Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (ordinanza n. 28508 del 15 dicembre 2020) si è occupata del delicato tema della legittimazione a impugnare una delibera condominiale. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha dovuto stabilire se il semplice comodatario abbia il diritto di impugnare una delibera assembleare qualora risulti a lui lesiva.
Con la stessa pronuncia la Suprema Corte si è soffermata anche sulla portata delle clausole arbitrali inserite all'interno del regolamento. Per la precisione, la Corte di Cassazione si è dovuta esprimere sulla presunta improcedibilità dell'azione giudiziaria intrapresa avverso la delibera assembleare in presenza di una competenza arbitrale stabilita dal regolamento condominiale per tutte le controversie insorte tanto nell'adempimento del regolamento quanto nell'uso della comproprietà, qualora non possano essere sistemate dall'amministratore.
Impugnazione delibera, legittimazione e arbitrato: il caso
Il caso sottoposto al giudice nomofilattico riguardava l'impugnazione, da parte di due condòmini, di una delibera condominiale nella parte in cui la stessa disponeva la rimozione dell'insegna pubblicitaria e del congegno di apertura del cancello posti su parti comuni, stante la cessazione dell'attività commerciale esercitata da uno degli attori.
Il giudice di prime cure, accogliendo le eccezioni sollevate dal condominio convenuto, aveva dichiarato privo di legittimazione ad impugnare la delibera uno dei condòmini, in quanto mero comodatario dell'unità immobiliare, nonché improcedibile l'azione intentata dall'altro condomino, in forza della clausola arbitrale contenuta nel regolamento condominiale.
In merito a quest'ultimo punto, a parere del giudice sussisteva la competenza arbitrale stabilita dal regolamento condominiale «per tutte le controversie che dovessero insorgere tanto nell'adempimento del presente regolamento quanto nell'uso della comproprietà, qualora non potessero essere sistemate dall'amministratore, oppure si originassero tra amministratore e proprietario», dovendosi all'uopo nominare un arbitro amichevole difensore ovvero un collegio di arbitri, che «giudicheranno inappellabilmente secondo equità, prosciolti da formalità di giudicato».
Legittimazione a impugnare e procedibilità: i motivi del ricorso
Con riferimento all'improcedibilità per la presenza della clausola arbitrale, i ricorrenti rappresentavano alla Suprema Corte che la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare che, ai sensi della clausola arbitrale del regolamento condominiale, il ricorso all'arbitrato sarebbe stato invocabile solo per controversie riguardanti diritti condominiali disponibili, mentre la rimozione dell'insegna pubblicitaria e del congegno di apertura del cancello non era più nella disponibilità del condominio a seguito di transazione intervenuta con il condominio con cui era stato sancito il diritto a mantenere tali manufatti.
Per quanto concerne la presunta carenza di legittimazione attiva per via della qualità di comodatario di uno dei ricorrenti, veniva lamentata la sussistenza di un interesse concreto ad impugnare la delibera, stante il danno che il comodatario avrebbe subito dalla rimozione dell'insegna pubblicitaria e del congegno di apertura del cancello inerenti alla sua impresa commerciale.
Clausola arbitrale e regolamento condominiale: la decisione della Suprema Corte
Secondo il giudice della nomofilachia, è granitico l'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'art. 1137, comma 2, c.c., nel riconoscere ad ogni condominio assente, dissenziente o astenuto la facoltà di ricorrere all'autorità giudiziaria avverso le deliberazioni dell'assemblea del condominio, non pone una riserva di competenza assoluta ed esclusiva del giudice ordinario e, quindi, non esclude la possibilità del ricorso a un arbitrato, anche irrituale.
È appena il caso di ricordare che l'arbitrato rituale, espressamente disciplinato dal codice di procedura civile, ricorre quando le parti di una controversia demandano agli arbitri l'esercizio di una giurisdizione, concorrente con quella ordinaria, per la risoluzione della lite.
Si ha, invece, un arbitrato irrituale (o libero) quando agli arbitri è conferita la risoluzione di un rapporto controverso mediante una dichiarazione di volontà che viene imputata alle stesse parti del rapporto.
Secondo la pronuncia in commento, vertendosi in tema di interpretazione di una clausola arbitrale, l'accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un'indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. «Ne consegue che detto accertamento è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all'atto negoziale un determinato contenuto oppure nel caso di violazione di norme ermeneutiche (Cass. Sez. 6 - 1, 27/03/2012, n. 4919)».
Il giudice di prime cure (e successivamente la Corte d'Appello) ha plausibilmente ricompreso nelle attribuzioni del collegio arbitrale l'impugnazione di una deliberazione assembleare concernente la rimozione di manufatti esistenti su parti comuni.
La dedotta nullità della delibera impugnata, perché asseritamente in contrasto con precedente accordo transattivo costitutivo di un assetto convenzionale dei diritti dei contendenti sui beni comuni per cui è causa, nonché l'erroneità dei presupposti di fatto su cui essa poggia, non investono diritti o situazioni sottratte alla disponibilità delle parti, rientrando nella competenza arbitrale la stessa cognizione delle ragioni di invalidità di tale delibera.
Il motivo del ricorso è infondato ed è pertanto da rigettare.
Legittimazione del comodatario a impugnare: il parere della Cassazione
Per quanto concerne il secondo motivo di ricorso, cioè la legittimazione attiva del comodatario a impugnare la delibera condominiale, la Suprema Corte ricorda che il generale potere ex art. 1137 c.c. di impugnare le deliberazioni condominiali contrarie alla legge o al regolamento compete al proprietario della singola unità immobiliare, mentre non spetta al comodatario di un'unità immobiliare, essendo lo stesso titolare non di un diritto reale, ma di un diritto personale derivante da un contratto ad effetti obbligatori (arg. da Cass. Sez. 2, 25/10/2018, n. 27162).
A colui che, come il comodatario nel caso di specie, terzo rispetto ai rapporti reali che legano i proprietari delle singole unità immobiliari, intenda prospettare la titolarità di una situazione giuridica qualificata da una correlazione agli effetti della deliberazione adottata dall'assemblea, può altrimenti accordarsi l'interesse a proporre un'azione di mero accertamento dell'eventuale nullità della delibera o ad agire in sede risarcitoria.
Anche questo motivo di ricorso è dunque infondato. Sul punto, peraltro, la giurisprudenza è praticamente uniforme: «il potere di impugnare le deliberazioni condominiali compete, per il disposto dell'art. 1137 cod. civ., ai titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari, anche in caso di locazione dell'immobile, salvo che nella particolare materia dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, per la quale la decisione e, conseguentemente, la facoltà di ricorrere, sono attribuite ai conduttori» (ex plurimis, Cass., sez. 2, sent. n. 869 del 2012; Cass., sez. II Civile, 5 gennaio 2017, n. 151).