Può capitare che l'assemblea decida di derogare ai criteri di riparto degli oneri condominiali. Ad esempio, si stabilisce che un certo lavoro venga suddiviso in parti uguali e non secondo la tabella in vigore.
Ma cosa potrebbe accadere se questo accordo non fosse preso dall'unanimità dei condòmini? Un solo dissenziente sarebbe in grado di contraddire, efficacemente, la decisione dall'assemblea? Colui che ha votato la modifica dei criteri di riparto delle spese condominiali, potrebbe ripensarci ed impugnare il deliberato?
A queste domande, ha dato risposta la Corte di Appello di Milano con la recente sentenza n. 538 del 16 febbraio 2022. Per la verità, non è stata una decisione diversa da quelle precedenti in materia, essendosi l'ufficio meneghino uniformatasi alla giurisprudenza corrente sull'argomento.
Nondimeno, l'esame di questa decisione è interessante, visto che sono stati necessari ben due gradi di giudizio per risolvere una lite sulla modifica dei criteri di riparto delle spese condominiali e sulla maggioranza necessaria a farlo validamente.
Passiamo, perciò, ad esaminare il caso concreto.
Modifica criteri di riparto quale maggioranza: il caso concreto
In un fabbricato nel milanese, a un condòmino era stato ingiunto di pagare un'ingente somma a titolo di spese condominiali arretrate, così come erano state approvate da un'assemblea del novembre del 2017.
A questa ingiunzione, il debitore aveva reagito proponendo opposizione dinanzi al Tribunale di Milano. In questa sede, l'opponente invocava un deliberato del 2011 in cui, per risolvere una lite precedente, il consesso aveva deciso, a maggioranza, che il condòmino de quo dovesse versare una cifra forfettaria all'anno fino alla vendita o alla locazione del primo degli immobili rimasti di sua proprietà.
In ragione di tale transazione, l'opponente invocava la nullità del deliberato su cui si fondava l'ingiunzione opposta.
Secondo, invece, il convenuto condominio, la transazione in esame non aveva alcun valore. Essa, infatti, non era stata siglata dall'unanimità dei proprietari. In virtù di ciò, tale accordo era nullo e, per questa ragione, non poteva certo inficiare la legittimità del deliberato da cui era scaturita l'ingiunzione.
Il Tribunale di Milano accoglieva la tesi difensiva e rigettava l'opposizione.
Non contento di tale esito, il debitore appellava questa sentenza, riproponendo in appello le conclusioni già rassegnate in primo grado. In particolare, secondo la tesi dell'appellante, la transazione sarebbe stata valida perché non modificava le tabelle, ma semplicemente imponeva un obbligo al condominio, regolarmente sancito dalla maggioranza dei proprietari.
Ebbene, tale assunto si è dimostrato debole, in quanto la Corte di Appello di Milano ha respinto l'impugnazione.
Modifica criteri di riparto: non è sufficiente la maggioranza
La decisione assunta dalla maggioranza dei condòmini di ripartire una o più spese in deroga alle tabelle millesimali non è valida. Si tratta, infatti, di un deliberato che contraddice il codice civile, secondo il quale «Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno (Art. 1123 co. 1 cod. civ.)».
Per questo motivo non è possibile, ad esempio, dividere i costi di un lavoro straordinario in parti uguali. Bisogna, infatti, rispettare la regola che a questa spesa debba contribuire maggiormente il proprietario dell'attico rispetto a quello del bilocale posto al pian terreno.
Tale conclusione ha trovato conforto nella decisione della Corte di Appello di Milano, nella quale, nel rispetto della corrente giurisprudenza sull'argomento, si legge che «devono ritenersi nulle le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, sono stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni».
Perciò, dinanzi ad un deliberato in cui la maggioranza ha deciso di modificare i criteri di riparto degli oneri condominiali, il condòmino dissenziente ha la possibilità di chiedere ed ottenere la nullità.
Ma cosa accade se qualcuno dei votanti favorevoli ha cambiato idea? Quest'ultimo potrebbe invocare l'invalidità della decisione anche se ha contribuito alla stessa?
Criteri di spesa modificati dalla maggioranza: chi può invocare l'invalidità?
Nel caso in commento, il condominio, che ha approvato il bilancio consuntivo, ha avviato l'azione di recupero nei riguardi di un singolo in arretrato con le quote. All'ingiunto non è servito difendersi invocando un accordo che modificava i criteri di riparto delle spese. Tale patto non era stato sancito da tutti i proprietari.
Le spese condominiali, infatti, debbono essere pagate secondo il valore millesimale delle rispettive proprietà. Si può derogare a questa regola soltanto con una delibera unanime o a seguito di un regolamento condominiale contrattuale.
Detto ciò, chiunque può far valere la nullità di un'assemblea che, a maggioranza, decide di attribuire una spesa comune in parti uguali. Lo può fare, infatti, anche colui che ha partecipato alla votazione esprimendo un voto favorevole.
A sancirlo, ove mai ve ne fosse stato bisogno, è stata una recente ordinanza della Cassazione secondo la quale «In materia di delibere condominiali sono affette da nullità - che anche il condomino il quale abbia espresso il voto favorevole può fare valere - quelle con cui a maggioranza sono stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall'art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario, a pena di radicale nullità, il consenso unanime dei condomini (Cass. ord. n. 16531/2020)».