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È consentito l'allaccio di una presa d'acqua alla colonna condominiale per servire il proprio alloggio.

La suprema corte di cassazione con la presente ordinanza sottolinea i limiti al godimento della cosa comune.
Avv. Nicola Frivoli 
16 Mar, 2022

Con ordinanza emessa in data 8 febbraio 2022, n. 3890, la Corte di Cassazione, Sezione II, provvedeva su tre motivi di censura di un ricorrente-condomino, avverso la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Palermo, del 18/30 dicembre 2015, n. 1967. Il giudizio di primo grado aveva ad oggetto l'azione intrapresa da un condomino contro un proprietario di un locale dello stabile condominiale.

Esponeva che l'assemblea condominiale, con delibera del 16.6.2003, aveva concesso facoltà al convenuto di allacciare la presa dell'acqua del detto locale ed il relativo contatore alla colonna condominiale ubicata nell'androne condominiale; che la concessione di tale facoltà era avvenuta a titolo di mera cortesia e sotto condizione di immediata rimozione dell'allacciamento in ipotesi di vendita del locale.

Chiedeva, pertanto, dichiararsi l'illegittimità dell'allacciamento e condannare il convenuto alla rimozione.

Si costituiva il convenuto che impugnava e contestata l'assunto dell'istante e chiedeva di essere autorizzato alla chiamata in causa del condominio dell'edificio, chiedeva rigettarsi l'avversa domanda e deduceva che all'allacciamento contestato risaliva al 1965 e che nel 2002 si era limitato a collocare un autonomo contatore sulla colonna condominiale.

All'esito dell'istruzione probatoria, il giudice di prime cure, Tribunale di Palermo, con sentenza n. 3932/2008, dichiarava l'illegittimità dell'allacciamento alla colonna condominiale della presa d'acqua e del relativo contatore del locale di proprietà del convenuto, e lo condannava alla rimozione.

L'appellante proprietario del locale impugnava la pronuncia di primo grado, ed il giudice del gravame riformava la sentenza di prime cure, rigettava la domanda esperita in prime cure, e condannava appellato al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

La Corte territoriale, nell'attenta disamina delle dichiarazioni testimoniali assunte nella fase istruttoria del giudizio di primo grado, riteneva che il locale a piano terra era sempre stato munito di allacciamento idrico e che i contatori erano tutti collocati nell'androne condominiale e che l'attore non aveva provato che il convenuto avesse realizzato un nuovo allacciamento idrico.

Avverso tale sentenza di appello, veniva proposto ricorso per cassazione, fondando il tutto su tre motivi di censura, con conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

La controparte, depositava controricorso, chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso depositato o rigettarsi lo stesso con vittoria di spese.

Parti comuni e utilizzo più intenso da parte di un condomino, il caso della recinzione condominiale

Analisi dei motivi di ricorso contro la sentenza condominiale

Il primo motivo del ricorso afferiva la denuncia ai sensi dell'art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., per l'omesso esame dei fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e la omessa o insufficiente motivazione.

Il ricorrente deduceva che in epoca antecedente alla delibera dell'assemblea condominiale del 16.6.2003, il locale a piano terra, di proprietà del contro ricorrente, non fosse dotato di fornitura idrica e che i contatori collocati nell'androne dello stabile non fossero sei, bensì cinque; tale circostanza di fatto rinveniva sia dalla citata delibera che quella successiva del 24.4.2005, e dalle dichiarazioni rese dai testi e dal contratto di fornitura idrica del locale a piano terra (21.11.2012) e dal contratto di vendita del 16.2.1979.

Posto ciò, la Corte di merito aveva del tutto omesso l'esame delle risultanze documentali e non ha indicato quali dichiarazioni testimoniali ha reputato attendibili per la riforma della pronuncia di primo grado e non tenendo anche conto delle ammissioni operate dal convenuto, con dichiarazione nel corso del giudizio.

Il secondo motivo del ricorso, denunciava ai sensi dell'art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. Il ricorrente deduceva, sebbene non onerato, di aver dato prova della realizzazione ex novo dell'allacciamento idrico al locale di proprietà.

Il terzo motivo del ricorso, il ricorrente denunciava ai sensi dell'art. 360, 1° comma, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell'art. 92 c.p.c. Deduceva che l'accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso comportava necessariamente l'annullamento del capo dell'impugnata sentenza che aveva pronunciata la sua condanna alle spese del doppio grado di giudizio.

I due motivi menzionati sono stati esaminati congiuntamente dalla Suprema Corte e sono stati dichiarati entrambi del tutto infondati; nel primo, gli ermellini hanno considerato legittima, sul punto, la decisione della Corte d'Appello che aveva accolto il gravame, atteso che non era stata contestata la qualità del condomino, e, soprattutto, non era stata oggetto di contestazione; si rimarcava che nella fattispecie esaminata in ordine alla possibilità del proprietario della porzione condominiale, ubicata al piano terra, potesse allacciarsi alla colonna idrica dello stabile condominiale.

Tale vicenda verte, evidentemente, nell'ambito della utilizzazione della cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., secondo cui: "Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non copie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso".

La Suprema Corte ha rilevato che il ricorrente non abbia in alcun modo provato il possesso ventennale della servitù acquedotto, né tantomeno la Corte territoriale ha nulla motivato in merito.

Dunque, è solo al giudice di merito è rimesso tale l'accertamento e non al giudice di legittimità; sicché è del tutto infondata la censura per omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (Cass. civ. 19 gennaio 2005, n. 1072).

È da escludere in assoluto una "anomalia motivazione" della Corte d'appello competente, e non è annoverabile un difetto di motivazione della pronuncia emessa (Cass. civ. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053).

Segnatamente alla motivazione della sentenza, la Corte distrettuale ha chiarito che non vi era alcuna prova che l'appellante avesse eseguito opere idonee a limitare l'uso della cosa comune da parte degli altri condomini.

Anche volendo allargare la "forbice" in ordine all'omesso esame da parte del giudice del gravame degli elementi istruttori, tale aspetto non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (Cass. civ. ord. 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass. civ. 10 giugno 2016, n. 11892).

Condizioni per l'uso delle parti comuni in condominio

Secondo gli ermellini, al singolo condomino è consentita l'esecuzione di un'opera implicante un maggiore suo godimento della cosa comune soltanto se la realizzazione di essa non impedisca agli altri condomini il compimento di opere, già previste o ragionevolmente prevedibili in alla base alla destinazione attuale della cosa comune ed alle prospettive offerte dalla sia natura, le quali permettano ai medesimi lo stesso od altro miglio uso di tale cosa a vantaggio delle loro proprietà esclusive.

Perciò ai sensi dell'art. 1102 c.c., è consentita al condomino la più ampia utilizzazione di un bene comune, ai fini della sistemazione di impianti diretti a soddisfare le esigenze di servizi indispensabili per il godimento di un proprio appartamento, purché sia rispettata la proprietà esclusiva degli altri condomini e non sia violata la rispettiva sfera di facoltà e diritti.

In tema di condominio ed uso delle cose comuni, il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell'unità immobiliare che gli appartiene (ART. 1118 c.c.) vedi Trib. Roma 07 aprile 2020.

Uso più intenso del bene comune da parte del singolo proprietario, è giustificato ed è considerato legittimo in ragione dell'assenza di pregiudizio per la stabilità dell'edificio e in generale per gli altri condomini.

Al fine di determinare la legittimità di interventi realizzati sulle parti comuni questi devono essere assistiti da due caratteristiche: in primo luogo la realizzazione di interventi trasformativi delle parti comuni non può essere svolta in quanto non avrebbe consentito il rispetto e la salvaguardia della funzione di adeguata protezione delle strutture (Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2012, n. 14107). In seconda battuta, poi, l'uso frazionato del bene comune è consentito solo nel rispetto dei precetti del già citato art. 1102 c.c. Giova specificare come nel caso in questione, e in generale in tutti quelli aventi oggetto l'uso più intenso delle cose comuni, spetta ai giudici di merito, in applicazione dei criteri sopra tratteggiati, chiarire se nel caso in decisione si assista ad un uso più intenso ma consentito della cosa comune, oppure se tale uso travalichi nell'abuso, integrando un illegittima e abusiva occupazione e trasformazione di una parte comune (Cass. civ. sez. II, 8 gennaio 2021, n. 97).

Per completezza, va, altresì, sottolineato che, giustamente, il rigetto del primo e secondo motivo, comporta, ex se, il rigetto del terzo motivo, perché la Corte d'appello ha statuito in modo ineccepibile in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

In conclusione, la Suprema Corte rigetta i motivi di ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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Sentenza
Scarica Cass. 8 febbraio 2022 n. 3890
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