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Le costruzioni ed il D.M. 2 aprile 1968 N. 1444

Il D.M. 1444/68 integra i principi, sanciti dal c.c., in tema di distanze delle costruzioni: si tratta di disposizione integrativa del c.c. non derogabile dalle norme locali e, nel caso in esame, vi è stata una diretta applicazione della stessa.
Avv. Anna Nicola 
21 Dic, 2022

La Cassazione n. 35780 del 6 dicembre 2022 esamina il caso di costruzioni non nel rispetto del D.M. 1444.1968.

La vicenda supera i due gradi di merito per giungere davanti alla Suprema Corte.

Il Supremo Collegio esamina la decisione della Corte di Appello per verificarne la correttezza o meno e così osserva.

Le costruzioni ed il D.M. 2 aprile 1968 N. 1444: la vicenda

La Corte di appello di Roma, nell'esame della fattispecie, ha riconosciuto che, nella specie, l'intervento edilizio realizzato dagli originari attori del loro fabbricato era avvenuto nell'anno 1996, per cui doveva avvenire secondo la previsione dell'art. 9, n. 2, del d.m. 2 aprile 1968, seppure non recepita nel Programma di Fabbricazione del Comune Laziale, approvato e pubblicato nel Bollettino Ufficiale Regione Lazio n. 24 del 30.08.1986.

Normativa sulle distanze minime tra edifici secondo il D.M. 1444/1968

In ragione di questa norma - che impone una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - la corte d'appello non ha tenuto conto dei principi consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte, che è il caso di richiamare: si tratta di disposizione integrativa della disciplina del codice civile sulle distanze; non derogabile in sede locale (Cass. n. 1556/2005; n. 19554/2009); il giudice ha la potestà di disapplicare la norma regolamentare difforme ed applicare le distanze previste dal d.m. 1444 quale norma di relazione immediatamente efficace nei rapporti fra privati (Cass., Sez. Un. n. 14953 del 2011).

L'art. 9 del d.m. 1444/68 prescrive la distanza minima tra parete e parete finestrata. È pacifico che l'art. 9 è applicabile anche nel caso in cui una sola delle due pareti fronteggiantesi sia finestrata (Cass., Sez. Un., n. 1486 del 1997; Cass. n. 1984 del 1999) e indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del muovo edificio o dell'edificio preesistente (Cass. n. 13547 del 2011), o che si trovi alla medesima altezza o diversa altezza rispetto all'altro (Cass. n. 8383 del 1999).

Finalità della norma è la salvaguardia dell'interesse pubblico-sanitario a mantenere una determinata intercapedine fra gli edifici che si fronteggiano quando uno dei due abbia una parete finestrata (Cass. n. 20574 del 1997).

La «antistanza» va intesa come circoscritta alle porzioni di pareti che si fronteggiano in senso orizzontale.

Nel caso in cui i due edifici siano contrapposti solo per un tratto (perché dotati di una diversa estensione orizzontale o verticale, o perché sfalsati uno rispetto all'altro, il giudice che accerti la violazione delle distanze deve disporre la demolizione «fino al punto in cui i fabbricati si fronteggiano» (Cass. n. 4639 del 1997).

Analisi della decisione sulla configurazione delle facciate antistanti

La Suprema Corte ha osservato che, ai fini dell'art. 9 del d.m. n. 1444/68, due fabbricati, per essere antistanti, non devono essere necessariamente paralleli, ma possono fronteggiarsi con andamento obliquo, purché «fra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale che l'avanzamento di una o di entrambe le facciate medesime porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento» (Cass. n. 4175 del 2001).

Non danno luogo a pareti antistanti gli edifici posti ad angolo retto, né quello in cui sono opposti gli spigoli a potersi toccare se prolungati idealmente uno verso l'altro. Poiché lo scopo del limite imposto dall'art. 873 c.c. è quello di impedire intercapedini nocive, «la norma non trova applicazione quando i fabbricati non si fronteggiano, ma sono disposti ad angolo retto in modo da non avere parti tra loro contrapposte» (Cass. n. 4639/1997 cit.).

È stato anche chiarito che «l'art. 9, n. 2, del d.nn. n. 1444 del 1968 non impone di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, ma va interpretato, in applicazione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete finestrata e l'edificio antistante va mantenuta la distanza di mt. 10, con obbligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di mt. 5 dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, abbia a sua volta osservato una distanza di almeno mt. 5 dal confine.

Ove, invece, il preveniente abbia posto una parete finestrata ad una distanza inferiore a detto limite, il vicino non sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino alla distanza di mt. 10 dalla parete stessa, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le aperture e costruire (con parete non finestrata) rispettando la metà della distanza legale dal confine, ed eventualmente procedere all'interpello di cui all'art. 875, comma 2, c.c., qualora ne ricorrano i presupposti» (Cass. n. 4848 del 2019; Cass. n. 3340 del 2002).

La corte d'appello non si è attenuta a tali principi e pertanto la Suprema Corte ritiene che la doglianza merita accoglimento.

Sentenza
Scarica Cass. 6 dicembre 2022 n. 35780
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