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L'espressione “salvi i diritti dei terzi” nei provvedimenti edilizi: cosa vuol dire?

L'importanza dell'espressione “salvi i diritti dei terzi” nei provvedimenti edilizi: chiarimenti sulle responsabilità della P.A. e tutela dei diritti privati in caso di conflitto.
Redazione Condominioweb 
13 Nov, 2024

In linea generale la P.A., quando riceve una richiesta di titolo edilizio accerta che l'istante sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria.

Sugli enti locali non grava un obbligo di effettuare però complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità del bene o di verificare l'inesistenza di servitù o altri vincoli reali che potrebbero limitare l'attività edificatoria richiesta, atteso che il titolo edilizio è un atto amministrativo che rende semplicemente legittima l'attività edilizia.

Fondamentale è però l'espressione "fatti salvi i diritti dei terzi" contenuta nei titoli edilizi: tale indicazione sta appunto a significare che l'Amministrazione certifica la conformità dell'intervento alla normativa edilizia e urbanistica, ma non ha responsabilità nel caso in cui, malgrado l'espletamento di una sommaria attività di verifica della legittimazione, l'intervento pregiudichi i diritti di un terzo, ad esempio un confinante, che per tutelarsi potrà ricorrere al giudice ordinario.

Tutti gli atti autorizzativi vengono infatti rilasciati, approvati o assentiti con salvezza dei diritti dei terzi e non sono a questi opponibili, dovendosi caso mai concludere per l'inefficacia dell'autorizzazione qualora le prescrizioni imposte o gli interventi consentiti non risultino praticabili dall'istante per contrasto con diritti dei terzi; e ciò indipendentemente dalla condotta, inerte o partecipativa, tenuta dai terzi nel corso del procedimento amministrativo, ove non viene il rilievo il profilo della compatibilità con i loro diritti soggettivi.

Come ha affermato un giudice di merito in una recente decisione, in nessun caso, dunque, il soggetto autorizzato potrà far valere la conformità al titolo abilitativo in pregiudizio delle ragioni di terzi (Trib. Patti 8 ottobre 2024 n. 1081).

Nel caso esaminato il titolare di un immobile ha chiesto ed ottenuto la condanna della parte convenuta ad arretrare il suo fabbricato alla distanza di cinque metri dal confine, nel rispetto delle norme del regolamento edilizio del Comune di riferimento e quelle del codice civile.

La Cassazione ha già precisato che le norme dei regolamenti edilizi che impongono distanze tra le costruzioni maggiori rispetto a quelle previste dal codice civile o stabiliscono un determinato distacco tra le costruzioni e il confine sono volte non solo a regolare i rapporti di vicinato evitando la formazione di intercapedini dannose, ma anche a soddisfare esigenze di carattere generale, come quella della tutela dell'assetto urbanistico" e ciò a prescindere dalla circostanza che gli edifici si fronteggino (Cass. civ., 17/09/2024, n. 24936).

Si ricorda che sono esclusi dal calcolo delle distanze solo gli sporti con funzione meramente ornamentale, di rifinitura o accessoria (come le mensole, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili), non anche le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza, specie ove la normativa locale non preveda un diverso regime giuridico per le costruzioni accessorie (Cass. civ., sez. II, 21/03/2024, n. 7604).

Sentenza
Scarica Trib. Patti 8 ottobre 2024 n. 1081
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