Torniamo nuovamente a discutere di assolvimento dell'onere della prova relativo ad un caso che vede coinvolti il conduttore contro il locatore.
Locazione, deposito cauzionale e risarcimento del danno: la vicenda
Tizia e Caio, conduttori, si rivolgono al Tribunale affinché esso emetta decreto ingiuntivo e condanni i locatori Sempronio e Mevia a pagare la somma di circa 1.000,00 Euro a titolo di deposito cauzionale, oltre gli interessi medio tempore maturati.
Apprendiamo che Tizia e Caio avevano lasciato l'immobile locato a seguito di diniego di rinnovo, cioè della disdetta data dai locatori Sempronio e Mevia.
Costoro oppongono il decreto ottenuto da Tizia e Caio, sostenendo di aver rinvenuto ai danni materiali all'immobile e giardino pertinenziale, quantificati dal proprio Consulente Tecnico di Parte (CTP) in oltre 1.000,00 Euro e domandano in via riconvenzionale la condanna dei conduttori al risarcimento dei danni oppure, in subordine, la compensazione giudiziale tra il danno e il deposito cauzionale.
Il Tribunale, parzialmente accogliendo l'opposizione, condanna i locatori a corrispondere Euro 500,00 circa in luogo degli oltre 1.000,00 di cui al decreto ingiuntivo, oltre interessi.
Tizia e Caio propongono appello e la Corte d'Appello di Venezia, anch'essa in riforma parziale, condanna i locatori a pagare 900,00 Euro circa oltre interessi.
Proposto da parte dei locatori Sempronio e Mevia ricorso per Cassazione, questa con l'ordinanza n. 20177 del 22 giugno 2022, lo rigetta, confermando la pronuncia di secondo grado.
Quindi la compensazione tra il deposito cauzionale ed il danno ricevuto è stata applicata solamente per circa 100 Euro.
Deposito cauzionale e obblighi del locatore
Fissato dall'art. 11 della Legge 27 luglio 1978, n. 392, il deposito cauzionale è una somma di denaro, diversa e distinta dal canone di locazione, che il conduttore corrisponde al locatore all'atto della firma del contratto a garanzia dell'adempimento delle obbligazioni che la legge pone a suo carico.
Non può essere superiore a tre mensilità - l'art. 11 si applica anche ai contratti che erano in corso alla data di entrata in vigore della Legge 392/78.
Le parti potrebbero anche non averlo previsto, in tal caso si intende che vi abbiano rinunciato.
Se invece è previsto contrattualmente, il mancato versamento è motivo di risoluzione del contratto.
Al termine del contratto, per qualsiasi motivo esso termini, il locatore ha l'obbligo di restituire al conduttore il deposito cauzionale a condizione che il conduttore riconsegni l'immobile nelle condizioni in cui l'ha ricevuto e abbia integralmente adempiuto alle proprie obbligazioni, comprese quelle relative alla manutenzione, alla conformità dell'uso a quello pattuito, ai danni, etc.
Se il locatore decide di trattenere il deposito anche dopo la riconsegna dell'immobile, egli è onerato di promuovere domanda giudiziale per l'attribuzione del deposito a copertura, totale o parziale dei danni o dell'inadempimento del conduttore; se non lo fa, il conduttore può a sua volta ottenere un decreto ingiuntivo per l'importo del deposito.
Quanto agli interessi, essi maturano sul deposito con cadenza annuale e vanno corrisposti alla fine di ogni anno oppure alla scadenza contrattuale, anche in assenza di espressa richiesta del conduttore.
Anch'essi vengono liquidati, quando il contratto viene risolto, se il conduttore è stato adempiente a tutte le proprie obbligazioni. Gli interessi possono essere compensati con i canoni di locazione non pagati dal conduttore (Cassaz. 21 giugno 2002, n. 9059).
Il diritto alla restituzione del deposito si prescrive in 10 anni dall'effettiva riconsegna dell'immobile, mentre quello agli interessi in 5 anni dalla medesima data.
La prova del danno all'immobile locato
Che cosa hanno lamentato Sempronio e Mevia, quali locatori, nel caso di specie e nel ricorso alla Corte di legittimità?
Secondo gli stessi, i giudici di merito hanno errato nel non considerare la perizia di parte e gli altri elementi presenti al momento del rilascio dell'immobile come indizi gravi, precisi e concordanti idonei a formare presunzioni da cui trarre il proprio convincimento in ordine all'esistenza del danno.
Ora, è bene precisare che, come visto anche sopra menzionando le cifre di cui si discute, si tratta di danni davvero lievi - si tratterebbe, lo evinciamo dalla narrativa dell'ordinanza in commento, di piante essiccate nel giardino e di una buca lasciata dopo l'estirpazione di un albero di proprietà dei conduttori, nonché di danni alla caldaia ed all'impianto di irrigazione, ove peraltro la locazione era durata tre anni solamente.
Secondo i locatori, la circostanza, non negata dalla Corte d'Appello, che fossero presenti piante essiccate al momento del rilascio dell'immobile, la circostanza che, durando la locazione da 3 anni, l'essiccamento non potesse che essere conseguenza del disinteresse dei conduttori, che il materiale fotografico allegato alla perizia ritraesse le piante secche e la buca lasciata dai conduttori ed infine il mancato rinvenimento del libretto di irrigazione dell'impianto e del libretto di manutenzione della caldaia sono tutti elementi che dovevano indurre la Corte a ritenere provato il danno subìto.
Secondo la Cassazione, a mente della pronuncia delle sue Sezioni Unite n. 1785 del 2018, la denuncia di violazione delle norme in materia di prova presuntiva deve essere eseguita secondo ben precisi parametri, ovvero richiede «un'attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice del merito - assunto, però, come tale e quindi, in facto, per come è stato enunciato - risulti irrispettoso del paradigma della gravità o di quello della precisione o di quello della concordanza».
Pertanto, secondo la Cassazione, non può essere ammissibile la domanda del ricorrente che si limiti a lamentare che il Giudice del merito abbia ricostruito in modo erroneo le circostanze fattuali da cui deriva il ragionamento presuntivo oppure che il Giudice abbia applicato una inferenza probabilistica diversa da quella che si sarebbe dovuto applicare, senza però spiegare e dimostrare perché quanto da costui applicato esorbiti i paradigmi dell'art. 2729, 1° comma, c.c.
Ed ancora: «in tema di presunzioni di cui all'art. 2729 cod. civ., la prospettazione che il giudice di merito abbia omesso di considerare un fatto noto come giustificativo dell'inferenza di un fatto ignoto e, dunque, la mancanza di applicazione di un ragionamento presuntivo che si sarebbe potuto e dovuto fare, è deducibile, ove ne ricorrano i presupposti, solo ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come omesso esame di un fatto secondario (Cass., sez. 3, 6/07/2018, 17720)».
Inoltre, «la violazione del precetto di cui all'art. 2697 cod. civ. si configura nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull'esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395; Cass., sez. 6- 3, 23/10/2018, n. 26769; Cass., sez. L, 19/08/2020, n. 17313; in motivazione non massimata sul punto, ma con espressa enunciazione, Cass., sez. U, 5/08/2016, n. 16598)».
La valutazione equitativa dei danni
La Corte rigettò la richiesta di valutazione equitativa del danno sostenendo, a dire dei locatori, che non potendo dubitarsi dell'esistenza degli stessi, circa la loro quantificazione (cui secondo i locatori doveva soccorrere la valutazione equitativa del Giudice) sussistevano indici oggettivi, come la perizia di parte e le testimonianze, idonei a supportare una quantificazione di sorta del danno.
Lamentano ancora i locatori che la Corte rigettò la loro istanza di svolgere CTU ritenendola superflua, stante l'esiguo valore della causa.
La Cassazione rigetta anche questo motivo di doglianza, rammentando che l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al Giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c. è espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c., ma lo stesso non dà luogo ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall'altro non ricomprende anche l'accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l'onere della parte di dimostrare la sussistenza e l'entità materiale del danno, né esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l'apprezzamento equitativo sia, per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell'iter della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno (citate in pronuncia Cass., sez. 2, n. 13288, 07/06/2007; Cass., sez. 6 - L, 19/12/2011, n. 27447; Cass., sez. 3, 12/01/2011, n. 20990; Cass., sez. 3, 30/04/2010, n. 10607; Cass., sez. 3, 8/01/2016, n. 127).
Pertanto, la contestazione della non conformità a diritto dell'attività del Giudice che ha ritenuto insussistenti i presupposti legali per procedere alla liquidazione equitativa del danno richiede che la parte provi l'impossibilità o la particolare difficoltà di dimostrare il danno nel suo preciso ammontare (Cass., sez. 3, 23/09/2016, n. 18804; Cass., sez. 3, 17/10/2016, n. 20889; Cass., sez. 2, 22/02/2018, n. 4310).
Il problema, poi, nel caso di specie, era dato dal fatto che i locatori non erano riusciti a dare la prova che le x, all'inizio del rapporto di locazione, fossero diverse e comunque migliori rispetto a quelle desumibili dalle fotografie allegate alla perizia di parte.
Quanto alla mancata ammissione di CTU, la Corte, rammentando che l'omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. rilevante ai fini di cui all'art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie (Cass., sez. 6 - 1, n. 13716 del 05/07/2016), riqualifica la domanda di Sempronio e Mevia ritenendo che essi stiano censurando il fatto che la Corte non abbia ammesso una prova ritualmente e legittimamente richiesta con i modi ed i tempi previsti, doglianza che avrebbe dovuto essere fatta valere con la revocazione di cui all'art. 395, 1° comma, n. 4) c.p.c.
Tuttavia, secondo la Corte, la revocazione delle decisioni (anche quelle della Corte di legittimità) non è ammissibile per errore di fatto qualora lo stesso abbia costituito un punto controverso oggetto della decisione, qualora, cioè, su detto fatto siano emerse posizioni contrapposte tra le parti che abbiano dato luogo ad una discussione in corso di causa, in ragione della quale la pronuncia del Giudice non si configura come mera svista percettiva, ma assume necessariamente natura valutativa, sottraendosi come tale al rimedio revocatorio (Cass., sez. 5, 8/06/2018, n. 14929).
Nel caso di specie, le posizioni delle parti non erano contrapposte e la questione non è stata oggetto di apprezzamento nella decisione, cosicché non sussisterebbe nemmeno un interesse a riproporla.