Con la sentenza n. 13883 depositata in cancelleria in data 9 giugno 2010, la Corte di Cassazione “ presta convinta adesione” (così Cass. 9 giugno 2010 n. 13883) a quell’indirizzo, ormai considerato ius receptum (ossia principio di diritto acquisito), secondo cui anche ai così detti supercondomini si applica la disciplina dettata dal codice civile (art. 1117-1139 c.c.) in materia di condominio negli edifici.
Il supercondominio (nozione elaborata dalla dottrina in ragione dell’evoluzione urbanistica ed architettonica) altro non è che quel complesso di edifici, che di per sé potrebbero costituire separati condomini, che hanno in comune una serie di cose o impianti tra quelle elencate (in modo esemplificativo) dagli artt. 1117 c.c.
Il dubbio che è sorto era il seguente: a queste tipologie edilizie è applicabile la normativa dettata per la comunione in generale o quella che disciplina il condominio?
La risposta, in quella che può essere considerata la sentenza di riferimento in materia, è stata la seguente: “ le norme in materia di condominio non considerano l'edificio unitariamente ma, nell'ambito della costruzione, qualificano separatamente due tipi di beni, che formano oggetto di differenti diritti: i piani e le porzioni di piano in proprietà solitaria e le cose, gli impianti ed i servizi in proprietà comune.
Beni distinti, legati tra loro dal collegamento strumentale che, di fatto, consiste nella incorporazione materiale o nella destinazione funzionale.
Del resto, secondo la valutazione sociale ed economica, le cose, gli impianti ed i servizi comuni non si usano e non si gestiscono in funzione dell'intero edificio, ma in ragione delle singole unità immobiliari in proprietà solitaria.
Poiché il godimento degli appartamenti e degli altri locali raffigura lo scopo, la ragione ultima dell'uso individuale e della gestione collegiale delle parti comuni, non sarebbe coerente ritenere che l'intero edificio costituisca il termine del collegamento strumentale previsto dall'art. 1117 cod. civ.[...] Orbene, alle cose, agli impianti ed ai servizi di uso comune esterni al fabbricato, ma collegati dalla relazione di accessorietà con i piani o con le porzioni di piano siti in diversi edifici, si applicano le norme specifiche sul condominio proprio sulla base della relazione di accessorio a principale: considerato, altresì, che il collegamento strumentale tra i beni in comune e quelli propri si riproduce nel legame tra l'interesse relativo alle parti comuni e quello afferente alle unità immobiliari in proprietà solitaria” (Cass. 7 luglio 2000 n. 9096).
Sostanzialmente secondo i giudici del Supremo Collegio per l’applicazione delle norme di cui agli artt. 1117 e ss c.c., è indifferente che le cose siano incorporate nell’edificio potendo le stesse essere poste al suo esterno ed essere comuni anche ad altri edifici. In tal caso queste beni saranno in condominio tra i vari edifici.
Nel caso di specie la controversia è ruotata attorno alla “supercondominialità” dell’impianto idrico, ad una rottura dello stesso ed alla conseguente ripartizione delle spese per l’abnorme consumo.
In sintesi: secondo il supercondominio il punto in cui si era verificata la rottura comportava l’attribuzione degli oneri derivanti dal succitato maggior consumo ad una sola palazzina tanto che l’assemblea del supercondominio deliberava in tal senso.
Ciò perché in virtù del contenuto dell’art. 1117 n. 3 c.c. gli impianti sono di proprietà comune fino al punto di diramazione degli stessi verso i locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini.
Nel caso di specie, il punto di rottura era stato individuato al di là di questa diramazione.
Secondo alcuni condomini, invece, al supercondominio non sono applicabili le norme di cui agli artt. 1117 c.c. e ss.
Ne seguiva un giudizio nel quale in entrambi i gradi di merito il condominio risultava vincitore.
La Corte di legittimità, confermando la decisione contenuta nell’impugnata sentenza della Corte d’appello di Firenze, faceva propri i principi espressi nella succitata sentenza n. 9096/00 e specificava che " devesi ritenere applicabile nella specie l'art. 1117 c.c., n. 3, secondo cui gli impianti per l’acqua devono presumersi di proprietà comune fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini".In conseguenza di ciò " posto che la rottura si era verificata in un preciso punto nelle tubazioni afferenti a singoli edifici, la comunione non operava più e la spesa per il consumo abnorme conseguente non poteva essere ripartita tra tutti i partecipi del supercondominio" (Cass. 9 giugno 2010 n. 13883).