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Locazione e danni da infiltrazione

Chi risarcisce il conduttore?
Avv. Caterina Tosatti Avv. Caterina Tosatti 

Torniamo sul tema della custodia del locatore rispetto al bene locato: cosa accade se il bene causa danni al conduttore?

Locazione e danni da infiltrazione: la vicenda

Tizia citava in giudizio un ente pubblico allo scopo di far accertare la responsabilità di quest'ultimo per le infiltrazioni subìte dall'appartamento condotto in locazione da Tizia e far condannare l'ente pubblico ai lavori di manutenzione e ripristino dei luoghi, nonché al risarcimento dei danni materiali e non patrimoniali sofferti da Tizia.

Tizia aveva ricevuto in locazione dall'ente pubblico un appartamento sito al piano secondo dell'edificio; l'appartamento era interessato da abbondanti infiltrazioni nei locali cucina e bagno, presumibilmente provenienti dall'immobile soprastante, anch'esso di proprietà dell'ente pubblico e condotto in locazione da Caio.

Tizia sosteneva che l'ente pubblico avesse mancato nell'esecuzione dei lavori di manutenzione dell'edificio, sebbene sollecitato sia dalla medesima Tizia che da Caio.

L'ente pubblico si costituiva, chiedendo l'autorizzazione alla chiamata in causa di Caio, eccependo la nullità della domanda di Tizia per incertezza circa gli elementi di diritto costituenti le ragioni della pretesa.

L'ente pubblico deduceva di aver prontamente attivato le attività di recupero e manutenzione in seguito alle istanze di Tizia, mentre costei non aveva fornito prova del nesso di causalità tra la cosa danneggiata e l'evento lesivo.

Inoltre, un tecnico incaricato dall'ente pubblico aveva verificato che le infiltrazioni non provenivano dalla colonna meteorica esterna alla scala e che l'impermeabilizzazione della terrazza era integra, ritenendo che esse fossero attribuibili a Caio, il quale aveva eseguito lavori all'interno dell'unità occupata, senza alcuna autorizzazione dell'ente pubblico.

Caio, chiamato in causa, si costituiva rilevando che la relazione del tecnico dell'ente pubblico, lungi dall'attribuire la responsabilità delle infiltrazioni a lui, si limitava a indicare che sarebbe stato opportuno accedere al piano superiore (l'abitazione di Caio) per verifica.

Eccepiva poi Caio che i lavori dallo stesso eseguiti fossero stati limitati a opere murarie, consentite dal regolamento e che un tecnico da lui incaricato aveva stabilito che l'umidità nell'appartamento di Tizia era da ricondurre a perdite del discendente del terrazzo condominiale.

Peraltro, aggiunge Caio di aver fatto eseguire a sua cura e spese una prima riparazione del danno nell'appartamento di Tizia, pur non essendovi tenuto e di essersi sempre reso disponibile a risolvere il problema, nell'ottica della cooperazione e del buon vicinato.

La decisione

Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 18499 del 15 dicembre 2022, ha accolto in parte la domanda di Tizia, condannando l'ente pubblico a corrisponderle una somma a titolo di danno materiale e ponendo a carico dell'ente pubblico le spese legali di Caio per metà ed a carico dell'ente pubblico in solido con Caio le spese di CTU, in ragione di ¾ a carico del primo e ¼ a carico del secondo.

Il Condominio rimane sullo sfondo

Il grande assente, nella pronuncia che leggiamo, risulta essere il Condominio: infatti, il rapporto esaminato dal Giudice viene considerato un trilatero, da un lato il locatore e proprietario ente pubblico, dall'altro Tizia e Caio, conduttori di due appartamenti distinti.

Non ci è dato sapere se l'edificio fosse totalmente in proprietà dell'ente pubblico, nel qual caso non sussisterebbe nemmeno un Condominio, in quanto non sarebbe stata frazionata l'originaria unica proprietà oppure se l'ente pubblico sia rimasto, come spesso accade, proprietario di alcuni solamente degli immobili costituenti l'edificio, così divenendo condòmino al pari degli altri.

Non avendo elementi di fatto che ci possano far propendere per la seconda ipotesi, dobbiamo dare per scontato o quantomeno ammettere che la fattispecie considerata dal Tribunale romano fosse afferente un edificio interamente in mano dell'ente pubblico, quindi che non vi fosse Condominio alcuno.

Il nostro attento lettore comprenderà tuttavia il motivo del nostro scrupolo, in quanto, come noto, laddove un Condominio fosse esistito, la responsabilità eventuale per la mancata manutenzione sarebbe stata da addossare allo stesso, alla inerzia del suo Amministratore e/o dell'Assemblea dei condòmini, tra i quali l'ente pubblico e locatore.

Ma così, apparentemente, non è stato, perciò proseguiamo a disaminare senz'altro il decisum del Giudice.

Disattesa l'eccezione di nullità della citazione avanzata dall'ente pubblico, in virtù delle ampie ed articolate difese dello stesso che sconfessavano in re ipsa la bontà di tale eccezione, il Tribunale riporta le risultanze della CTU disposta d'ufficio - le parti non avevano infatti richiesto termini istruttori, ma non ci è dato sapere se alcune di loro avessero avanzato richiesta in ordine alla CTU o meno.

Ebbene, la CTU aveva accertato che le infiltrazioni nell'appartamento di Tizia fossero da ricondurre ad una perdita d'acqua nel tratto di tubazione idrica passante nella cucina dell'immobile di Caio, che alimentava sia il lavello della cucina che i sanitari del bagno, tubazione sostituita d'urgenza dall'ente pubblico per non ingenerare ulteriori danni.

Tale intervento dell'ente pubblico risultava pacificamente ammesso da Tizia ed era risultato risolutivo ai fini della cessazione delle infiltrazioni, anche se l'imbibizione delle murature causata dalla pregressa protrazione del fenomeno infiltrativo aveva comportato una residua presenza di umidità, tuttavia in progressiva eliminazione.

Il CTU aveva altresì quantificato i danni cagionati dalle infiltrazioni indicando le opere di ripristino ed i costi, stimati in Euro 2.000,00 circa, rappresentando tale cifra l'ammontare del danno materiale poi liquidato a Tizia.

Quanto all'attribuzione della responsabilità, il Tribunale ritiene, sulla scorta degli accertamenti del CTU, che essa sia interamente in capo all'ente pubblico, quale proprietario dell'immobile (che aveva cagionato il danno, cioè l'appartamento di Caio): viene citata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale «quando un evento dannoso si origina in un immobile condotto in locazione, si ha responsabilità del proprietario-locatore se esso deriva dalle strutture murarie o da impianti in esse conglobati, perché di tali strutture e impianti il locatore conserva la custodia, ed invece responsabilità del conduttore se l'evento deriva da altre parti dell'immobile o da accessori, che cadono nella sua sfera di disponibilità (cfr. Cass. n. 13881/2010, n. 21788/2015, n. 22839/2017, n. 30279/2019)».

Da qui il Tribunale fa discendere l'applicabilità del paradigma dell'art. 2051 c.c., cioè della responsabilità per il danno causato da cose in custodia.

L'ente pubblico ha peraltro fallito nel dimostrare il caso fortuito, unica possibilità per andare esente da responsabilità.

Il Tribunale, poi, procede ad esaminare la richiesta del danno, pure patrimoniale, per mancato godimento richiesto da Tizia: ritiene che esso sia attribuibile, posto che la CTU ha effettivamente riscontrato che l'immobile è stato attinto per non breve tempo da infiltrazioni che si manifestavano con percolazione/gocciolamento e determinavano un'intensa umidità.

Danni da infiltrazioni. Esclusa la responsabilità del condomìnio se vi è caso fortuito

Sebbene il danno sia certo nel suo an, il quantum non può essere determinato oggettivamente, per cui il Tribunale ritiene di procedere in via equitativa, prendendo come riferimento il valore locatizio dell'immobile così come stabilito dalle parti nel contratto (Euro 600,00 annuali) e riducendolo approssimativamente alla metà, posto che le infiltrazioni e di conseguenza il mancato godimento concernevano solo parte dell'immobile, così da avere un valore di Euro 20/mese.

Quanto alla decorrenza, il Tribunale prende come dies a quo il verbale dei VVF intervenuti su richiesta di Tizia e come termine finale il terzo mese successivo a quello in cui avvenne l'intervento dell'ente pubblico che eliminò la perdita nella tubazione idrica di pertinenza di Caio, dato che il CTU aveva accertato che era stato necessario tempo per l'asciugatura, così da stabilire un arco di 21 mesi ed un importo di Euro 500,00 circa.

Rispetto al concorso di colpa di Caio, di cui alle difese dell'ente pubblico, il Tribunale ritiene che esso non sia stato provato, perché l'unico documento in merito risulta essere la relazione di sopralluogo del tecnico dell'ente pubblico, che si verificò a causa già avviata, ove si riferisce che Caio non volle concedere l'accesso a detto tecnico; secondo il Giudice detta condotta non costituisce prova di effettivo ostruzionismo, anche a fronte della condotta di Caio per come descritta dallo stesso nelle proprie difese e non contestata dalle altre parti (intervento di ripristino a favore di Tizia e costituzione in giudizio con atteggiamento collaborativo verso il CTU). Il Tribunale intende pertanto osservare che la condotta di Caio non può essere utilizzata dall'ente pubblico come concorso di colpa nell'aggravamento del danno, in quanto il periodo di tempo considerato dalla relazione del tecnico era riferito a momento in cui il danno era già emerso e la causa era stata avviata.

Interessante l'excursus rispetto alla denegata liquidazione del danno non patrimoniale sub specie di danno alla salute e danno alla vita di relazione.

Del secondo ritiene il Giudice che Tizia non abbia dato alcuna rappresentazione e allegazione, limitandosi ad affermale in modo generico ed apodittico, mancando così nell'adempimento dell'onere della prova.

Il danno alla salute risulta invece dedotto da Tizia in modo generico, con produzione di documenti che però non sono sufficienti a corroborarne l'esistenza.

Secondo il Tribunale, infatti, Tizia aveva l'onere di «addurre elementi probatori medico-legali che esprimessero spiegazioni causali dei suoi disturbi sulla base di specifiche e concrete circostanze, conosciute dal medico o comunque a lui documentate oggettivamente, e attraverso congruenti motivazioni, non tramite mere asserzioni o anamnesi».

Con ciò si intende che il verbale di Pronto Soccorso o la certificazione medica che si limitino a riportare quanto il paziente riferisce, senza esprimersi in ordine all'origine della patologia e senza essere in questo sostenuti da accertamenti ed analisi oggettive e riscontrabili non possono costituire prova del danno invocato.

Sentenza
Scarica Trib. Roma 15 dicembre 2022 n. 18499
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