L'assemblea non può deliberare interventi di manutenzione sui balconi aggettanti di proprietà privata, trattandosi di beni che non hanno natura condominiale e quindi esulano dalle proprie competenze. In casi del genere la deliberazione è quindi radicalmente nulla. Lo ha ribadito il Tribunale di Teramo con sentenza n. 681 del 9 giugno 2025.
Fatto e decisione.
Nella specie due condomine avevano impugnato il rendiconto approvato dall'assemblea e nel quale l'amministratore aveva ripartito tra i vari condomini le spese sostenute per la manutenzione dei balconi aggettanti, dunque di proprietà privata, pur senza avere mai ricevuto l'assenso di queste ultime allo svolgimento dei lavori.
Di qui la nullità della deliberazione, che le condomine avevano chiesto al Tribunale di accertare e dichiarare.
Il Tribunale di Teramo, nell'accogliere la domanda ha evidenziato come l'impossibilità materiale dell'oggetto della deliberazione assembleare, che conduce alla dichiarazione di nullità della stessa, va valutata con riferimento alla concreta possibilità di dare attuazione a quanto deliberato, mentre l'impossibilità giuridica dell'oggetto va valutata in relazione alle attribuzioni proprie dell'assemblea.
In ordine all'impossibilità giuridica, il Tribunale ha osservato che l'assemblea, quale organo deliberativo della collettività condominiale, può occuparsi solo della gestione dei beni e dei servizi comuni.
Essa è abilitata ad adottare qualunque provvedimento, anche non previsto dalla legge o dal regolamento di condominio, purché destinato alla gestione delle cose e dei servizi comuni.
Perciò, l'assemblea non può perseguire finalità extra-condominiali e non può occuparsi dei beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini, perché qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell'edificio non può essere adottata seguendo il metodo decisionale dell'assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi.
Nel caso di specie il Tribunale ha altresì evidenziato che la natura privata dei balconi aggettanti pertinenziali, qualificabili come estensione dell'unità immobiliare su cui insistono (e, in quanto tali, beni di proprietà esclusiva del proprietario dell'immobile; cfr. Cass. civ., n. 13509/2012), era stata già accertata con precedente pronuncia resa tra le stesse parti dal medesimo Tribunale (sentenza n. 425 del 22 aprile 2021).
Alla luce di tale pronuncia, peraltro coperta dall'efficacia del giudicato, l'assemblea condominiale avrebbe dovuto deliberare in conformità a tale pronunciamento, espungendo, dunque, dal riparto delle spese sostenute per l'effettuazione dei lavori condominiali quelle inerenti alle parti private di proprietà esclusiva delle attrici, per le quali il consenso delle stesse all'effettuazione dei lavori non era mai stato prestato.
Del resto, come pure sottolineato dal giudice, anche il regolamento condominiale riconosceva nella specie la natura privata, e dunque non comune, dei balconi oggetto dei lavori svolti.
Né gli stessi, come pure sostenuto dalla difesa del condominio, potevano essere considerati di "indole generale", circostanza di cui non era stata fornita la prova e smentita dalla consulenza tecnica d'ufficio svolta nel corso del processo.
Il Tribunale ha quindi anche ricordato che, per giurisprudenza maggioritaria, le uniche parti da poter qualificare condominiali e non private sono quelle di particolare pregio artistico ed estetico che influenzano in maniera essenziale l'aspetto ed il decoro architettonico dell'intero edificio in condominio, anche se insistenti su pertinenze private, quali lesene, stucchi o fregi decorativi, elementi questi che certamente non potevano essere individuati, come nella specie, nei vasconi in cemento potenzialmente destinabili a fioriere o alle copertine e soglie in marmo apposti sui balconi.
Considerazioni conclusive.
La tradizionale distinzione tra delibere nulle e annullabili sottende una serie di rilevanti differenze in ordine ai termini di impugnazione e alla natura e agli effetti della sentenza.
Il termine decadenziale di cui all'art. 1137 c.c. vale infatti soltanto per l'impugnazione dei vizi di annullabilità, mentre la nullità della deliberazione può essere validamente contestata anche oltre i trenta giorni di legge.
La sentenza che si pronuncia per la nullità della volontà espressa dall'assemblea è di tipo dichiarativo, limitandosi ad accertare tale circostanza, con conseguente caducazione ab origine degli effetti della delibera.
Al contrario, in caso di vizi che comportino l'annullabilità di quest'ultima, la sentenza ha natura costitutiva e gli effetti della volontà assembleare vengono meno soltanto a partire dalla pubblicazione del provvedimento giudiziale.
Come è noto, nel 2005 le Sezioni Unite della Cassazione sono intervenute a fissare una serie di paletti che, da quel momento in avanti, hanno consentito agli operatori del diritto di procedere con maggiore sicurezza (sentenza n. 4806 del 7 marzo 2005).
Detti principi sono stati recentemente ribaditi e arricchiti dalle medesime Sezioni Unite con sentenza n. 9838 del 14 aprile 2021. Ebbene, nella predetta sentenza del 2005 la Suprema Corte ha evidenziato come debbano qualificarsi nulle le delibere assembleari prive degli elementi essenziali, quelle con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), quelle con oggetto che non rientra nella propria competenza, quelle che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, nonché quelle comunque invalide in relazione all'oggetto.
Devono, al contrario, ritenersi annullabili le delibere che presentino vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore al quorum prescritto dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali o adottate in violazione di prescrizioni legali, convenzionali o regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, nonché quelle che violano norme richiedenti maggioranze qualificate in relazione all'oggetto.
L'azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce quindi la regola generale, ai sensi dell'art. 1137 c.c., mentre la categoria della nullità ha un'estensione residuale.