Tizia proprietaria di unità immobiliare ubicata nel Condominio Alfa faceva causa alla sua dirimpettaia Sempronia. Il perché: secondo l’attrice, la convenuta, senza l’autorizzazione degli altri condomini, aveva intrapreso lavori di ristrutturazione del suo alloggio, incorporando nello medesimo degli spazi comuni.
In considerazione di ciò, Tizia chiedeva la condanna alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento dei danni.
I nomi sono di pura fantasia ma i fatti corrispondono ad una causa risolta dalla Cassazione con la sentenza n. 28025 dello scorso 21 dicembre 2011.
Nei due giudizi di merito emergeva l’illegittimità dell’opera effettuata da Sempronia. La condomina convenuta, dicevano i giudici di merito, aveva di fatto costituito una servitù assoggettando delle parti comuni alla sua proprietà esclusiva. Non è vero, replicava la condomina, inascoltata.
Il suo comportamento era legittimo, si trattava, al massimo, d’un uso lecito della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 c.c. Da qui il ricorso che per Cassazione che le ha dato ragione.
Sempronia non aveva costituita nessuna servitù ma s’era limitata ad usare una parte comune.
Risulta evidente, dice la Cassazione “ l'errore in cui è incorsa la corte distrettuale, in quanto ha ritenuto applicabili, a scapito dell'art. 1102 c.c., le norme sulla servitù, come del resto aveva già fatto il Tribunale, anziché verificare se l'uso del bene comune - la zona immediatamente antistante il muro perimetrale condominiale limitrofo alla porta di accesso all'appartamento di proprietà esclusiva della ricorrente - non ledesse il pari diritto del proprietario dell'appartamento confinante, in particolare, e degli altri condomini, in generale.
In definitiva, l'indagine avrebbe dovuto limitarsi ad accertare l'esistenza di un pregiudizio per il proprietario dell'appartamento limitrofo ovvero degli altri condomini che, a causa e per effetto dello spostamento del muro perimetrale condominiale, avessero subito una diminuzione all'esercizio del loro diritto di transito e accesso sulle cose comuni” (così Cass. 21 dicembre 2011, n. 28025).
Nel dire ciò gli ermellini hanno ricordato che “ l'uso della cosa comune è sottoposto dall'art. 1102 c.c. a due limiti fondamentali, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Del resto questa corte ha più volte affermato che il principio della comproprietà dell'intero muro perimetrale comune di un edificio legittima il singolo condomino ad apportare ad esso (anche se muro maestro) tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini (e, quindi, a procedere anche all'apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali di sua proprietà esclusiva), a condizione di non impedire agli altri condomini la prosecuzione dell'esercizio dell'uso del muro -ovvero la facoltà di utilizzarlo in modo e misura analoghi - e di non alterarne la normale destinazione (v. Cass. 17 febbraio 2005 n. 3265; Cass. 17 ottobre 2003 n. 16097; Cass. 18 febbraio 1998 n. 1708) e sempre che tali modificazioni non pregiudichino la stabilità ed il decoro architettonico del fabbricato condominiale (v. Cass. 26 marzo 2002 n. 4314).
Pertanto la corte distrettuale avrebbe dovuto valutare, alla luce dell'orientamento consolidato di questa corte, se l'avere spostato il muro perimetrale all'altezza della porta di accesso dell'appartamento della ricorrente si risolva o meno in un uso più intenso della cosa comune, purché senza pregiudizio degli altri condomini ” (Cass. 21 dicembre 2011, n. 28025).