L'inadeguata insonorizzazione delle parti comuni che si rifletta negativamente sulle singole unità immobiliari costituisce un grave difetto dell'edificio, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1669 c.c., e l'amministratore ha il potere di agire in giudizio a tutela degli interessi della collettività condominiale.
Quindi la mancanza di potere fono-isolante di pareti divisorie, solai e facciata consente sia all'amministratore sia ai singoli condomini di pretendere il risarcimento del danno nei confronti dell'impresa costruttrice.
A questo scopo il giudice può utilizzare come utile punto di riferimento la normativa in materia di inquinamento acustico, sebbene la stessa non trovi applicazione diretta ai rapporti tra privati. Queste le interessanti conclusioni alle quali è giunta la seconda sezione civile della Corte di Cassazione nella recente l'ordinanza n. 7875, pubblicata lo scorso 19 marzo 2021.
Rumori e gravi difetti di costruzione. Il caso concreto.
Nella specie la società costruttrice di un edificio costituitosi in condominio, essendo stata condannata nei precedenti gradi di giudizio al risarcimento del danno per l'inadeguata insonorizzazione dell'immobile, aveva presentato ricorso alla Suprema Corte, eccependo nuovamente il difetto di legittimazione attiva dell'amministratore condominiale che, secondo la ricorrente, non avrebbe avuto il potere di avviare il giudizio di primo grado, in quanto i lamentati danni derivanti dall'inadeguata insonorizzazione dell'edificio avrebbero riguardato i singoli condomini, unici ed effettivi titolari del diritto al relativo ristoro economico.
Grave difetto di costruzione dell'edificio e vizi delle singole unità immobiliari.
Nel rigettare il ricorso in questione, la seconda sezione civile della Cassazione ha ricordato in primo luogo come debba operarsi adeguata distinzione tra la fattispecie del grave difetto di costruzione di cui all'art. 1669 c.c. e quella delle difformità e dei vizi di cui all'art. 1667 c.c.
Mentre nel primo caso, giusta la notevole elaborazione giurisprudenziale maturata sul punto, si è di fronte a un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale, nella seconda si dibatte delle conseguenze dannose di un inadempimento contrattuale.
Nella prima ipotesi si tratta quindi di difetti di tale gravità da mettere a rischio il godimento dell'immobile nel suo complesso e la norma intende tutelare anche i terzi estranei al contratto di appalto, essendo posta a salvaguardia del superiore interesse pubblico dell'incolumità di chiunque possa venire a contatto con il bene immobile.
Rumori e gravi difetti di costruzione. Il potere dell'amministratore di agire in giudizio a tutela degli interessi condominiali.
Di conseguenza, per venire all'ambito condominiale, la Suprema Corte ha ritenuto che nel primo caso, anche alla stregua dell'art. 1130, n. 4, c.c., sussista la legittimazione dell'amministratore a proporre l'azione giudiziale intesa a rimuovere quei gravi difetti di costruzione che possano determinare un'alterazione tale da incidere negativamente e in modo considerevole sul godimento dell'immobile, interessando quindi l'intero edificio condominiale e i singoli appartamenti.
Non occorre quindi una deliberazione assembleare che autorizzi l'amministratore ad agire in giudizio.
Poiché in casi del genere ricorre una ipotesi di causa comune di danno, devono ritenersi abilitati ad agire in giudizio, alternativamente, l'amministratore e i singoli condomini, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e di proprietà esclusiva.
Di conseguenza, ove l'amministratore non abbia agito in giudizio, ciascun condomino può tutelare le ragioni del condominio dinanzi al giudice competente.
Diversamente, se i difetti del fabbricato sono riconducibili alla categoria delle difformità e dei vizi di cui all'art. 1667 c.c., la relativa azione spetta soltanto al committente, ossia al singolo condomino, e non anche all'amministratore.
Come valutare il livello di rumorosità di un edificio?
La Suprema Corte ha anche operato un utile chiarimento su una questione di rilevante impatto pratico. Infatti, quando si dibatte del livello di tollerabilità del rumore di un immobile a uso abitativo, ci si trova spesso nell'imbarazzo di non riuscire a individuare un saldo riferimento normativo a cui ancorarsi.
Nel nostro ordinamento esiste infatti una normativa sull'inquinamento acustico, ma la stessa non risulta applicabile ai rapporti tra privati, in quanto finalizzata alla tutela dell'interesse pubblico. Trattasi della legge quadro n. 447/95 e della successiva normativa di dettaglio, con particolare riferimento al Dpcm del 5/12/97.
La società costruttrice dell'edificio condominiale aveva appunto eccepito l'inapplicabilità di tale normativa nel caso di specie. La Cassazione, tuttavia, ha evidenziato come i giudici del merito avessero fatto riferimento a tale Dpcm non sul presupposto della sua immediata vigenza nei rapporti fra privati in favore degli acquirenti, ma unicamente come criterio fattuale di riferimento per determinare lo stato dell'arte esigibile all'epoca di realizzazione del fabbricato al fine di verificare la sussistenza dei gravi difetti di insonorizzazione agli effetti dell'art. 1669 c.c.
E, infatti, come pure osservato dai giudici di legittimità, dalla natura del contratto di appalto, che ha per oggetto l'espletamento di un'attività da eseguire a regola d'arte con l'ausilio di regole tecniche, discende il principio secondo cui l'esecuzione dei lavori non solo deve avvenire con l'osservanza della perizia che inerisce a ciascun campo di attività, ma anche che l'opera stessa, nella progettazione ed esecuzione, deve corrispondere alla funzionalità e utilizzabilità previste dal contratto, con la conseguenza che l'appaltatore ha l'obbligo di consegnare l'opera conforme a quanto pattuito e, in ogni caso, eseguita a regola d'arte.