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L'azione negatoria servitutis del terzo nei confronti del condomino: un esempio concreto

L'azione negatoria servitutis consente al proprietario di un fondo di far valere il proprio diritto, ottenendo la rimozione di opere invasive e garantendo il pacifico godimento della proprietà.
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 
Dic 16, 2024

Secondo il codice civile, il proprietario di un immobile può agire per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno (art. 949 c.c.).

Si tratta di un'azione che presuppone che il proprietario abbia la disponibilità anche materiale della cosa (o comunque che non vi sia un terzo che ne disponga invito domino e dal quale doverla recuperare) e lamenti delle "ingerenze" o "interferenze", in fatto e/o diritto, da parte di terzi non aventi titolo legittimante e che incidono sul pacifico godimento del diritto di proprietà.

L'azione negatoria può, infatti, essere volta sia all'accertamento negativo dell'altrui diritto sia all'eliminazione della situazione antigiuridica posta in essere, mediante la rimozione delle opere lesive del diritto di proprietà (Cass. civ., sez. II, 09/01/2017, n. 203; Cass. civ., sez. II, 31/12/2014, n. 27564).

Sotto il profilo probatorio, l'attore deve dimostrare, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido (Cass. civ., sez. II, 11/01/2017, n. 472).

Al convenuto incombe l'onere di provare l'esistenza del diritto a lui spettante (in virtù di un rapporto di natura obbligatoria o reale) di compiere l'attività lamentata come lesiva dall'attore (Cass. civ., sez. II, 28/03/2019, n.869; Cass. civ., sez. II, 15/10/2014, n. 21851; Cass. civ., sez. II, 21/04/2009, n. 9449).

Disputa condominiale per la rimozione di un cancello su fondo servente

Un condominio chiedeva al titolare di un fondo gravato da servitù di passaggio a favore dei condomini "l'autorizzazione all'installazione di un cancello ad apertura e chiusura automatica sul detto terreno, obbligandosi espressamente "… a provvedere, su vostra esplicita richiesta, alla immediata rimozione del cancello stesso"; successivamente con nota scritta del 1990 la realizzazione di tale opera veniva autorizzata.

L'assunzione di uno specifico obbligo alla rimozione del cancello da parte del condominio emergeva altresì da altra nota del 1993 con cui il condominio confermava espressamente "i nostri impegni contenuti nella nostra del 10 gennaio1990".

Con più recente nota del 4 aprile 2024, il proprietario del fondo servente chiedeva alla collettività condominiale di "provvedere…alla rimozione del cancello ad apertura e chiusura automatica, inoperante e lasciato aperto da tempo: lo scopo di tale richiesta era quella di procedere, senza intralcio alcuno, all'installazione di un nuovo cancello ad apertura e chiusura automatica, con consegna delle chiavi di accesso ai condomini per garantire l'esercizio della servitù di solo passaggio.

La richiesta però non veniva accolta; il condominio giustificava il rifiuto con la "necessità garantire l'immediato ingresso con apertura a distanza dal citofono dei mezzi di soccorso che dovessero intervenire all'interno dell'area (ambulanze, forze dell'ordine, etc) ".

Il proprietario del terreno citava in giudizio il condominio per ottenere la condanna di quest'ultimo alla immediata rimozione del cancello insistente sul proprio terreno, richiedendo che fosse fissata una somma di denaro ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c. per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento.

Nonostante la "regolarità" della notifica del ricorso e del decreto di fissazione udienza il convenuto decideva di non costituirsi in giudizio e veniva dichiarato contumace.

Accoglimento dell'azione negatoria per la rimozione del cancello

Secondo il Tribunale l'azione proposta da parte attrice va qualificata come azione negatoria ai sensi dell'art. 949 c.c. In quest'ottica il giudicante ha osservato che, nel caso di specie, l'attore ha assolto all'onere probatorio su di essa incombente, dimostrando (mediante la produzione del proprio titolo di acquisto) di essere il proprietario della particella su cui insiste il cancello oggetto della domanda.

Ciò premesso, il Tribunale ha notato che il rifiuto del condominio è da considerare non solo in contrasto con l'obbligo di rimozione dell'opera assunto con la nota del 10 gennaio 1990 ma anche privo di ogni giustificazione alla luce della titolarità - espressamente riconosciuta da parte attrice - di un diritto di servitù di passaggio sull'area in contestazione.

Del resto, come ha giustamente osservato il decidente, la richiesta rimozione del cancello è stata esercitata dall'ente proprietario del fondo al fine di installare un nuovo cancello utilizzabile anche dai condomini, con conseguente esclusione della volontà di aggravare l'esercizio della servitù e pieno rispetto della previsione dell'art. 1067 c.c., comma 2 (Il proprietario del fondo servente non può compiere alcuna cosa che tenda a diminuire l'esercizio della servitù o a renderlo più incomodo).

Si deve anche considerare che l'apposizione del cancello, costituendo una innovazione su fondo altrui diretta alla limitazione dell'ingresso e del transito del proprietario del fondo servente al proprio fondo, non può annoverarsi nell'ambito delle facoltà accessorie che sono indispensabili per l'esercizio del diritto e senza le quali l'utilitas della servitù non potrebbe ricevere attuazione previste dall'art. 1064 c.c. (Cass. civ., sez. II, 17/11/1979, n. 5983).

Alla luce di detti principi il Tribunale ha accolto la domanda dell'attore e condannato parte convenuta alla rimozione del cancello insistente sul terreno del terzo.

In applicazione dell'art. 614 bis c.p.c., come da richiesta del titolare del fondo servente, il condominio, tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del prevedibile danno nell'ipotesi di continuato inadempimento è stato altresì condannato a pagare l'importo di € 20,00 al giorno per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione della condanna successivo al trentesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza (Trib. Palermo 23 ottobre 2024 n. 5189).

Sentenza
Scarica Trib. Palermo 23 ottobre 2024 n. 5189
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