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Realizzazione di un nuovo edificio e rispetto delle prescrizioni del progetto energetico

Quali conseguenze in caso di mancato rispetto della relazione energetica allegata al progetto di realizzazione dell'immobile?
Avv. Fabrizio Plagenza - Foro di Roma 
Nov 20, 2019

Contratti, contratti ed ancora contratti. L'amministratore di condominio è sommerso da contratti. Contratti di assicurazione, di gestione, di somministrazione, di manutenzione, di pulizia delle parti comuni, d'appalto e chi più ne ha più ne metta. Tutti, comunque, "contratti ".

Quando l'amministratore, in nome e per conto del condominio rappresentato, incarica una ditta di eseguire dei lavori, stipula un contratto. Nella fattispecie il contratto di appalto è quel contratto disciplinato dall'art. 1655 c.c a mente del quale una parte (appaltatore) assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, l'obbligazione di compiere in favore di un'altra (committente o appaltante) un'opera o un servizio (nozione contenuta nell'art. 1655 c.c.).

L'appaltatore (in quanto dotato di organizzazione dei mezzi necessari e di gestione a proprio rischio) è un imprenditore ed è tenuto ad organizzare i mezzi e a svolgere ogni attività necessaria alla realizzazione dell'opera dedotta in contratto, secondo le modalità pattuite, la regola dell'arte e le disposizioni legislative in materia, anche di sicurezza.

Fatte queste doverose premesse, occorre soffermarci su un principio di forza insito nella natura del rapporto negoziale ed, in particolare, ben cristallizzato nell'art. 1372 c.c., I comma, che così recita: "Il contratto ha forza di legge tra le parti".

Su queste basi, passiamo adesso ad analizzare un provvedimento reso dalla Corte di Cassazione, del 15 novembre 2019, n. 29781, in tema di contratto d'appalto, dell'importanza di quanto pattuito tra le parti e delle conseguenze in caso di differenza tra quanto prescritto nella relazione energetica e quanto invece realizzato dalla ditta appaltatrice.

Il caso. All'origine della controversia vi è un contratto di appalto stipulato tra due società, una delle quali (la società appaltatrice), evocava in giudizio in primo grado l'altra (committente), esponendo di aver realizzato, in forza del menzionato contratto di appalto, un nuovo edificio in merito al quale lamentava di non essere stata pagata ed invocando la condanna della committente al pagamento del saldo del corrispettivo pattuito.

La società convenuta, che aveva costruito l'edificio, nel costituirsi in giudizio, con la propria difesa invocava, a sua volta (in via riconvenzionale), la condanna dell'appaltatore al risarcimento del danno derivante dal mancato rispetto della relazione energetica allegata al progetto di realizzazione dell'immobile. Il giudizio di prime cure si concludeva con la sentenza n. 649/2015 con cui il Tribunale di Lecco accoglieva la domanda principale rigettando quella riconvenzionale.

Avverso tale sentenza, proponeva appello la società costruttrice, che vedeva, tuttavia, il rigetto anche del gravame posto che, con sentenza n. 5172/2017, la Corte di Appello di Milano riteneva che "nel contratto di appalto fosse stata prevista la sola realizzazione delle opere di edificazione come da progetto approvato dall'ente locale competente, e non anche l'obbligo dell'appaltatore di rispettare le prescrizioni contenute negli elaborati allegati al progetto stesso che, pur previsti dalla legge ai fini del rilascio del titolo autorizzativo, non erano stati poi espressamente richiamati nell'ambito del contratto concluso tra le parti".

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Proponeva, allora, ricorso in Cassazione l'appaltatore, soccombente in entrambi i primi gradi di giudizio. Anche la Suprema Corte di Cassazione, tuttavia, non accoglieva le doglianze della società ricorrente.

Vero è che lo fa per mezzo di un provvedimento, l'ordinanza, con la quale ha rilevato un vizio procedurale, tanto da dichiarare inammissibile il ricorso in Cassazione.

Ma è altrettanto vero che la Suprema corte, con la pronuncia in commento, detta un principio che merita attenzione e rilevanza.

Cosa hanno voluto le parti al momento della stipula del contratto d'appalto? Fino a che punto il contenuto di un contratto può e/o deve essere interpretato? In caso di dimenticanze nel contratto, è possibile sopperire con documentazione ad esso allegata e/o in esso menzionata in modo non espresso? Ed in che termini?

A tutte queste domande, la Corte di Cassazione, con l'ordinanza del 15 novembre 2019, n. 29781, risponde esprimendosi in senso favorevole alla possibilità di interpretazione della volontà negoziale delle parti ed enunciando il seguente principio di diritto: "L'appaltatore è tenuto al rispetto delle prescrizioni contenute nel titolo autorizzativo e di quelle derivanti dal contratto sottoscritto dalle parti.

Pertanto, la mancata menzione nel contratto di appalto, delle prescrizioni contenute nella relazione energetica che, seppur prevista dalla legge ai fini del rilascio del titolo autorizzativo, non implica l'obbligo dell'appaltatore di rispettare tale prescrizione".

Ricorda, infatti, la Suprema Corte, che "In tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti - è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., mentre la seconda -concernente l'inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente- risolvendosi nell'applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo" (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 29111 del 05/12/2017, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 420 del 12/01/2006).

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Nel caso specifico, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte d'Appello aveva fatto buon uso delle norme in materia di appalto atteso che "In tema di contratto di appalto avente ad oggetto la costruzione di immobili eseguiti senza rispettare la concessione edilizia, occorre distinguere le ipotesi di difformità totale e parziale.

Nel primo caso, che si verifica ove l'edificio realizzato sia radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetrie, l'opera è da equiparare a quella posta in essere in assenza di concessione, con conseguente nullità del detto contratto per illiceità dell'oggetto e violazione di norme imperative; nel secondo, invece, che ricorre quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto, tale nullità non sussiste" (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30703 del 27/11/2018).

Di conseguenza, l'appaltatore è tenuto esclusivamente al rispetto delle prescrizioni contenute nel titolo autorizzativo e di quelle, eventualmente diverse od ulteriori, derivanti dal contratto sottoscritto dalle parti, senza che gli si possano opporre tutte le prescrizioni contemplate nella cospicua documentazione allegata al progetto di realizzazione dell'edificio, ov'esse non siano, appunto, state espressamente richiamate nel contratto di appalto.

La sentenza ribadisce principi cardine del diritto privato tra cui quello dell'autonomia negoziale, dell'efficacia di legge del contratto tra le parti e della conservazione del contratto.

Applicando tali principi alla fattispecie in esame, la Corte ha indicato una chiara prevalenza ai "titoli" (titolo autorizzativo e contratto d'appalto) rispetto alle prescrizioni contenute nella relazione energetica.

Sentenza
Scarica Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 15 novembre 2019, n. 29781
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