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Infortunio su marciapiede privato aperto al pubblico: chi paga i danni?

In caso di infortunio su un marciapiede privato aperto al pubblico, l'ente comunale ha l'obbligo di garantire la sicurezza dei pedoni e può rispondere per danni provocati da situazioni di pericolo non segnalate.
Avv. Rosario Dolce del Foro di Palermo 
Mag 14, 2018

Il Comune il quale consenta alla collettività l'utilizzazione, per pubblico transito, di un'area di proprietà privata, fosse anche di natura condominiale (come un marciapiede), si assume l'obbligo di accertare che la manutenzione dell'area e dei relativi manufatti non sia trascurata.

Ne consegue che l'inosservanza di tale dovere di sorveglianza, che costituisce un obbligo primario della Pubblica Amministrazione, per il principio del neminem laedere, integra gli estremi della colpa e determina la responsabilità per il danno cagionato all'utente dell'area, non rilevando che l'obbligo della manutenzione incomba sul proprietario dell'area medesima (Corte di Cassazione, Ordinanza pubblicata in data 18.01.2018).

Il Fatto. Tizio cita in giudizio il proprietario del marciapiede e l'ente pubblico che lo ha autorizzato a realizzare delle grate di aereazione sul marciapiede aperto al pubblico, a causa delle lesioni personali patite a seguito di una caduta. Lamentava, in particolare, che a farlo rovinare al suolo fosse stata una grata metallica ivi presente, che si è aperta improvvisamente all'atto del suo passaggio.

I primi due gradi di giudizio non gli danno ragione.

La Corte territoriale, in particolare, ha escluso la configurabilità sia di una responsabilità ex articolo 2051 c.c., trattandosi di marciapiede di proprietà privata - benché' soggetto ad uso pubblico - sia la responsabilità per colpa ex articolo 2043 c.c., non risultando che fosse stato segnalato agli uffici comunali il carattere insidioso, per i pedoni, dello sportellino esistente sulla grata metallica collocata sul marciapiede di proprietà privata, ne' potendo desumersi l'insidia da un mero esame visivo dello stato dei luoghi.

Tizio, pertanto, ricorre in Cassazione chiedendo la riforma della Statuizione emessa in grado di appello. La quale, in punto, enuncia dei principi di diritto di rilievo in ordine alla distinzione tra responsabilità per cosa in custodia e responsabilità per fatto illecito.

La Ordinanza. È jus receptum nella giurisprudenza della Corte di Cassazione l'affermazione secondo cui la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, ex articolo 2051 c.c., è di natura oggettiva, incentrata sulla relazione causale che lega la cosa all'evento lesivo, senza che, ai fini della verificazione di tale evento, trovi rilievo alcuno la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza da parte di quest'ultimo.

Ciò vuol dire, che incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, solo il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima (tra le molte: Cass. 12/07/2006, n. 15779; Cass. 19/02/2008, n. 4279; Cass. 25/07/2008, n.20427; Cass. 12/11/2009, n. 23939; Cass. 10/04/2010, n. 8005; Cass. 11/03/2011, n. 5910; Cass. 19/05/2011, n. 11016; Cass. 08/02/2012, n. 1769; Cass. 17/06/2013, n. 15096; Cass. 25/02/2014, n. 4446; Cass. 27/11/2014, n. 25214; Cass. 18/09/2015, n. 18317; Cass. 20/10/2015, n. 21212; Cass. Sez.

U 10/05/2016, n. 9449;Cass. 27/03/2017, n. 7805; Cass. 16/05/2017 n. 12027; Cass.29/09/2017, n. 22839).

Caduta provocata dalla chiusura improvvisa del portone: il condominio non risponde

E' stato in tal senso precisato che il rapporto di "custodia"rilevante ex articolo 2051 c.c. non mutua i propri contenuti dalla materia dei contratti (ad es. il contratto di deposito) e che, dunque, non si identifica con la previsione di specifici obblighi di controllo e vigilanza e prescinde da una condotta (o prestazione) del custode con essi coerente ma postula piuttosto (e soltanto) una potestà di fatto sulla cosa determinativa del danno, ossia un effettivo potere fisico, che implichi il governo e l'uso della cosa stessa.

E' custode ex articolo 2051 c.c., dunque, chi "di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione" (Cass. n. 4279del 2008, Cass. n. 11016 del 2011, Cass. n. 1769 del 2012, cit.), per cui la speciale responsabilità ex articolo 2051 c.c. va ricercata nella circostanza che il custode "ha il potere di governo sulla cosa"" (Cass. Sez. U n. 9449 del 2016, cit.).

La mera disattenzione della vittima non integra necessariamente il caso fortuito.

Il rapporto di "custodia "postula l'effettivo potere sulla cosa" e, quindi, non solo la sua disponibilità giuridica ma, insieme ad essa, la disponibilità materiale (Cass. n. 15096 del 2013, cit.), alla stregua di un binomio che opera unitariamente come fattore selettivo della figura del "custode", rilevante ai sensi dell'articolo 2051 c.c., ossia di colui che - come detto - ha "il potere di governo" della cosa, "da intendersi come potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che sian insorte e di escludere i terzi dal contatto" con essa (Cass. n. 15779 del 2006, cit.).

È dunque in tale prospettiva che è da intendere l'affermazione, sovente ribadita dai precedenti sopra richiamati, per cui custode non è da considerarsi "necessariamente il proprietario o chi si trova con essa (la cosa) in relazione diretta" (tra le altre, Cass. n. 4279 del 2008, cit.).

Il rapporto di custodia che può presumersi nella titolarità dominicale della cosa può, infatti, venire meno in ragione della escludente relazione materiale da parte di altro soggetto che, con la cosa medesima, abbia del pari un rapporto giuridicamente qualificato.

Non sempre, dunque, è possibile riconoscere un rapporto di custodia ex articolo 2051 c.c. in capo a chi della cosa abbia la mera detenzione per ospitalità o di servizio, operando, in quest'ultimo caso, nell'ambito di più ampi poteri organizzativi e direzionali spettanti ad altri (così già Cass. 21/11/1978, n. 5418), ovvero in capo a chi della cosa sia mero utilizzatore (sporadico o temporaneo), ove la concessa facoltà di utilizzazione della cosa non venga ad elidere, "per specifico accordo delle parti, o per la natura del rapporto, ovvero per la situazione fattuale determinatasi", il "potere di ingerenza, gestione ed intervento sulla cosa" stessa che il concedente abbia conservato (Cass. n. 15096 del 2013, cit.).

Cosi' definito il rapporto di custodia rilevante ai sensi dell'articolo 2051 c.c. e' evidente, dunque, che non basta a riconoscerlo in capo all'ente comunale rispetto alle strade private aperte al pubblico transito, il fatto che anche queste siano soggette, a norma delle suindicate norme del codice della strada, ai poteri/doveri di vigilanza finalizzati a garantire chela circolazione dei veicoli e dei pedoni.

La posizione dell'ente pubblico, come innanzi caratterizzata, è tale, semmai, da poter attivare una responsabilità aquiliana ai sensi dell'articolo 2043 c.c., la' dove si vengano a determinare omissioni o carenze nel controllo e/o vigilanza sull'operato del proprietario o colpevoli errori nell'assunzione delle decisioni in materia di manutenzione, gestione della strada medesima (cfr. ancora Cass. n. 22839 del 2017, cit.; v. anche Cass. 22/10/2014, n. 22330).

Conclusione. Per quanto è dato qui interessare, la conclusione che si ricava dal provvedimento in esame è quella per cui un marciapiede, ancorché di proprietà privata (fosse anche condominiale), aperto al pubblico non esonera l'amministrazione comunale, in virtù del principio della responsabilità per fatto illecito (2043 codice civile), a garantire che la circolazione dei pedoni avvenga in condizioni di sicurezza.

Quindi, fa da corollario al "dovere" del privato proprietario della strada aperta al pubblico transito di garantire la sicurezza della circolazione (articolo 14 C.d.S.) e ad adottare i provvedimenti necessari ai fini della sicurezza del traffico sulle strade (Decreto Legislativo 26 febbraio 1994, n. 143, articolo 2), "l'onere" del Comune di: a) segnalare ai proprietari di essi le situazioni di pericolo suscettibili di recare pregiudizio agli utenti della strada; b) adottare i presidi necessari ad eliminare i fattori di rischio conosciuti o conoscibili con un attento e doveroso monitoraggio del territorio; c) rimuovere le situazioni di pericolo, chiudere la strada al traffico, come extrema ratio, permanendo l'eventuale negligenza dei proprietari dei fondi finitimi (v. Cass. n. 22330 del 2014 cit.; v. anche Cass. 11/11/2011, n. 23562, Rv. 620514).

Sentenza
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