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L'amministratore è legittimato a sporgere querela per appropriazione indebita

L'amministratore che presenta querela per appropriazione indebita agisce nella veste di mandatario, senza che vi sia necessità di autorizzazione o ratifica da parte dell'assemblea.
Avv. Adriana Nicoletti 
19 Giu, 2025

Se i conti non tornano, il più delle volte nel momento del passaggio delle consegne tra un amministratore ed il suo avente causa, una delle ragioni più frequenti va individuata in una incauta gestione del patrimonio condominiale.

Anche se l'amministratore è ben consapevole che la tenuta dei conti deve quadrare al centesimo, talvolta per negligenza, colpa ma in qualche caso anche con dolo utilizza il denaro comune in modo anomalo e senza pensare alle conseguenze penali che potrebbero ricadere su di lui.

Se vi è un ammanco nei conti del condominio inutile lamentare che l'amministratore non può sporgere querela. La domanda è irrimediabilmente rigettata

La Corte penale di cassazione, con la sentenza n. 19194 del 22 maggio 2025, ha confermato la sentenza di merito ed ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall'amministratore di un condominio ritenuto responsabile per appropriazione indebita aggravata commessa ai danni di due condomini dallo stesso amministrati.

La sentenza della Corte di appello era stata contestata per avere ritenuto sussistente in capo all'amministratore di condominio la legittimazione alla proposizione della querela di cui al capo di imputazione.

La Corte ha ribadito, come principio di ordine generale, che "l'amministratore di condominio, in ordine alle proprie attribuzioni, come definite dall'art. 1130 c.c., è legittimato a sporgere querela in relazione ad un reato commesso in danno del patrimonio comune senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, in ragione della detenzione qualificata rispetto alle risorse economiche del condominio e della necessità di assicurare il corretto espletamento dei servizi comuni" (Cass. 26 maggio 2023, n. 33813).

Quanto, invece, al caso in esame, è stata ritenuta corretta la decisione della Corte di appello secondo la quale "l'amministratore condominiale, che ha il compito di salvaguardare la consistenza patrimoniale del conto corrente condominiale ove confluiscono i contributi dei singoli condomini funzionali all'espletamento dei servizi comuni e quindi, ai sensi dell'art. 1130, comma 1 n. 3, cod. civ. ("riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni), sia legittimato a proporre querela"

La gestione dei fondi condominiali

Per effetto dell'art. 1130 c.c. una delle attribuzioni in capo all'amministratore è la riscossione ed erogazione dei contributi da e verso i condòmini per garantire il funzionamento della macchina condominiale.

Questo comporta che tutti i fondi, a qualunque titolo versati dai condomini o da terzi, devono affluire in un conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio.

Tutti i condomini, inoltre, devono avere la possibilità di controllare la relativa documentazione chiedendo, tramite l'amministratore, di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica (art. 1129, co. 7, c.c.).

La disposizione rappresenta una delle più importanti novità che sono state introdotte dalla legge 220/2012 e risponde alla necessità di trasparenza nella gestione amministrativa dei fondi condominiali che può essere, in qualunque momento, soggetta alla verifica da parte dei condomini.

E' evidente che nella sua attività gestionale l'amministratore deve "maneggiare" ingenti somme di denaro delle quali è responsabile nei confronti dei condomini e questo comporta che lo stesso non può distrarre le somme concernenti il conto comune per scopi diversi da quelli per i quali sono stati versati.

Si tratterebbe, in concreto, di mettere in atto un comportamento illecito che va a coprire differenti ipotesi che vanno dal disporre delle somme versate dai condomini, come se ne fosse un dominus, per fini diversi e propri da quelli concernenti il mandato conferitogli (come ad esempio per coprire le mancanze di liquidità riguardanti altri condomìni dallo stesso gestiti), alla più grave ipotesi di appropriazione del denaro per finalità personali.

Appropriazione indebita di somme condominiali

Il reato è configurabile quando l'amministratore di condominio, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, sottrae denaro dalla cassa condominiale di cui è possessore e custode.

Una questione di rilevante interesse è stata sollevata in merito al momento in cui si deve ritenere che il reato sia stato commesso. Secondo recente decisione della Suprema Corte "il reato si consuma all'atto della cessazione della carica, in quanto è in tale momento che, in mancanza di restituzione degli importi ricevuti nel corso della gestione, si verifica con certezza l'interversione del possesso" (Cass. pen. 11 luglio 2024, n. 27747).

Infatti, come in precedenza affermato, deve essere considerata la natura fungibile del denaro talchè, fino alla cessazione dalla carica l'amministratore potrebbe sempre reintegrare il condominio delle somme precedentemente disperse (Cass. pen. 09 febbraio 2021, n. 11323; Cass. pen. 15 gennaio 2020, n. 19519).

L'appropriazione indebita si configura non solo nella deviazione del denaro, da parte dell'amministratore, dagli scopi per i quali è stato versato (per il quale si realizza una effettiva violazione del vincolo di destinazione impresso al denaro al momento del suo conferimento) ma anche nel caso in cui il prelievo delle somme sia avvenuto con la coscienza e volontà di farle proprie a pretesa compensazione con un credito preesistente non certo, né liquido ed esigibile (Cass. pen. 13 dicembre 2019, n. 12618).

In questo ampio ambito è ravvisabile il reato di appropriazione indebita disciplinato dall'art. 646 c.p. per il quale, nello specifico, è stato considerato rilevante anche un ammanco di entità esigua allorchè l'amministratore non sia stato in grado di dimostrare che la minima differenza di cassa sia riconducibile a cause diverse dalla finalità di indebita appropriazione e non dallo stesso volute consapevolmente (Cass. pen. 05 ottobre 2011, n. 36022).

Appropriazione indebita dell'amministratore: quale il momento consumativo del reato?

Appropriazione indebita e querela

L'accertamento del reato è soggetto alla presentazione di querela da parte della persona offesa. Nel caso del condominio chi è il soggetto legittimato a depositare la querela: l'amministratore o il singolo condomino?

Il reato si consuma in un ambito nel quale l'amministratore è parte formale, essendo il condominio un ente privo di personalità giuridica, mentre i condomini ne costituiscono la parte sostanziale e, quindi, dovrebbero essere la parte offesa.

A tal fine occorre considerare che il fondamento delle attribuzioni in capo all'amministratore circa il destino dei contributi condominiali e la loro specifica gestione giustifica la piena legittimazione del soggetto alla presentazione della querela.

Questo, tuttavia, non esclude che anche il singolo condomino sia legittimato, quanto meno in via concorrente o surrogatoria rispetto all'amministratore, a presentare una valida querela in relazione ad un reato, come quello di cui trattasi, che sia stato commesso nei confronti del patrimonio comune.

Ed in questo senso la Corte penale ha ritenuto che tale prerogativa corrisponde ad un duplice diritto: per l'amministratore, quale emanazione dei compiti di gestione e di organizzazione devoluti per effetto del mandato e, per il condomino, quale estrinsecazione del diritto reale di proprietà (Cass. pen. 31 maggio 2024, n. 21862).

Da ultimo un cenno merita la rimessione della querela ai fini dell'estinzione del reato, nel caso in cui l'atto sia stato presentato da più condomini, anche in concorso con l'amministratore. Secondo una recente decisione (Cass. pen. 04 dicembre 2024, n. 44374) è stato affermato che il reato non si estingue se non interviene la remissione da parte di tutti i querelanti.

Interessante appare, in particolare, quella parte della motivazione nella quale è stato negato, sempre al fine di cui sopra, qualsivoglia nesso tra una eventuale delibera assembleare di transigere la controversia con l'autore del reato ed una tacita remissione della querela da parte dei soggetti che non abbiano impugnato la delibera in questione.

Secondo la precedente giurisprudenza, infatti, "non integra remissione tacita della querela l'accettazione di una somma a titolo di risarcimento del danno e la sottoscrizione di un atto di quietanza da parte del querelante, trattandosi di fatti non incompatibili con la volontà di persistere nell'istanza punitiva (Cass. pen. 10 gennaio 2024, n. 10426).

Allegato
Scarica Cass. 6 maggio 2025 n. 19194
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