I criteri generali di riparto delle spese condominiali, come è noto, sono previsti dall'art. 1123 c.c. Essi si impongono ai condomini, che non possono derogarvi a maggioranza. Eventuali delibere che suddividano le spese tra i comproprietari in modo difforme dalla legge, per quanto adottate con quorum elevati, sono quindi annullabili e, in alcuni casi, addirittura nulle.
L'unico modo per fissare una diversa misura di contribuzione alle spese comuni da parte dei comproprietari è quindi quella di arrivare a una decisione unanime, perché questa possibilità è espressamente prevista dalla citata disposizione (che parla di un "diverso titolo").
Il più delle volte ciò accade per mezzo di un regolamento c.d. contrattuale, proprio perché il suo contenuto si intende accettato da tutti i condomini e, per questo motivo, può derogare alle previsioni di legge.
È tale il regolamento stilato dal costruttore dell'edificio e richiamato nei singoli atti di acquisto delle unità immobiliari delle quali si compone il condominio. Oppure può trattarsi di un regolamento adottato successivamente dai condomini all'unanimità.
Una volta stabilito con consenso unanime un criterio di riparto diverso da quello previsto dalla legge, lo stesso può essere nuovamente cambiato dai condomini, ma pur sempre con l'accordo di tutti. La decisione può essere assunta in assemblea, laddove siano presenti tutti i condomini e vi sia un voto unanime.
Ma i comproprietari possono trovare l'accordo anche al di fuori della sede assembleare, stipulando uno specifico contratto.
Ecco perché qualora alla deliberazione che modifica i criteri di riparto sia mancato il voto di uno o più condomini, in quanto assenti all'assemblea, la stessa, pur essendo di per sé illegittima, può comunque portare alla valida sostituzione del criterio regolamentare laddove il consenso alla variazione da parte dei condomini assenti pervenga successivamente, andandosi per così dire a saldare con quello già espresso dagli altri comproprietari e documentato nella delibera.
In questo caso, infatti, la somma dei consensi, in parte espressi dai condomini in assemblea e in parte al di fuori di essa, mediante adesione al deliberato assembleare, danno vita a un accordo negoziale che, come visto in precedenza, può validamente cambiare il contenuto della clausola regolamentare e derogare ai criteri generali di cui all'art. 1123 (costituisce, quindi, il "diverso titolo").
È questa l'interessante riflessione che può trarsi dalla recente ordinanza n. 21086 della seconda sezione civile della Corte di Cassazione dello scorso 4 luglio 2022.
Controversia sulla modifica del criterio di riparto delle spese condominiali
Nella specie la Corte di Appello di Milano aveva rigettato il gravame avanzato da una società condomina avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Milano aveva respinto l'opposizione al decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi condominiali.
L'opponente, contestando l'importo delle somme ingiunte, aveva infatti domandato la declaratoria di nullità di una precedente deliberazione assembleare con la quale era stato modificato, senza il necessario consenso unanime di tutti i condomini, il regolamento condominiale, il quale prevedeva originariamente la riduzione di 1/6 delle spese in favore dei proprietari dei locali negozi.
La Corte di Appello aveva però rilevato che, pur essendo vero che all'assemblea che aveva deliberato la modifica del predetto criterio di riparto regolamentare avevano partecipato nove condomini su dieci, per un totale di 963 millesimi, era anche vero che l'unico condomino assente aveva successivamente dichiarato di aderire a tale modifica, dovendosi quindi la stessa ritenere valida ed efficace.
Principi della Cassazione sulla validità delle delibere condominiali
La Cassazione, nell'esaminare il ricorso depositato dalla predetta società condomina, ha confermato la decisione, evidenziando come nel caso in questione dovesse essere assegnato rilievo non tanto all'attività dell'assemblea, quanto alla formazione di un consenso negoziale, che ben può manifestarsi al di fuori della riunione, anche mediante successiva adesione di una parte al contratto, con l'osservanza della forma prescritta per quest'ultimo.
I giudici di legittimità hanno anche evidenziato che se una delibera di condominio deve assumersi all'unanimità ed è volta, in realtà, ad esprimere la volontà contrattuale nei reciproci rapporti tra i partecipanti, essa non è impugnabile secondo la disciplina delle delibere assembleari (art. 1137c.c.), con la conseguente possibilità, da un lato, del successivo perfezionamento di essa al di fuori dell'assemblea (artt. 1326 ss. c.c.); dall'altro, della costituzione, modifica, estinzione di un rapporto giuridico in forma non vincolata, con il solo limite della sua riconoscibilità.
La Suprema Corte ha quindi enunciato il seguente principio di diritto: "In tema di condominio negli edifici, la convenzione sulla ripartizione delle spese in deroga ai criteri legali, ai sensi dell'art. 1123, comma 1, c.c. - che deve essere approvata da tutti i condomini, ha efficacia obbligatoria soltanto tra le parti ed è modificabile unicamente tramite un rinnovato consenso unanime - presuppone una dichiarazione di accettazione avente valore negoziale, espressione di autonomia privata, la quale prescinde dalle formalità richieste per lo svolgimento del procedimento collegiale che regola l'assemblea e può perciò manifestarsi anche mediante successiva adesione al contratto con l'osservanza della forma prescritta per quest'ultimo".