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Mancata osservanza delle distanze: è irrilevante il rispetto della concessione

Vanno chiuse le aperture che affacciano sulla chiostrina se non sono rispettate le distanze stabilite dal regolamento edilizio comunale.
Avv. Mariano Acquaviva 
7 Set, 2022

Il Tribunale di Pisa, con la sentenza n. 1056 del 17 agosto 2022, ha affrontato il caso di un condomino che aveva creato, sul muro perimetrale dell'edificio, due aperture dalle quali aveva ricavato una finestra e una porta-finestra, oltre che un terrazzino.

Contro tali manufatti agiva, con azione possessoria, un altro condomino, il quale lamentava la creazione illegittima di una servitù di veduta sul cortile interno dell'edificio (di sua esclusiva proprietà) nonché sulle proprietà esclusive degli altri condòmini che si trovavano ai piani inferiori.

La questione sottoposta al Tribunale di Pisa presenta in realtà risvolti ancora più complessi. La realizzazione del terrazzino avrebbe infatti violato il regolamento edilizio comunale in tema di distanze tra fabbricati e di divieto di alterare gli immobili di interesse storico-artistico, com'era appunto il condominio.

Inoltre, a detta dell'attore, l'intervento del convenuto avrebbe potuto avere conseguenze dannose sulla tenuta statica dell'edificio. Procediamo con ordine.

Procedura del giudizio possessorio in caso di violazione delle distanze

La fase cautelare del giudizio possessorio riconosceva le ragioni dell'attore, ordinando al convenuto la chiusura delle aperture e la rimozione del terrazzino. A tale comando parte convenuta obbediva solo parzialmente, installando una grata removibile sia alla finestra che all'accesso del terrazzo.

L'attore proseguiva con la fase di merito, chiedendo che il convenuto fosse costretto a rimuovere il terrazzino e a chiudere del tutto le finestre, oppure a frapporvi stabili mezzi di occlusione non suscettibili di apertura che precludessero definitivamente l'accesso all'esterno e l'affaccio sugli immobili dei condòmini.

Anche il giudizio di merito terminava con la condanna del convenuto, il quale però si rendeva ancora inottemperante all'ordine del giudice.

L'attore adiva quindi nuovamente il Tribunale di Pisa (sentenza in commento) domandando, per le ragioni sopra esposte, che il convenuto fosse condannato a ricondurre i luoghi allo stato precedente all'inizio dei suddetti lavori murando, tra l'altro, la porta-finestra.

Argomentazioni difensive del convenuto in merito alla servitù di veduta

Parte convenuta si difendeva sostenendo che la grata di interclusione del terrazzino fosse idonea a soddisfare il comando del Giudice della fase cautelare possessoria e che l'attore, avendo ottenuto giustizia in fase possessoria, non avrebbe avuto il diritto di introdurre un nuovo giudizio (di natura petitoria).

Nel merito, il convenuto rappresentava: di aver ottenuto dal Comune il permesso di riedificare il terrazzino destinato, precedentemente alla sua distruzione, a fungere da locale latrina; che, quanto alla sicurezza del progetto, questo era stato approvato dal Genio civile; quanto al rispetto delle distanze, i balconi avrebbero dovuto essere posti ad 1,5 metri dal confine col fondo vicino, e le costruzioni ad una distanza minima tra loro di 3 metri, secondo quanto previsto dal Codice civile; che il terrazzino non si affaccerebbe sulla chiostra interna; che l'attore proprietario della chiostra non avrebbe potuto lamentare un aggravamento di servitù, in quanto parte convenuta ha tutte le finestre dell'appartamento che affacciano sulla chiostra e, pertanto, già godeva una servitù di veduta.

La violazione del regolamento edilizio comunale

Il Tribunale di Pisa, al fine di risolvere la controversia, conferiva incarico a un Consulente tecnico d'ufficio affinché accertasse la veridicità di quanto sostenuto dall'attore.

In effetti, detta consulenza ravvisava l'illegittimità delle opere del convenuto, con specifico riferimento alla violazione delle distanze: la determinazione di quest'ultima era infatti quella maggiore stabilita dal regolamento comunale e non quelle ordinare del Codice civile.

Così il Regolamento edilizio del Comune: «Per gli interventi di ristrutturazione e/o ampliamento è ammessa la distanza minima tra pareti non finestrate rispetto agli edifici esistenti su altre proprietà inferiore a ml. 10,00 a condizione che sia garantita la distanza minima dai confini di proprietà non inferiore a ml. 5,00».

Nessuna parte della terrazza, ivi inclusa l'apertura di accesso ad essa ricavata sul muro già perimetrale, rispettava tali distanze.

Decisione del Tribunale sulle violazioni delle distanze edilizie

Secondo il Tribunale di Pisa, la domanda attorea va accolta, in quanto le aperture e il terrazzino costituiscono opere illegittime.

Poco importa che il convenuto abbia ottenuto dal Comune il permesso di riedificare il terrazzino oggetto di causa: secondo il pacifico insegnamento della Suprema Corte, infatti, «La rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato richiedente o costruttore, senza estendersi ai rapporti tra privati, regolati dalle disposizioni dettate dal codice civile e dalle leggi speciali in materia edilizia, nonché dalle norme dei regolamenti edilizi e dei piani regolatori generali locali.

Ne consegue che, ai fini della decisione delle controversie tra privati derivanti dalla esecuzione di opere edilizie, sono irrilevanti tanto l'esistenza della concessione (salva la ipotesi della c.d. licenza in deroga), quanto il fatto di avere costruito in conformità alla concessione, non escludendo tali circostanze, in sé, la violazione dei diritti dei terzi di cui al codice civile ed agli strumenti urbanistici locali, così come è, del pari, irrilevante la mancanza della licenza o della concessione, quando la costruzione risponda oggettivamente a tutte le disposizioni normative sopraindicate» (Cass., sent. n. 29166/2021).

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Nulla muta la circostanza per la quale tra gli edifici oggetto di causa, di costruzione risalente, difettassero ab origine le distanze di cui sopra; la Cassazione ha affermato il principio per il quale «in tema di distanze tra costruzioni, l'eventuale diritto del proprietario frontista a mantenere un fabbricato preesistente sin dall'origine costruito ad una distanza inferiore a quella legale rispetto all'immobile limitrofo non conferisce al predetto l'ulteriore diritto di apportare al manufatto aggiunte e/o modifiche di qualsiasi natura nella parte che, in base alla normativa attualmente vigente, risulti a distanza inferiore a quella minima legale, atteso che dette aggiunte o modifiche costituirebbero un'ulteriore - e non consentita - violazione della normativa in materia di distanze» (Cass., Sent. n. 12483/2002).

Classificazione del terrazzino come fabbricato ai fini delle distanze

Né vi sono dubbi sulla natura di "fabbricato" del terrazzino; così la Cassazione: «In tema di distanze tra costruzioni su fondi finitimi, ai sensi dell'articolo 873 c.c. con riferimento alla determinazione del relativo calcolo, […] il balcone, estendendo in superficie il volume edificatorio, costituisce corpo di fabbrica» (sent. n. 5594/2016).

E ancora: «In tema di distanze legali fra edifici, mentre rientrano nella categoria degli sporti, non computabili ai fini delle distanze, soltanto quegli elementi con funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria (come le mensole, le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili), costituiscono, invece, corpi di fabbrica, computabili ai predetti fini, le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza» (Cass., sent. n. 17242/2010).

Mancato rispetto distanze: il diritto al risarcimento

All'attore spetta anche il diritto al risarcimento dei danni, visto che è pacifico il principio secondo cui «in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, sia quella risarcitoria, e il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento) deve ritenersi "in re ipsa", senza necessità di una specifica attività probatoria, essendo l'effetto, certo e indiscutibile, dell'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà» (ex multis, Cass., Ord. n. 25082/2020).

Sentenza
Scarica Trib. Pisa 17 agosto 2022 n. 1056
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