La situazione oggetto della sentenza in commento rappresenta un caso tipico nel panorama condominiale, nel quale realizzazione di lavori extra-contratto oppure opere eseguite non a regola d'arte, anche a causa dell'utilizzo di materiali non rispondenti alle caratteristiche indicate nel capitolato di appalto, sono i motivi più comuni di contestazione.
Revocato il decreto ingiuntivo emesso in favore dell'appaltatore se le varianti non sono state oggetto di delibera assembleare. Fatto e decisione
Il Tribunale di Cassino, con sentenza n. 385 pubblicata il 27 marzo 2023, ha accolto l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso in favore della ditta appaltatrice che aveva effettuato lavori sulle parti comuni di un edificio.
L'opponente Condominio, eccepita l'infondatezza ed illegittimità della pretesa avanzata dall'opposta, per quanto di specifico interesse, chiedeva in via principale la revoca del decreto ingiuntivo; in subordine, ferma restando la richiesta di revoca, l'eventuale ricalcolo del credito azionato dall'appaltatrice; in via riconvenzionale, accertata e dichiarata la cessazione degli effetti del contratto di appalto per inadempimento della convenuta, condannare la stessa al pagamento della penale per ritardata consegna dell'opera come da specifica clausola contrattuale.
La ditta appaltatrice si costituiva contestando quanto dedotto nell'atto di opposizione ed il giudice designato, disposta la CTU finalizzata a descrivere se i lavori eseguiti corrispondessero a quelli appaltati, si pronunciava per la fondatezza della domanda.
Il convincimento del giudice si fondava, in primis, sulle prove testimoniali, dalle quali era emersa la parzialità delle opere eseguite, ma soprattutto che gli interventi extra contratto non erano mai stati assentiti dall'assemblea dei condomini, né da essa erano mai stati ratificati.
Né la ditta aveva prodotto alcun documento teso a provare l'autorizzazione scritta all'esecuzione di opere aggiuntive a quelle contrattualmente previste.
Quindi la stessa CTU aveva accertato come i lavori effettuati corrispondessero solo in parte a quelli appaltati, riscontrando non solo una serie di varianti prive di approvazione da parte del Condominio ma anche altrettanti vizi nelle lavorazioni.
Il Tribunale, proprio per la complessità della questione non riteneva di discostarsi dalle conclusioni del perito d'ufficio del quale accoglieva in pieno la valutazione delle opere realizzate e la quantificazione dei relativi costi.
Ne conseguiva la revoca del decreto ingiuntivo e l'accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal Condominio per inadempimento contrattuale della ditta appaltatrice che, da un lato, non aveva ultimato le opere alla stessa commissionate e, dall'altro, aveva commesso palesi errori nell'esecuzione del contratto di appalto.
Appaltatore non pagabile per varianti non autorizzate dal condominio
Dalla motivazione della decisione assunta dal Tribunale di Cassino, senza dubbio corretta, emerge una questione che è spesso al centro di contestazioni tra appaltatore e Condominio allorché al momento della resa dei conti (ma spesso anche nei momenti intermedi, corrispondenti alla sottoscrizione dei c.d. SAL) risulta una falla nell'esecuzione dei lavori, nel senso di una cattiva realizzazione degli stessi (ad esempio: non a regola d'arte oppure utilizzazione di materiali non corrispondenti a quelli indicati nel contratto di appalto), oppure di effettuazione di opere non approvate dall'assemblea.
In questo caso di parla di "varianti" apportate, unilateralmente dall'appaltatore, al progetto contenuto nel contratto di appalto che non possono essere oggetto di pagamento se non hanno avuto la preventiva approvazione del committente che, in questo caso, è il Condominio.
Come rilevato nella sentenza la norma di riferimento è l'art. 1659 c.c., secondo il quale l'appaltatore non può apportare variazioni alle modalità convenute dell'opera se il committente non le ha autorizzate per scritto.
La ratio della norma è quello di assicurare che il risultato sia conforme, anche nei particolari, a quello che il committente si è proposto.
Infatti, è stato di recente affermato che "in tema di variazioni eseguite autonomamente dall'appaltatore, fermo restando il principio di cui all'art. 1659 c.c. che vieta all'appaltatore di utilizzare materiali o forme diverse da quelle previste, ancorché di maggior pregio, costui non può sostituirsi al committente nella scelta delle modalità esecutive idonee a caratterizzare l'opera a lui commissionata secondo quanto manifestato dallo stesso committente al momento della conclusione del contratto, considerato che la norma citata presidia la conformità del risultato alle aspettative di questo ultimo.
Nondimeno, può escludersi l'illiceità della variazione allorché questa, secondo il prudente apprezzamento del giudice, rivesta scarsa rilevanza rispetto alla prestazione dedotta in contratto" (Cass., sez. 6-2, 9 novembre 2021, n. 32828).
Va, tuttavia, evidenziato anche il caso delle "variazioni necessarie del progetto" di cui all'art. 1660 c.c., che contempla l'ipotesi in cui, durante l'esecuzione del contratto, sia necessario apportare modifiche al progetto, talché all'appaltatore è concesso procedervi anche senza l'autorizzazione del committente.
In questo caso, mancando un accordo tra le parti in ordine ai relativi oneri aggiuntivi "spetta al giudice accertarne la necessità e determinare il corrispettivo delle relative opere, parametrandolo ai prezzi unitari previsti nel preventivo ovvero ai prezzi di mercato correnti" (Cass. sez. 2, 4 maggio 2017, n. 10891).
E sicuramente la necessità può essere costituita dall'imposizione, in corso dei lavori, di disposizioni normative inderogabili senza il cui rispetto l'opera non può essere portata a termine.
In tal caso il prezzo delle varianti necessarie non rientra nel corrispettivo pattuito per l'appalto e deve essere determinato dal giudice (Cass., sez. 2, 4 maggio 2011, n. 9796).