In un condominio, nel corso del tempo, è frequente che si verifichino delle trasformazioni nel corpo di fabbrica. Alcuni immobili, infatti, aumentano, sensibilmente, di volume. Ciò incidendo sul loro valore millesimale in rapporto alle altre proprietà.
Si tratta di un dato non irrilevante, visto che gli oneri condominiali sono suddivisi tra i singoli proprietari in proporzione all'anzidetto valore (art. 1123 c.c.).
Di conseguenza, l'assemblea, all'unanimità o nel rispetto della maggioranza sancita dall'art. 1136 co. 2 c.c., potrebbe approvare delle nuove tabelle.
Nel caso in commento, però, la descritta modifica pare sia stata sancita per facta concludentia. In pratica, nel corso degli anni, senza procedere ad alcuna revisione formale, i condomini di un certo fabbricato avevano deciso di derogare alle tabelle millesimali allegate al regolamento di condominio. A quanto pare, però, non tutti i proprietari erano d'accordo con questa prassi.
Né è sorta, pertanto, una lite, sfociata in ben tre gradi di giudizio, e definita dalla recente ordinanza della Cassazione n. 30305 del 14 ottobre 2022.
Approfondiamo meglio, quindi, fatti e circostanze da cui è scaturita questa diatriba.
Criteri di riparto condominiali: il caso della modifica non formale
In un condominio romano, da circa quarant'anni, erano disapplicate le vigenti tabelle millesimali. Nel tempo, infatti, si era consolidata una cosiddetta prassi derogatoria che aveva condotto il fabbricato a suddividere le spese comuni con dei criteri diversi.
La ragione di tale scelta stava nelle variazioni del fabbricato e delle singole unità immobiliari che lo componevano.
Sulla base, quindi, di tali circostanze, l'assemblea, durante tutto questo periodo, aveva approvato i bilanci e la conseguente ripartizione delle spese, discostandosi dalle suddette tabelle.
A quanto pare, però, tutto era filato liscio sino a quando una condomina aveva sollevato il problema. Secondo questa proprietaria, nello specifico una società, non era possibile addebitare le spese di gestione della cosa comune difformemente dalle tabelle millesimali in vigore. Per questo motivo era impugnata un'assemblea che aveva disposto in senso contrario, dinanzi al competente Tribunale di Roma, invocandone la nullità.
L'esito del primo grado, cosi come del successivo giudizio in appello, era, però, negativo. Secondo i giudici di merito, la costante e duratura disapplicazione delle tabelle e la pedissequa suddivisione, in termini diversi e in ragione delle variazioni nel condominio, erano state legittime. Insomma, si era determinata una modifica dei criteri di riparto per facta concludentia.
Non vi era motivo, perciò, per invalidare un'assemblea che si era limitata a conformarsi a tale situazione di fatto.
La Cassazione, invece, investita dell'ultimo supremo giudizio, si è espressa in termini del tutto diversi. Per gli Ermellini non era possibile procedere così come aveva fatto il condominio. La sentenza impugnata, perciò, è stata cassata e rinviata alla Corte di Appello per i provvedimenti del caso.
Modifica tabelle millesimali: cosa prevede la legge?
La modifica delle tabelle millesimali è presa in considerazione dall'art. 68 disp. att. c.c.
Ebbene, secondo questa norma, la revisione di questo elemento può essere, innanzitutto, approvata dall'unanimità dei proprietari. In alcuni casi, invece, per procedere alla modifica delle tabelle è sufficiente la maggioranza degli intervenuti all'assemblea, purché rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio. Si tratta dell'ipotesi in cui vi sia un errore.
Oppure allorquando, per le variazioni del fabbricato verificatesi nel corso del tempo, a seguito, ad esempio, di una sopraelevazione, si sia alterato, di almeno un quinto, il valore millesimale anche di un solo immobile.
Invece, in nessuna parte della disposizione citata si prende in considerazione la revisione delle tabelle millesimali per facta concludentia.
Pertanto, sarebbe possibile derogare ai criteri di riparto delle spese comuni per anni, senza alcuna formale modifica delle tabelle? Per prassi, è ammissibile contravvenire alle medesime?
Per la Cassazione, la risposta è negativa.
Revisione tabelle: la forma scritta è essenziale?
Per la Cassazione in esame, in ciò richiamando un arresto precedente, a proposito dell'approvazione e della revisione delle tabelle millesimali, la forma scritta è essenziale e requisito di validità.
Non è, perciò, possibile, modificare quanto è previsto all'interno delle tabelle, per facta concludentia «in base al combinato disposto degli artt. 68 disp. att. c.c. e 1138 c.c., l'atto di approvazione o di revisione delle tabelle millesimali, avendo veste di deliberazione assembleare, deve rivestire la forma scritta "ad substantiam", dovendosi, conseguentemente, escludere approvazioni per "facta concludentia" (Cass. Sez. 2, 15/10/2019, n. 26042)».
Gli Ermellini, pertanto, escludono che la disapplicazione consolidata nel tempo delle tabelle e dei criteri di riparto da esse risultanti, in luogo di una diversa attribuzione degli oneri comuni, possa essere ammissibile. Di conseguenza, ogni assemblea che si dovesse conformare a questa prassi sarebbe illegittima.
Ciò anche in ragione del principio, espresso a Sezioni Unite, in virtù del quale «sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati anche per il futuro i medesimi criteri di riparto ex lege o ex contractu (Cass. Sez. Unite 14 aprile 2021, n. 9839)».
Ecco, dunque, spiegati i motivi della decisione in commento.