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È lecito posizionare un manufatto in ferro sul vialetto di accesso del palazzo?

I beni comuni devono essere rispettati dai singoli condomini sia alla luce di eventuali clausole del regolamento, sia per il disposto dell'art. 1102 c.c.
Avv. Anna Nicola Avv. Anna Nicola 

I beni condominiali sono quelli elencati a titolo esemplificativo dall'art. 1117 c.c. ma ve ne possono essere altri per destinazione dello stesso bene o per previsione regolamentare. I beni e servizi comuni, proprio perché comuni, sono al servizio della collettività degli abitanti dell'edificio e uno di questi non può rendere di sua proprietà o possesso neanche in parte i beni comuni.

Questo sia per previsione regolamentare, sia in generale per il disposto dell'art. 1102 c.c. che sancisce il pari diritto di uso in capo a tutti i condomini.

Il caso di specie sul tema è del Tribunale di Velletri del 3 luglio 2023 n. 1328.

È lecito posizionare un manufatto in ferro sul vialetto di accesso del palazzo? Fatto e diritto

Con atto di citazione il condominio chiama in giudizio due condomini domandando al Tribunale di accertare e dichiarare la violazione da parte loro del regolamento di condomino e dell'art. 1102 c.c. perché avevano posizionato un manufatto in ferro sul vialetto di acceso del palazzo.

Chiedono quindi la rimozione dell'opera e di far cessare il transito e lo stazionamento dei clienti dell'attività commerciale esistente sul vialetto dell'androne dell'edificio.

Asserisce inoltre il condominio che i convenuti nell'aprile 2017 avevano installato sul vialetto condominiale - ove si affacciano due vetrine di detto locale - un gradino in ferro per facilitare l'accesso alle entrate laterali dell'immobile, e che nonostante i solleciti del condominio non lo avevano mai rimosso.

Si costituiscono i convenuti. La vertenza è istruita sia con prova per testi sia con CTU per la verifica dei luoghi attuali; per accertare se l'ingresso dell'immobile di proprietà dei condomini che insiste sul vialetto condominiale sia conforme ai progetti originali o se vi siano delle violazioni; per analizzare se vi siano manufatti che occupano l'ingresso del vialetto in violazione del regolamento; infine per verificare se il cancello posizionato dal condominio sul vialetto in questione fosse in violazione delle norme urbanistiche.

I convenuti propongono domanda riconvenzionale affermando che la chiusura del vialetto condominiale con l'apposizione di due cancelli fosse abusiva, abuso peraltro accertato dalla Polizia Locale e dal Comune, il quale promuoveva diffida al condominio di eliminare i cancelli in oggetto.

Inoltre osservano che questo cancello e il muro di recinzione sono stati edificati in parte su un'area di loro esclusiva proprietà, così violandone il corrispondente diritto.

La CTU evidenzia "Il prospetto sul vialetto condominiale, indicato come "PROSPETTO D - proprietà X", riporta nella proprietà dei resistenti, soltanto un'apertura con parapetto."; "Le aperture prospicienti sul viale condominiale, non sono conformi alla Licenza Edilizia, che risulta in atti al Comune…".

Quindi si ha che, osserva il Tribunale, proprio a causa dell'apertura con parapetto (finestra) come da licenza, sia stato realizzato un vero e proprio ingresso (abusivo) che "sfocia" nel vialetto condominiale.

Presunzione di condominialità e rimozione manufatto

Ne consegue che un locale che avrebbe dovuto avere un unico ingresso sulla strada, è stato modificato in uno con un altro ingresso lato vialetto condominiale.

I condomini hanno quindi violato la volontà condominiale espressa in una precedente delibera mai impugnata e il CTU ha accertato che "Nel vialetto condominiale, antistante l'attuale ingresso al negozio, è posto uno scatolato metallico amovibile con bloccaggio tipo a "baionetta", di larghezza di cm 40 x una larghezza di cm 200 ed una altezza di cm 23. Il box metallico, posto sul vialetto condominiale, funge da gradino per entrare e uscire dal negozio dei resistenti".

Conclude il Tribunale affermando che esso deve essere rimosso in quanto in violazione del dettato di cui all'art.1102 c.c.

In ordine alla domanda riconvenzionale osserva il Giudice che è agli atti che l'amministratore del condominio ha presentato istanza ai sensi dell'art. 167 del D.Lg 42/04 di autorizzazione paesaggistica postuma per regolarizzare i lavori eseguiti per l'istallazione di un cancello ed una recinzione in assenza di autorizzazione paesaggistica. La domanda riconvenzionale è quindi infondata.

Considerazioni conclusive

L'art. 1102 c.c. è nel senso che ciascun condomino o comunista ha diritto di trarre dal bene comune un'utilità - più intensa o anche semplicemente diversa da quella ottenuta eventualmente in concreto dagli altri, sempreché non ne alteri la destinazione o comprometta il diritto al pari uso. A questo fine il singolo condomino può apportare alla cosa comune le modificazioni del caso, sempre sul presupposto che l'utilità, che in contrasto con la specifica destinazione della medesima o, a maggior ragione, che essa non perda la sua normale ed originaria destinazione (Cass. Civ., sez. II, 03/06/2015, n. 11445; Cass. 1062/11; Cass. 12310. 2011)

Lo stesso vale quando il regolamento di condomino dispone un certo uso di un bene o servizio comune.

«Essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto» (Cass. sez. II, sentenza 03/08/2012, n. 14107).

A contrariis, il pari uso della cosa comune è da valutarsi non come assoluta identità del suo uso da parte di ciascun condomino, poiché l'identità nello spazio o nel tempo di questo uso potrebbe comportare un sostanziale divieto, per ogni condomino, di fare della cosa comune qualsiasi uso particolare o a proprio esclusivo vantaggio senza che venga alterato il rapporto di equilibrio tra i partecipati alla utilizzazione del bene in comunione (Cass. 14 aprile 2015, n. 7466).

La Cassazione ha precisato che «la quota di proprietà di cui all'articolo 1118 c.c., quale misura del diritto di ogni condomino, rileva relativamente ai pesi ed ai vantaggi della comunione; ma non in ordine al godimento che si presume uguale per tutti, come ribadisce l'articolo 1102 c.c. con il porre il limite del "pari uso"» (così Cass. Civ., sez. II, 7 dicembre 2006, n. 26226).

Sentenza
Scarica Trib. Velletri 3 luglio 2023 n. 1328
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