All'amministratore è stata affidata una serie di attribuzioni che gli derivano direttamente dal Codice civile e da quelle leggi speciali che hanno posto il condominio, quale centro di interessi collettivi, sempre di più sotto i riflettori.
Il rappresentante del condominio è, dunque, nei rapporti con il condominio, colui che agisce a nome e per conto dell'ente amministrato che, notoriamente, è un ente privo di personalità giuridica distinta dai suoi componenti.
La sussistenza, in capo all'amministratore di una doppia rappresentanza, sostanziale e processuale, implica che lo stesso è titolare di legittimazione passiva nei giudizi concernenti beni e servizi comuni.
Il Tribunale di Alessandria, con la sentenza n. 156, in data 13 marzo 2025, ha chiarito quando l'amministratore, in proprio, è legittimato passivamente all'azione intentata da un condomino.
Respinta l'azione contro il condominio se l'obbligo è posto a carico dell'amministratore in proprio.
A fronte di un decreto ingiuntivo ottenuto da una società a titolo di residuo corrispettivo per le prestazioni svolte in favore di un condominio (controllo e manutenzione dei componenti di un impianto antincendio) che non aveva adempiuto alla propria obbligazione, né aveva proposto opposizione avverso il provvedimento monitorio.
L'inerzia dell'ingiunto era proseguita anche dopo l'avvio della fase esecutiva, che si era conclusa con l'assegnazione alla creditrice, in sede di pignoramento presso terzi, di un importo minimo rispetto alla somma alla stessa riconosciuta.
A questo punto la società, intendendo procedere al recupero coattivo del credito residuo, ricorreva al Tribunale per sentire condannare il condominio alla consegna dell'elenco nominativo dei condomini morosi nel pagamento delle somme maturate nei propri confronti, completo di tutti gli elementi contenuti nel registro dell'anagrafe condominiale.
Il tutto oltre la condanna del medesimo al pagamento di una ulteriore somma ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., per eventuali ulteriori ritardi nell'adempimento dell'obbligazione, a decorrere dalla data di notifica del provvedimento di condanna.
Il Tribunale ha rigettato il ricorso per carenza di legittimazione passiva del condominio all'azione.
Il giudicante ha premesso che il rapporto condominio/amministratore è regolato, in via residuale, dalle norme sul mandato e che a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 71-bis, disp. att. c.c., introdotto dalla legge n. 220/2012, l'esercizio della carica affidata al rappresentante del condominio è subordinato al possesso di determinati requisiti che, con riferimento al caso specifico, riguardano la sua professionalità.
Dalla formulazione testuale dell'art. 63 disp. att. c.c., che ha determinato le modalità che l'amministratore deve seguire per ottenere il recupero forzoso dei crediti condominiali, emerge con chiarezza che l'obbligo di comunicare ai creditori insoddisfatti i nominativi dei condomini morosi si configura come "espressione di un obbligo legale di cooperazione col terzo creditore posto direttamente in capo alla persona dell'amministratore e non costituisce affatto adempimento o incombenza finalizzata all'attuazione del programma obbligatorio corrente con il condominio, alla stregua del contratto di amministrazione".
Il ritardo dell'amministratore nell'adempimento dell'obbligazione è, pertanto, circoscritto al suo comportamento individuale, essendo potenzialmente idoneo a causare un danno allo stesso creditore. Infatti, è l'amministratore in proprio ad essere destinatario del comando fissato dalla legge a tutela dei creditori del condominio, il quale è del tutto estraneo ad eventuali responsabilità in questo specifico ambito.
La comunicazione ai creditori del nominativo dei condomini morosi ed altre ipotesi di violazione
Con la modifica del primo comma dell'art. 63 disp. att. c.c., il quale deve essere considerato indissolubilmente legato al secondo comma (attinente alla graduazione delle escussioni dei debitori) il legislatore ha raggiunto un duplice obiettivo.
Da un lato ha posto fine all'infausta prassi con la quale - come avveniva in passato - in presenza di un decreto ingiuntivo, ottenuto da un prestatore di beni e/o servizi in favore del condominio e divenuto esecutivo, il creditore non soddisfatto poteva rivolgersi a qualsivoglia condomino, anche se in regola con i pagamenti, per realizzare il proprio diritto.
E questo avveniva in ragione del fatto che se il condominio è formalmente la parte che si è impegnata nel rapporto con il terzo soggetto, da un punto di vista sostanziale sono sempre i condomini che sono i soggetti obbligati a adempiere.
Per altro verso la norma ha voluto agevolare anche i terzi nel recupero dei propri crediti, consentendo agli stessi di conoscere direttamente dall'amministratore i nominativi dei condomini morosi, al fine di poter agire nei confronti degli stessi in ragione delle rispettive quote millesimali.
Questi due aspetti, tuttavia, non mettono al sicuro i condomini che abbiano assolto alla propria obbligazione, poiché questi sono sempre soggetti ad una eventuale esecuzione, ma come parte passiva residuale, nel caso in cui il creditore non abbia ottenuto quanto di suo diritto.
Al centro della controversia definita dalla sentenza emessa dal Tribunale di Alessandria si pone la questione di individuare quando l'amministratore possa essere citato in giudizio in proprio, oppure quando sia legittimato passivo all'azione, in quanto titolare della carica che ricopre per conto del condominio, che si pone come il vero convenuto.
Sicuramente - come osservato dal giudicante - l'amministratore che violi il dettato dell'art. 63 disp. att. c.c. risponde personalmente del proprio operato, poiché l'obbligo di comunicazione dei nominativi dei condomini morosi è un suo preciso dovere, essendo egli mandatario del condominio e, in tale veste, è il destinatario dell'ordine del giudice di consegnare la documentazione richiesta, come sarà egli stesso, in prima persona, a dover risarcire il creditore insoddisfatto di eventuali danni a lui derivanti dall'inerzia del primo.
Ma viene in mente un altro caso di responsabilità ad personam dell'amministratore per aver agito con negligenza cui consegue il pieno diritto dei condomini di chiamarlo a rispondere in un eventuale giudizio risarcitorio.
È questa l'ipotesi in cui, attivata da un terzo la procedura di mediazione obbligatoria l'amministratore nulla comunichi all'assemblea e decida, unilateralmente, di non partecipare, violando l'obbligo di renderne edotta l'assemblea ai fini del rilascio della necessaria autorizzazione.
A questo proposito, tuttavia, deve essere precisato che con l'ingresso della c.d. Riforma Cartabia, a decorrere dal 30 giugno 2023, l'amministratore è stato legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, a aderirvi e a parteciparvi senza la necessità di passare attraverso una delibera assembleare.
La "riforma" ha, quindi, sostanzialmente abrogato il precedente art. 71-quater disp. att. c.c. di cui è rimasto operativo solo il primo comma.
Quindi, le seguenti osservazioni non possono che valere per le controversie precedenti alla data del giugno 2023.
Detto questo, è evidente che il fatto di non avere comunicato ai condomini la pendenza di una procedura di mediazione non può che essere considerato un fatto legato al comportamento dell'amministratore il quale, con una decisione del tutto arbitraria, ha sostanzialmente scavalcato l'assemblea sottraendo alla stessa il potere discrezionale di decidere se partecipare o meno alla mediazione stessa.
In questo caso "il tacere" corrisponde non solo ad un atto di negligenza ma configura un abuso di poteri da parte dell'amministratore il quale deve essere citato personalmente in giudizio (Trib. Palermo, 17 marzo 2022).
Sotto il profilo della legittimazione passiva dell'amministratore in proprio appare interessante richiamare una passata decisione di merito nella quale era stato pronunciato il seguente principio :" ove l'amministratore di un condominio, chiamato in proprio in giudizio, per la presunta violazione dei suoi doveri scaturenti dal rapporto di mandato esistente nei confronti dei condomini, sia presente in giudizio, invece, nella qualità di amministratore e, dunque, quale rappresentante dell'ente di gestione condominiale, non sussiste la sua legittimazione processuale" (Trib. Milano sez. XIII, 27 novembre 2013).
La fattispecie, relativa al rifiuto di consentire al condomino di prendere visione ed estrarre copia dei documenti contabili secondo il disposto dell'art. 1130-bis, c.c., costituisce un dovere a carico dell'amministratore come persona fisica e non nella qualità di rappresentante del condominio.
Sussiste, infatti, nel caso specifico, una responsabilità in proprio dell'amministratore che "lo rende legittimato personalmente a resistere alle richieste giudiziali inerenti la presunta violazione dei suddetti doveri, ma non coinvolge il condominio dallo stesso amministrato, in quanto la qualità di amministratore è solo incidentalmente necessaria per detenere i documenti del condominio dallo stesso amministrato, in esecuzione del mandato conferitogli, dei quali lo stesso deve consentire l'esame e la riproduzione ai condomini che ne facciano richiesta, ma non è condizione sufficiente a trasformare quella che(...)una responsabilità personale da inadempimento contrattuale, in una responsabilità del condominio nei confronti dei condomini".
Da qui deriva, chiaramente, la distinzione dei due ruoli che sono entrambi soggetti al disposto dell'art. 1710 c.c., per effetto del quale il mandatario (l'amministratore) deve eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia.