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Locale deposito invaso dalle infiltrazioni: il danno alle merci va provato.

È onere del danneggiato dimostrare che una o più cose siano state deteriorate a seguito dell'evento in contestazione e che questi beni abbiano un valore economico.
Avv. Marco Borriello 
16 Ott, 2023

In ambito condominiale, la rottura di una tubatura è molto frequente. Ciò può avvenire per la vetustà dell'impianto piuttosto che per l'omessa manutenzione delle condutture. In questo, come in altri casi analoghi, il fabbricato è chiamato a rispondere dell'evento e delle sue conseguenze in ragione del rapporto di custodia col bene (ex art. 2051 cod. civ.).

Se tutto ciò si verificasse, l'ente sarebbe, quindi, tenuto a risarcire i danni provocati dalla fuoriuscita del liquido, ad esempio, a carico degli oggetti depositati nel locale interessato dal sinistro, irrimediabilmente, deteriorati a causa dell'acqua.

Si è occupata di una circostanza del genere, la Corte di Appello di Napoli che, con la recente sentenza n. 3926 del 19 settembre 2023, ha risolto, almeno per ora, una lite sul punto tra il conduttore di un immobile ubicato nel piano interrato di un fabbricato e il condominio.

È opportuno, però, approfondire il caso concreto per comprendere cosa è accaduto in questo edificio campano e come ha risolto la diatriba l'ufficio partenopeo.

Locale deposito e infiltrazioni: il danno alle merci va provato. Fatto e decisione

Nell'ormai lontano autunno del 2010, in un condominio, durante la notte, si rompeva la fecale comune.

Il liquido, conseguentemente fuoriuscito dalla tubatura, invadeva un locale interrato dell'edificio, all'interno del quale il conduttore custodiva oggetti personali e merci destinate alla vendita nel vicino locale commerciale di sua pertinenza. Secondo il locatario, molti di questi beni erano, irrimediabilmente, danneggiati.

Per questo motivo reclamava il risarcimento al condominio senza, però, ottenere alcun riscontro stragiudiziale. La lite, pertanto, si spostava, irrimediabilmente, in sede giudiziale.

Dinanzi al competente Tribunale di Napoli, l'attore chiedeva un risarcimento da quantificare, in via equitativa, entro il limite di € 26.000. Quale prova dei danni sofferti produceva, quindi, alcune fatture commerciali, le foto dei luoghi e le dichiarazioni di un paio di testimoni, ritualmente escussi. Ebbene, per il magistrato de quo, la prova dei danni non era raggiunta.

In particolare, secondo il Tribunale, le foto depositate erano poco chiare e comunque non riproducevano i beni, presuntivamente, danneggiati. Le fatture agli atti, inoltre, non provavano che le merci, oggetto delle medesime, fossero presenti in loco al momento del sinistro: esse mostravano un indirizzo di consegna diverso da quello dell'immobile interessato dalle infiltrazioni.

Danni da allagamento e concorso di colpa del danneggiato

Infine i testimoni avevano reso una deposizione generica, visto che non erano stati in grado di descrivere gli oggetti, effettivamente, danneggiati se non per sommi capi. Insomma, era impossibile procedere all'eventuale quantificazione equitativa dei danni sofferti visto che mancavano gli elementi per potere desumere l'entità dei medesimi.

Avverso questa decisione, l'attore proponeva appello. In particolare, l'istante sottolineava il fatto che la rottura della tubatura e il pedissequo allagamento nell'immobile non erano stati contestati. Anche per questo motivo, quindi, le prove offerte dei danni erano state più che sufficienti a suffragare la domanda e a fornire al giudice di prime cure gli argomenti per procedere alla liquidazione equitativa.

Per la Corte di Appello di Napoli, invece, la sentenza di primo grado aveva, correttamente, escluso che il risarcimento potesse essere riconosciuto in re ipsa solo in virtù dell'acclarato sinistro dedotto in giudizio. Sarebbe stata, quindi, necessaria la prova dei danni, cosa che non era ritualmente avvenuta. L'appello, perciò, è stato respinto.

Onere della prova per il risarcimento danni: responsabilità del danneggiato

In tema di riconoscimento di un risarcimento danni, la Corte di Appello di Napoli conferma che è onere del danneggiato dimostrare che una o più cose siano state, effettivamente, deteriorate a seguito dell'evento in contestazione e che questi beni abbiano un valore economico.

Fatto ciò, solo qualora sia impossibile la quantificazione dell'indennizzo, si potrà procedere con una liquidazione in via equitativa.

È a queste condizioni, quindi, che, in un caso del genere, è possibile accogliere la domanda di ristoro, poiché la mancata stima del danno non può dipendere dalla negligenza del danneggiato nel produrre gli elementi da cui desumere il medesimo "la liquidazione in via equitativa del danno postula, in primo luogo, il concreto accertamento dell'ontologica esistenza di un pregiudizio risarcibile, il cui onere probatorio ricade sul danneggiato e non può essere assolto dimostrando semplicemente che l'illecito ha soppresso una cosa determinata, se non si provi, altresì, che essa fosse suscettibile di sfruttamento economico, e, in secondo luogo, il preventivo accertamento che l'impossibilità o l'estrema difficoltà di una stima esatta del danno stesso dipenda da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l'entità (Cass. civ., sent. 12 aprile 2023, n. 9744)".

Sentenza
Scarica App. Napoli 19 settembre 2023 n. 3926
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