La Corte d'Appello di Milano, con la sentenza n. 411 del 7 febbraio 2022, conferma l'orientamento che avevamo già visto essere quello del Tribunale meneghino, in altro articolo in commento ad una pronuncia di novembre 2021.
Anche qui vediamo un condominio opporsi alla società costruttrice per presunti gravi vizi e difetti dell'edificio prima costruito poi venduto dalla stessa.
Causa contro il costruttore: responsabilità per vizi dell'edificio
Un condominio cita in causa la Alfa Spa, costruttrice, allo scopo di sentirla dichiarare responsabile dei vizi e dei difetti strutturali dello stabile condominiale e di vederla condannata al risarcimento dei danni, sia ai sensi dell'art. 1669 c.c. che ai sensi dell'art. 2043 c.c.
Il condominio lamenta in particolare vizi che riguardano la copertura di due dei tre corpi di fabbrica di cui è costituito, emergenti dalla quota di pavimento del primo piano, nonché i lastrici solari e le rampe di accesso al primo piano, le infiltrazioni nelle unità sottostanti le coperture ed i lastrici e la viabilità interna al condominio ed ai parcheggi pertinenziali, oltre a vizi aggiuntivi riscontrati dal perito di parte e non segnalati dal CTU nell'Accertamento Tecnico Preventivo (ATP) esperito tra le medesime parti prima dell'odierno giudizio.
Tanto è vero questo che il condominio domandava al Tribunale di Milano di disporre una nuova perizia, dato che quella esitata in ATP era superficiale e limitata, non comprendendo i vizi aggiuntivi riscontrati dal perito di parte.
Costituitasi la Alfa Spa, questa eccepiva la legittimazione attiva del condominio per la richiesta di accertamento dei danni riguardanti la copertura dello stabile, considerata proprietà dei singoli condòmini; essa eccepiva altresì la prescrizione e la decadenza dall'azione promossa ex art. 1669 c.c.
Il Tribunale di Milano, rigettata l'istanza di nuova CTU, non ritenendola necessaria, decideva accogliendo parzialmente la domanda del condominio e condannando la Alfa Spa a pagare la somma di € 11.200,00 ai sensi dell'art. 1669 c.c., oltre alle spese legali ed alle spese del CTU nell'ATP.
Il condominio, sebbene parzialmente vincitore, propone appello verso detta pronuncia, chiedendo che venisse dichiarata la proprietà comune sul manto di copertura, che venisse accertata e dichiarata la sussistenza di gravi vizi e difetti e di ulteriori vizi ricavabili dalla espletanda CTU, la cui richiesta di esperimento rinnova alla Corte d'Appello, nonché che venisse dichiarata la responsabilità della Alfa Spa ai sensi dell'art. 1669 c.c. o, in subordine, ai sensi dell'art. 2043 c.c. e che la medesima fosse condannata al risarcimento integrale dei danni già accertati e da accertare.
Alfa Spa, costituitasi in appello, eccepiva l'inammissibilità dello stesso ai sensi dell'art. 348 bis c.p.c. e, chiedendone comunque il rigetto, formulava appello incidentale, ribadendo la carenza di legittimazione attiva in capo al condominio e le intervenute prescrizione e decadenza dall'azione ex art. 1669 c.c., domandando altresì la restituzione dell'importo corrisposto al condominio in seguito all'esito del I° di giudizio.
La Corte d'Appello rigetta sia l'appello principale del condominio che quello incidentale della Alfa Spa e compensa le spese.
Rapporto tra art. 1669 c.c. e art. 2043 c.c.
Secondo il condominio, ha errato il Giudice di prime cure nel non condannare la Alfa Spa a titolo di responsabilità extra - contrattuale, dopo che lo stesso Giudice aveva eliminato la possibilità di condannarla ai sensi dell'art. 1669 c.c., non avendo ritenuto sussistere i gravi vizi e difetti di cui alla norma.
La Corte d'Appello rammenta che il rapporto tra le due norme è di generale a particolare, o meglio, speciale: l'art. 2043 c.c. disciplina il canone generale della responsabilità extra - contrattuale o aquiliana o da fatto illecito, che prevede che qualsiasi fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno. L'art. 1669 c.c. è invece una speciale categoria di responsabilità extra - contrattuale, riconducibile ad una violazione di regole primarie di ordine pubblico, stabilite per garantire l'interesse generale alla sicurezza dell'attività edificatoria, e così la conservazione e la funzionalità degli edifici, per preservare la sicurezza e l'incolumità delle persone.
Rammentiamo, per utilità del lettore, che l'art. 1669 c.c. prevede che:
«Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto di costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi - causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta.
Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia».
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 2284/2014, hanno stabilito che, laddove non si rinvengano vizi punibili ai sensi dell'art. 1669 c.c., il Giudice possa comunque qualificare quelli rilevati come danno in via generica e fare luogo al risarcimento ai sensi dell'art. 2043 c.c.
Tuttavia, la Corte d'Appello non rileva, nel caso di specie, vizi ulteriori, né riconducibili all'art. 1669 c.c. né all'art. 2043 c.c., diversi da quelli già indicati e risarciti dal Tribunale di Milano e relativi alla guaina di copertura.
Riportavamo, nell'articolo a commento della pronuncia del Tribunale di Milano nel novembre 2021, di che cosa la giurisprudenza sia abituata a qualificare come «grave difetto» onde far luogo alla tutela ex art. 1669 c.c., ovvero:
- il difetto che incida sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo
- il difetto che abbia carattere di intensità e diffusività, cioè che presenti un grado apprezzabile di forza o violenza nella sua produzione o manifestazione e che sia capace e idoneo ad estendersi ad una porzione rilevante dell'edificio.
Inoltre, aggiungiamo qui, laddove il difetto impatti sugli elementi essenziali dell'opera, la fattispecie è quella prevista dall'art. 1669 c.c., 1° comma, sub specie di «rovina o pericolo di rovina», mentre invece, se il difetto è circoscritto agli elementi accessori, si tratta del diverso caso di «grave difetto» di cui allo stesso 1° comma - le fattispecie sono diverse, ma la tutela è identica.
Non sono ritenuti gravi difetti, invece, le mere difformità, cioè le differenze dell'opera realizzata rispetto al contratto o al progetto, alle quali si applica il rimedio previsto dall'art. 1667 c.c. - e, così, i diversi termini decadenziali e prescrizionali di 60 giorni dalla scoperta e due anni dalla consegna.
Nel caso di specie, la Corte d'Appello ritiene di aderire alla sentenza di I° e di non rilevare ulteriori vizi qualificabili per la tutela di cui all'art. 1669 c.c. perché i ristagni di acqua e dei giunti nella pavimentazione vengono ritenuti fenomeni di modesta entità e non riconducibili, come tali, a vizi costruttivi, mentre gli ulteriori vizi rilevati rispetto alla copertura sono irrilevanti, perché il CTU ha attestato la piena idoneità dell'opera ad assolvere alla sua destinazione.
Quanto poi alla mancata realizzazione del tappeto antiusura sulle strade private, la Corte la qualifica come difformità rispetto al Capitolato e, come tale e in base a quanto ricordato sopra, non si tratta di vizio costruttivo tale da incidere su funzionalità e destinazione, quindi non tutelabile ai sensi dell'art. 1669 c.c., bensì ai sensi dell'art. 1667 c.c.
I vizi aggiuntivi' in virtù dei quali il Condominio chiedeva una nuova perizia, richiesta rinnovata anche alla Corte d'Appello, non sono qualificabili né come vizi strutturali, né come vizi tali da impedire funzionalità e godimento dell'opera, trattandosi di mere incompletezze della stessa - quindi, aggiungiamo noi, ricadenti sotto il dettato dell'art. 1667 c.c.
Peraltro, sottolinea la Corte, pur deducendoli, il condominio non ha provato alcun danno derivante da detti vizi, quindi, anche ove gli stessi fossero ammissibili, risulterebbero comunque non provati per fare luogo al risarcimento.
Legittimazione attiva all'azione ex art. 1667 c.c.
La Corte d'Appello, nel vagliare uno dei motivi di gravame avanzati dal Condominio, si esprime come segue:
«L'appellante contesta la sentenza nella parte in cui rigetta la domanda attorea per impossibilità di esperire l'azione di garanzia ex art. 1667 c.c. in assenza di un rapporto contrattuale tra il condominio e la società convenuta, né l'azione ex art. 1490 c.c., proponibile solo dai singoli acquirenti delle unità immobiliari.
Osserva la Corte che il condominio è sprovvisto di legittimazione attiva a proporre domande di natura contrattuale riservate al committente del contratto di appalto e all'acquirente.
La giurisprudenza è granitica nell'affermare che se i difetti sono riconducibili alla categoria delle difformità e dei vizi di cui all'art.1667 c.c., la relativa azione, di natura contrattuale, spetta al committente. Parimenti, non è legittimato l'amministratore del condominio all'azione ex art. 1490 c.c. in quanto si tratta di controversia relativa all'adempimento di un'obbligazione contrattuale che spetta ai singoli condomini».
Dobbiamo espandere il concetto espresso, che altrimenti non verrebbe compreso.
Deduciamo che, nel giudizio di I°, il condominio avesse richiesto, in subordine, la condanna ai sensi dell'art. 1667 c.c., avendo il Tribunale rilevato che gli ulteriori vizi riscontrati non rientrassero nella categoria dei gravi difetti di cui all'art. 1669 c.c.
Tuttavia, l'azione di garanzia prevista dall'art. 1667 c.c., come rammenta la Corte, è azione contrattuale, che va proposta dal committente del contratto di appalto verso l'appaltatore.
Nel caso di specie, siccome la Alfa Spa era l'originaria costruttrice dell'edificio poi divenuto condominio, non riteniamo si potesse ravvisare un vero e proprio committente, dato che l'iniziativa dell'edificazione ha preso le mosse dalla volontà della Alfa Spa di realizzare un fabbricato, ma verosimilmente ciò non è stato commissionato da alcun soggetto.
Vero è, invece, che, al momento dell'alienazione delle unità immobiliari facenti parte dei tre corpi di fabbrica di cui sarebbe stato costituito il futuro Condominio, i singoli acquirenti, futuri condòmini, divengono parte di un contratto con Alfa Spa, nella sua duplice veste di costruttrice (appaltatrice, per aver edificato lo stabile) e venditrice degli immobili.
Quindi, in questa fattispecie (vizi e difformità dell'opera), a differenza che nella fattispecie della rovina di edificio (art. 1669 c.c.), il Condominio non ha legittimazione attiva nemmeno se i vizi riguardano beni e parti comuni.
Ciò significa che, nel caso di vizi e difformità, la garanzia accordata dall'art. 1667 c.c. ha un legame maggiormente forte con l'aspetto contrattuale e l'aspetto letterale della norma, mentre invece, l'art. 1669 c.c., affermando che la garanzia quivi prevista può essere fatta valere dal committente e dai suoi aventi - causa, apre ad una platea di soggetti diversi dalle originarie parti contrattuali (gli aventi -causa del committente), tra i quali riscontriamo, in base alla giurisprudenza esaminata, il Condominio, nella sua qualità di ente di gestione che nasce dai committenti 'originari', se vogliamo (cioè, i singoli condòmini).
Lastrico solare comune o ad uso esclusivo, facciamo chiarezza (o quasi)
Come abbiamo evidenziato sopra, la Alfa Spa aveva proposto appello incidentale, in particolare rispetto alla discussa natura, comune o privata, del lastrico solare della cui copertura si lamentavano i vizi da parte del Condominio.
La Alfa Spa aveva sostenuto, tra le altre, che il lastrico fosse di natura privata perché ciò sarebbe emerso da dichiarazione dell'Amministratore dell'epoca in cui il Condominio era stato costituito e dal richiamo che costui operava al Regolamento condominiale.
Lo abbiamo già ribadito più volte su questa rivista, ma repetita iuvant, come è noto: la natura condominiale o privata di un bene non può essere rintracciata nelle dichiarazioni delle parti, ma viene determinata unicamente in base al titolo relativo alla stessa.
In altre parole, come noto, l'art. 1117 c.c. prevede che i beni ed i servizi quivi elencati (e gli altri eventualmente non quivi elencati, non essendo norma esaustiva) siano da presumere come appartenenti a tutti i condòmini, quindi di natura comune o condominiale che dir si voglia, se il contrario non risulta dal titolo, rintracciando poi detto ' titolo' nei singoli atti di acquisto delle unità immobiliari o nel Regolamento, che sia stato trascritto presso i Registri Immobiliari.
È evidente, pertanto, che la natura comune o privata di un bene immobile non può farsi discendere dalle dichiarazioni dell'Amministratore condominiale.
Leggendo poi la parte motiva del ragionamento della Corte, apprendiamo che Alfa Spa aveva travisato il contenuto di detta dichiarazione: l'Amministratore in parola, infatti, si era limitato ad affermare che il tetto non era praticabile in quanto destinato all'uso esclusivo della proprietà su cui insiste (cioè, dell'unità immobiliare sottostante ad esso), uso disciplinato e menzionato anche dal Regolamento condominiale.
Ed ecco allora che, come precisa la Corte d'Appello, una cosa è la proprietà, altra cosa è l'uso esclusivo e confondere tra i due comporta esiti aberranti. Peraltro, sottolinea ancora il Collegio, il regolamento condominiale faceva riferimento a detto uso esclusivo del lastrico solamente per disciplinare il riparto delle spese, pertanto non si trattava di idoneo titolo contrario ai sensi dell'art. 1117 c.c., con la conseguenza che il lastrico doveva ritenersi di proprietà comune a tutti i condòmini e non dei soli condòmini proprietari delle unità sottostanti - come affermato da Alfa Spa.
Data questa premessa, la Corte ha modo di rigettare anche un altro motivo di appello incidentale avanzato dalla Alfa Spa, ovvero quello relativo alla riconducibilità dei danni alla copertura alle opere effettuate sulla stessa dai singoli condòmini, che avevano forato detta copertura per far passare cavi per antenne, tubi per aspirazione e impianti di condizionamento.
Da questo Alfa Spa fa discendere la conseguenza che i vizi alla copertura (gli unici, lo rammentiamo, che il Tribunale, in I°, aveva liquidato a favore del Condominio) non sarebbero stati da ricondurre a vizi costruttivi (quindi, con applicazione dell'art. 1669 c.c.), bensì all'intervento dei singoli condòmini che avrebbero essi stessi danneggiato detto manufatto.
Il Collegio, che già ha qualificato detti vizi come rientranti nell'alveo dell'art. 1669 c.c., afferma che, in ogni caso, Alfa Spa non ha dato prova che i fori nella copertura, eseguiti dai condòmini, fossero stati realizzati in modo scorretto né ha dimostrato il nesso di causalità tra le infiltrazioni ed il comportamento dei condòmini.
La decadenza e la prescrizione dell'azione ex art. 1669 c.c.
La Corte d'Appello esamina anche questo ulteriore motivo di gravame, avanzato dalla Alfa Spa sin dal I° di giudizio e ribadito con l'appello incidentale.
Secondo la Alfa Spa, il Condominio sarebbe stato tardivo sia nella denunzia ai sensi dell'art. 1667 c.c. che in quella ex art. 1669 c.c. ed altrettanto nella proposizione dell'azione, perché, avendo lo stesso Condominio affermato, nei propri atti difensivi, che le infiltrazioni erano emerse sin dal 2013 ed avendo promosso l'ATP nel marzo 2016, è evidente che entrambi i termini erano ampliamenti trascorsi.
Per utilità del nostro lettore, rammentiamo che la garanzia per vizi e difformità delle opere oggetto di appalto deve essere denunziata dal committente entro 60 giorni dalla scoperta, la quale, secondo la giurisprudenza, per il Condominio verrebbe integrata quando l'Amministratore abbia effettiva conoscenza dei vizi, non rilevando la conoscenza da parte del tecnico incaricato dell'esame delle opere e dei singoli condòmini o dell'Assemblea (così, Cassaz. 18 maggio 1996, n. 4619), ma, nel caso di specie, la Corte d'Appello disattenderà questo orientamento.
Secondo la giurisprudenza, trattandosi di termine decadenziale, i 60 giorni dalla scoperta non possono subire interruzioni o sospensioni, posto che in virtù del disposto dell'art. 12 delle cc.dd. Preleggi (ovvero i 31 articoli che aprono il Codice civile e sono rubricati "Disposizioni sulla legge in generale"), non è possibile l'applicazione alla decadenza, in via di interpretazione estensiva, di una norma che disciplina la prescrizione (Cassaz., 14 aprile 1972, n. 1177).
L'azione per la garanzia di cui all'art. 1667 c.c. si prescrive in due anni dalla consegna dell'opera.
Quanto invece all'azione per gravi difetti di cui all'art. 1669 c.c., innanzitutto il grave difetto deve «presentarsi», secondo la dicitura letterale della norma, entro 10 anni dal compimento dell'opera; in secondo luogo, il committente o i suoi aventi - causa devono denunziare detti gravi difetti entro 1 anno dalla scoperta.
L'azione conseguente si prescrive in 1 anno dalla denunzia.
Cosa risponde la Corte alle lagnanze di Alfa Spa in merito?
Secondo il Giudice di II°, il Condominio era tempestivo.
Innanzitutto, secondo la Corte, il momento della scoperta dei vizi va fatto decorrere dalla consegna della perizia del tecnico di parte al condominio, perizia svolta per rintracciare i vizi poi riportati in ATP.
La perizia in parola fu consegnata al Condominio nell'ottobre del 2015. Da questo momento decorreva, secondo la Corte, l'anno per la denunzia.
La denunzia, che per costante giurisprudenza può essere fatta con ogni mezzo, stragiudiziale e giudiziale, viene individuata dalla Corte nella proposizione dell'ATP da parte del Condominio, avvenuta nel marzo 2016 (quindi entro l'anno dall'ottobre 2015, momento della scoperta, che sarebbe scaduto ad ottobre 2016).
Comprendiamo, quindi, che la Corte non prende nemmeno in considerazione il termine di 60 giorni dalla scoperta, avendo già qualificato l'azione promossa dal Condominio come rientrante nella sfera dell'art. 1669 c.c.
L'azione giudiziale prevista dall'art. 1669 c.c. si sarebbe quindi prescritta all'anno dalla denunzia, cioè nel marzo 2017.
A questo punto, la Corte sostiene che il Condominio sarebbe stato tempestivo perché:
- interruppe il termine di prescrizione per l'azione ex art. 1669 c.c. con lettera inviata nell'agosto 2017
- propose l'azione con atto notificato nel luglio 2018
Qui, però, i calcoli non tornano, perché la scansione temporale corretta, secondo quanto sopra ed anche volendo ammettere l'interruzione operata, avrebbe dovuto essere la seguente:
- scoperta: ottobre 2015
- denunzia: entro 1 anno dalla scoperta, quindi entro ottobre 2016: denunzia eseguita con l'ATP il marzo 2016
- azione: entro 1 anno dalla denunzia, quindi entro marzo 2017
- invio della lettera interruttiva della prescrizione della denunzia sempre entro il marzo 2017, con riavvio del decorso del termine per un altro anno, cioè sino al marzo 2018
- avvio dell'azione entro 1 anno dalla denunzia, quindi entro marzo 2019, in caso di lettera inviata entro marzo 2018
A questo punto, potremmo immaginare il refuso, cioè che la Corte abbia indicato come data della lettera del Condominio che interruppe la prescrizione l'agosto 2017, ma che in realtà si trattasse di agosto 2016; in tale caso, la prescrizione annuale avrebbe ricominciato a decorrere per un altro anno, dall'agosto 2016 all'agosto 2017. Parimenti dovremmo immaginare il refuso circa la data di avvio dell'azione, la quale, anziché al luglio 2018, sia da ricondurre al luglio 2017, così che l'azione sarebbe stata tempestiva, perché proposta entro il termine di prescrizione dell'agosto 2017.
Tutto ciò salvo elementi di fatto ulteriori che ci sfuggono, non avendo potuto leggere gli atti del giudizio.