Come è noto la nozione di pari uso della cosa comune (estensibile anche al conduttore), cui fa riferimento l'art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali ispirati al principio di solidarietà.
Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non facciano un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima.
Mettiamo questi principi in pratica.
Se un condomino (o suo inquilino) vuole collocare un'insegna pubblicitaria in corrispondenza del locale destinato all'esercizio di attività commerciale, in linea generale, nessun altro partecipante al condominio può sollevare obiezioni.
Normalmente però il Comune regolamenta l'apposizione delle insegne di esercizio, stabilendo, ad esempio, che possono essere installate in qualsiasi punto della sede dell'attività cui si riferisce, compresi anche il tetto, la facciata laterale e l'ingresso secondario, ovvero nelle pertinenze accessorie alla stessa; tuttavia può imporre, ad esempio, che il posizionamento delle insegne di esercizio e degli altri mezzi pubblicitari debba comunque avvenire in modo da non occultare le targhe toponomastiche.
Si consideri poi che, oltre alle prescrizioni dell'autorità comunale, si deve anche prendere in considerazione il regolamento di condominio. Infatti non si può escludere che una clausola di natura contrattuale dello stesso vieti espressamente l'installazione di targhe, insegne e simili sui muri perimetrali del palazzo o che ne subordini l'installazione all'autorizzazione dell'assemblea.
La presenza di un regolamento condominiale con clausole "cristalline" è sufficiente per evitare conflitti.
Ma se la clausola si presta a diverse interpretazioni è quasi inevitabile la lite tra condomini ed il ricorso all'Autorità Giudiziaria.
Insegna pubblicitaria in condominio: la controversia tra condomini
Un condomino installava un'insegna sulla facciata condominiale. Tale iniziativa suscitava le proteste degli altri condomini che ritenevano tale installazione vietata da una clausola del regolamento di condominio di natura contrattuale, secondo cui non era consentito ai singoli condomini di fare varianti alle strutture portanti delle parti comuni ed alle facciate dell'immobile. La questione veniva sottoposta al giudice che dava ragione al condomino.
In particolare i giudici di secondo grado ritenevano che la clausola non impedisse l'apposizione di un'insegna di dimensioni contenute, non potendosi considerare una variante della facciata.
Secondo i condomini - che ricorrevano in cassazione - i giudici di secondo grado non avevano tenuto conto del tenore letterale della disposizione regolamentare, né della comune intenzione delle parti, non potendosi negare che l'apposizione di un'insegna relativa ad attività commerciale costituisca una "variante della facciata"; in ogni caso secondo il condominio era necessario ricorrere a criteri ermeneutici sussidiari, tra cui quello dell'interpretazione complessiva delle clausole negoziali; in particolare notavano che un articolo vietava l'apposizione di targhette, dischi indicatori o altro nell'ingresso comune, nelle scale e nei ripiani senza l'approvazione scritta dell'amministratore, mentre altra disposizione non consentiva ai condomini di infiggere mensole, ferri, chiodi ecc. nelle pareti esterne, nonché di applicare tende sulle facciate senza il consenso dell'amministratore. I condomini lamentavano che queste pattuizione erano state ignorate.
Interpretazione della clausola condominiale sulle insegne: la sentenza
Secondo i giudici supremi la Corte d'Appello ha interpretato correttamente il significato della disposizione regolamentare che vieta varianti della facciata dell'immobile, tenuto conto che la suddetta clausola non menziona le insegne; di conseguenza ad avviso della Cassazione non appare di immediata evidenza che la loro apposizione costituisca di per sé una modificazione della facciata dello stabile.
Del resto il condominio, qualora avesse voluto efficacemente denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell'interpretazione della clausola contrattuale sopra detta, non avrebbe dovuto limitarsi a richiamare le regole per interpretare un contratto, ma avrebbe dovuto specificare i canoni interpretativi che in concreto riteneva violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato; in ogni caso quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l'altra (Cass. civ., Sez. VI, 17/11/2021, n. 34844).
Tale conclusione è perfettamente condivisibile in quanto il divieto di qualsiasi opera modificativa, persino migliorativa, alla facciata comporta certamente una tutela pattizia ben più intensa e rigorosa di quella apprestata al mero "decoro architettonico" dall'art. 1120 c.c., comma 2, art. 1127 c.c., comma 3 e art. 1138 c.c., comma 1; tuttavia detto divieto riguarda solo opere edilizie la cui realizzazione integra di per sé una vietata modificazione dell'originario assetto architettonico dell'edificio.
Nell'ambito delle opere non può rientrare certo l'apposizione di insegne sulla facciata, operazione che, nel caso esaminato, non era espressamente vietata dal regolamento.
Da ricordare però che laddove una clausola di natura contrattuale vieti qualsiasi variante alla facciata dell'edificio, è escluso che detta disposizione debba essere interpretata nel senso tecnico di cui al Testo Unico dell'edilizia: ne consegue che non risultano proibiti soltanto gli interventi di natura straordinaria, ma anche quelli di più modesta portata costruttiva, a nulla rilevando l'eventuale valutazione positiva da parte del giudice sull'assenza di impatto estetico delle opere abusive (Cass. civ., sez. II, 07/06/2011, n. 12291).