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Nel palazzo storico il parere tardivo della Soprintendenza non ferma l'installazione dell'ascensore nel cavedio

Il parere della Soprintendenza viene sottoposto ad una disciplina speciale per le opere finalizzate a rimuovere barriere architettoniche.
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 
28 Set, 2023

Il codice civile, all'articolo 1117 c.c. (che è quello che, solamente in via esemplificativa, elenca le parti di un edificio da considerarsi comuni in assenza di diversa disposizione dell'atto d'acquisto o del regolamento contrattuale), non menziona espressamente il cavedio.

Tuttavia il cavedio - talora denominato chiostrina, vanella o pozzo luce - è un cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari (quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi), e perciò sottoposto al medesimo regime giuridico del cortile, espressamente contemplato dall'art. 1117, n. 1 c.c. tra i beni comuni, salvo specifico titolo contrario" (Cass. civ., sez. II, 07/04/2000, n. 4350).

Non rileva, a contrario, il fatto che al cortile, o cavedio, si possa accedere solo tramite una proprietà individuale (Cass. civ, sez. II, 23/10/2020, n. 23316), poichè ai fini dell'esclusione della regola attributiva della proprietà di cui all'art. 1117 c.c. occorre la prova che il bene, per le sue caratteristiche strutturali, risulti destinata al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (Cass. civ., sez. II, 08/09/2021 n. 24189). Per vincere la presunzione legale di proprietà comune delle parti dell'edificio condominiale indicate nell'art. 1117 c.c. non sono sufficienti invece il frazionamento e l'accatastamento e la relativa trascrizione, eseguiti su richiesta del venditore-costruttore.

Infatti, si tratta di un atto unilaterale di per sé non idoneo a sottrarre il bene alla comunione condominiale.

Installazione lecita di un ascensore nel cavedio

Secondo il principio di solidarietà condominiale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto di un diritto fondamentale, che prescinde dall'effettiva utilizzazione da parte di costoro degli edifici interessati.

In tale prospettiva una sfumata, ridotta "fruibilità" di porzioni comuni dell'edificio, laddove indispensabile ed inevitabile per la collocazione del manufatto, è destinata ad assumere valenza recessiva, a meno che l'innovazione non comporti che alcune porzioni comuni dell'immobile diventino inservibili, ovvero che la modifica pregiudichi od esponga a rischio la stabilità e la sicurezza del fabbricato.

Alla luce di quanto sopra è stata considerata pienamente legittima una delibera che ha autorizzato l'installazione nel cavedio un piccolo ascensore unipersonale (dimensioni 80 x 90 cm. per una carrozzella con persona); nel caso in questione l'unico luogo possibile di alloggiamento del manufatto nell'edificio (sviluppantesi in cinque piani fuori terra) è risultato il centro del cavedio che avrebbe occupato 1,47 mq rispetto ai 20 mq. ed oltre del cortile interno; in ogni caso l'ascensore non toglieva luce e aria (avendo il cavedio copertura in vetro) e non erano ravvisabili pericoli alla stabilità e sicurezza del fabbricato: infatti per collocare l'impianto non risultava assolutamente necessario perforare il solaio, mentre le putrelle di sostegno sarebbero state poste in opera sotto il solaio saldate a quelle esistenti (Tribunale Vincenza 1 luglio 2021 n. 1370).

Inutile parere tardivo della Soprintendenza

In un condomino storico, accogliendo la richiesta di due condomini affetti da gravi patologie, l'assemblea condominiale approvava la realizzazione di un ascensore nella chiostrina interna dell'edificio, con progetto trasmesso alla competente Soprintendenza per l'acquisizione dell'autorizzazione ex art. 21, co. 4 D. lgs. n. 42/2004.

La Soprintendenza adottava un parere negativo, valutando come eccessivo "l'ingombro effettivo dell'ascensore all'interno della chiostrina". Il condominio e i due coniugi insorgevano contro il predetto parere negativo, chiedendone l'annullamento.

I ricorrenti lamentavano, tra l'altro, l'intervenuta formazione del silenzio assenso sulla richiesta di autorizzazione, essendo decorso il termine di legge (120 giorni dalla data di presentazione dell'istanza) previsto dalla normativa speciale sull'abbattimento delle barriere architettoniche.

Il Tar Lazio ha dato ragione ai ricorrenti. Infatti, ai sensi del citato art. 5 della l. 9 gennaio 1989, n. 13, nel caso in cui per l'immobile sia stata effettuata la notifica ai sensi dell'articolo 2 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, sulla domanda di autorizzazione prevista dall'articolo 13 della predetta legge la competente soprintendenza è tenuta a provvedere entro centoventi giorni dalla presentazione della domanda, anche impartendo, ove necessario, apposite prescrizioni.

Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 4, commi 2, 4 e 5; I giudici amministrativi hanno affermato che, interpretando tale disposizione alla luce del quadro normativo attualmente in vigore, in cui le disposizioni di tutela dei beni di interesse culturale sono state recepite all'interno del Codice di cui al d. lgs. n. 42/2004, si desume che, laddove si tratti di eseguire una innovazione funzionale all'eliminazione delle barriere architettoniche da attuare in edifici gravati da un vincolo di tutela monumentale, fermo restando l'esigenza di conseguire la preventiva autorizzazione della competente Soprintendenza ai sensi dell'art. 21 del medesimo Codice, tale organo ministeriale dovrà pronunciarsi sulla relativa richiesta nel termine di 120 giorni.

Le conseguenze derivanti dall'utile decorso di tale lasso temporale sono quelle previste dal comma 2 del precedente art. 4 (a sua volta applicabile agli interventi da effettuarsi su "immobile soggetto al vincolo di cui all'articolo 1 della legge 29 giugno 1939, n. 1497", ossia gravato da vincolo paesaggistico), al quale il citato art. 5 espressamente rinvia e che espressamente dispone che "La mancata pronuncia nel termine di cui al comma 1 equivale ad assenso" (Tar Lazio 24 luglio 2023 n. 12445).

Sentenza
Scarica Tar Lazio 24 luglio 2023 n. 12445
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