quello di mala fede.
Ai sensi dell'art. 1147 c.c.
E' possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto.
La buona fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave.
La buona fede e presunta e basta che vi sia stata al tempo dell'acquisto.
Chiaramente è in mala fede chi, fin dall'inizio del possesso, sa che sta ledendo l'altrui diritto.
Tizio acquista da Caio la proprietà di un bene poiché dagli atti pare che quest'ultimo sia l'effettivo proprietario quando, invece, ad essere veramente tale è Sempronio.
L'acquisto di buona fede, se pacifico e duraturo, può portare all'usucapione del bene.
Può accadere, poi, che la situazione di possesso, insomma la situazione di fatto descritta dall'art. 1140 c.c., venga ad essere contrastata da chi si trova nella situazione di poterlo fare. Per tornare all'esempio di prima, si pensi a Sempronio che, con un'azione di rivendicazione (art. 949 c.c.), torni ad avere la piena disponibilità (materiale e giuridica della cosa).
In questi casi può accadere che il possessore, sia esso in buona o male fede, abbia compiuto dei miglioramenti alla cosa oggetto del possesso.
La legge, nello specifico l'art. 1150 c.c., in tali ipotesi riconosce al possessore il diritto ad un'indennità, purché tali miglioramenti sussistano al tempo della restituzione.
Non solo: secondo quanto detto dalla Suprema Corte di Cassazione, in più occasioni e recentemente con la sentenza n. 27408 del 6 dicembre 2013, i miglioramenti, non devono essere illegittimi.
Nel caso risolto nell'ultima sentenza citata, il possessore aveva realizzato dei capannoni per l'allevamento del bestiame in un fondo non proprio e reclamava, qualora fosse stato costretto a restituirli, un'indennità; indennità che gli era stata negata in quanto i predetti immobili era risultati essere abusivi. Da qui il suo ricorso alla Cassazione. Bocciato.
Si legge in sentenza che giustamente la pronuncia impugnata " ha escluso in radice la spettanza del reclamato indennizzo per i supposti miglioramenti, avendo ritenuto che non ne sussistessero i presupposti, dal momento che, peraltro, i capannoni funzionali all'esercizio dell'attività di allevamento di bovini erano stati realizzati in violazione della normativa urbanistica.
A tal proposito - hanno chiosato da piazza Cavour - si deve, infatti, porre in risalto come la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 8834 del 1997) abbia condivisibilmente statuito che al possessore del fondo non spetta indennizzo per addizioni consistenti in edifici abusivamente eretti sullo stesso, non potendo ammettersi alcun indennizzo per lo svolgimento di un'attività illecita (anche sotto il profilo penale) (Cass. 6 dicembre 2013, n. 27408).