L'Amministratore è autonomamente legittimato non solo a proporre l'azione prevista dall'art. 1669 c.c., intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui i difetti riguardino l'intero edificio condominiale e i singoli appartamenti, vertendosi in una ipotesi di causa comune di danno, ma anche a proporre ogni azione al fine di ottenere il risarcimento dei danni cagionati alle parti comuni, ancorché interessanti di riflesso le parti di proprietà esclusiva, e perciò allorché agisca a tutela dell'edificio nella sua unitarietà.
Così la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14871 del 3 giugno 2025, affronta nuovamente la questione della responsabilità dell'appaltatore per i gravi difetti di costruzione in relazione alla materia condominiale.
Fatto e decisione
Un Condominio propone opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da Tizio, per il compenso a saldo dei lavori di manutenzione alle facciate ed ai balconi dell'edificio.
Il Condominio eccepisce, in particolare, che Tizio non abbia completato le opere e che quelle completate abbiano gravi difetti, domandando in via riconvenzionale il risarcimento dei danni nella misura pari alla spesa per eliminare i difetti.
Tizio controdeduce la carenza di legittimazione dell'Amministratore del Condominio, che agisce in difetto di delibera assembleare autorizzativa all'azione, ai sensi dell'art. 1135 c.c., in relazione alla domanda riconvenzionale, nonché la decadenza dal diritto alla garanzia.
Il Tribunale rigetta l'opposizione, ritenendo il Condominio decaduto dalla garanzia e dichiarando la domanda riconvenzionale inammissibile per carenza di legittimazione attiva in capo all'Amministratore.
La Corte d'Appello, cui il Condominio ricorre in appello, accoglie lo stesso, dichiarando la legittimazione dell'Amministratore a proporre l'opposizione di cui è causa. Non solo, la Corte ritiene che il Condominio non sia decaduto dalla garanzia e, viste le risultanze della CTU espletata in I°, accertato altresì che i lavori per rimuovere i vizi ammontavano a circa 40.000,00 Euro, mentre i lavori extra - contratto che Tizio aveva eccepito di avere eseguito ammontavano a circa 10.000,00 Euro, compensa le partite e condanna Tizio a corrispondere la differenza di 30.000,00 Euro circa al Condominio, revocando il decreto ottenuto.
Tizio ricorre per Cassazione, ma i giudici di legittimità confermano la pronuncia di secondo grado.
Secondo la Corte, la sentenza impugnata ha aderito all'orientamento secondo il quale il potere - dovere di compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio attribuito all'Amministratore di Condominio dall'art. 1130, n. 4 c.c. implica in capo allo stesso la correlata autonoma legittimazione processuale attiva ex art. 1331 c.c.; in ordine alle controversie in materia di risarcimento dei danni, qualora la domanda appaia connessa o conseguenziale alla conservazione delle cose comuni, il potere rappresentativo che spetta all'amministratore del condominio a norma degli artt. 1130 e 1131 c.c. e che sul piano processuale si riflette nella facoltà di agire in giudizio per la tutela delle parti comuni dell'edificio, comprende tutte le azioni volte a realizzare tale tutela, fra le quali quelle di natura risarcitoria; già secondo Cass. Sez. 2 22-4-1974 n.1154, si sofferma a spiegare la Corte, l'art. 1130 c.c. comprende tutto ciò che mira all'integrità delle cose comuni e pertanto l'amministratore può agire senza autorizzazione dell'assemblea non solo per proporre l'azione di danno temuto, ma anche per ottenere il risarcimento del danno cagionato alle parti comuni dello stabile condominiale e concretantesi nelle spese occorrenti per la rimessione delle cose nel pristino stato.
Quindi, l'Amministratore può proporre autonomamente (senza previa delibera assembleare) l'azione prevista dall'art. 1669 c.c. per ottenere la condanna alla rimozione dei difetti che intacchino l'intero edificio, così come i singoli appartamenti, data la natura di causa comune di danno; allo stesso modo, può proporre azioni risarcitorie per i danni cagionati alle parti comuni, pur se gli stessi interessino di riflesso le parti di proprietà esclusiva.
Ma la legittimazione, in difetto di apposito mandato rappresentativo conferito dai singoli condòmini proprietari delle unità danneggiate, non può estendersi alla proposizione delle azioni risarcitorie, in forma specifica o per equivalente pecuniario, relative ai danni subiti nelle unità immobiliari di proprietà esclusiva, nel caso in cui si tratti non di eliminare i vizi afferenti a un tempo sia le parti comuni dell'immobile che, di riflesso, quelle di proprietà esclusiva, ma di fare valere diritti di credito ben distinti e individuabili, la cui tutela ecceda dalle finalità conservative dell'unitario fabbricato e perciò competa esclusivamente ai condomini interessati.
Inoltre, circa l'eccezione di decadenza dalla garanzia, avanzata da Tizio, la Corte rammenta che la sentenza ha accertato in fatto che le mail del 12 dicembre 2009 e 13 dicembre 2009, contenendo contestazioni sulle grondaie e chiedendone la sostituzione, contenevano la contestazione dei vizi; quindi, ha preso in esame quei documenti, con riguardo ai quali Tizio si limita a sostenere -in modo inammissibile in sede di legittimità che la lettura avrebbe dovuto essere diversa da quella eseguita dalla sentenza impugnata.
Tali contestazioni erano state inviate nel termine di 60 giorni dall'ultimazione dei lavori, avvenuta il 30 ottobre 2009, secondo la comunicazione dell'appaltatore di data 4 novembre 2009, di cui dà pure atto la sentenza impugnata; quindi risulta rispettato il termine di 60 giorni posto dall'art. 1667 c.c. per la denuncia dei vizi e sono irrilevanti gli argomenti di Tizio in ordine alla previsione contrattuale secondo la quale entro 45 giorni dalla consegna doveva essere eseguito il collaudo, perché prima del decorso del termine previsto per il collaudo il Condominio aveva già denunciato vizi dell'opera.
Considerazioni conclusive
Come già espresso nella disamina dell'ordinanza n. 12922 del 14 maggio 2025 della Cassazione, in precedente contributo, le due norme sinora commentate, l'art. 1667 c.c. e l'art. 1669 c.c. disciplinano fattispecie differenti, anche quanto a termini ed esiti delle azioni.
L'art. 1667 c.c. attiene alla garanzia per vizi costruttivi e difformità dell'opera che l'appaltatore è tenuto a fornire al committente. In particolare, viene disposto, per quanto qui concerne, che: «il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all'appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta.
La denunzia non è necessaria se l'appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati. L'azione contro l'appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell'opera.
Il committente convenuto per il pagamento può sempre far valere la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunciati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna.».
L'art. 1669 c.c. prevede invece che «Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia.».
Sul punto di contatto tra le due, la Cassazione pare ormai graniticamente intesa a dirimerlo come visto sopra, come confermato da altra recente pronuncia, richiamata anche in quella in commento, l'ordinanza n. 1252 del 18 gennaio 2025, dove si spiega il meccanismo logico - deduttivo che il Giudice di merito deve seguire per dipanare la questione.
Allorché, specifica la Corte, a fondamento dell'azione siano dedotti difetti della costruzione così gravi da incidere sugli elementi essenziali dell'opera stessa, il giudice può qualificare la domanda proposta ricollegandola all'art. 1669 c.c., invece che considerarla quale richiesta di garanzia per le difformità e i vizi dell'opera ex art. 1667 c.c., fermo restando che non ricorre una differenza qualitativa tra le difformità e i vizi di cui all'art. 1667 c.c. e i "gravi difetti" di cui all'art. 1669 c.c., bensì quantitativa (attinente appunto al profilo della gravità, con specifico riferimento alla particolare categoria di beni interessati dalla tutela speciale: edifici e altre cose immobili destinate, per loro natura, a lunga durata).
Elemento da tenere presente: quando il committente di un'opera che presenti "gravi difetti" agisca e domandi non solamente il risarcimento del danno (unico criterio previsto dall'art. 1669 c.c.), ma in alternativa l'eliminazione dei vizi, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto (rimedi previsti, con riguardo ai vizi di cui all'art. 1667 c.c., dall'art. 1668 c.c.), egli sarà ammesso a detti rimedi purchè non sia incorso nella decadenza stabilita dal secondo comma dell'art. 1667 c.c. - come la Cassazione ha evidenziato nella pronuncia oggi in commento - , dovendosi ritenere che, pur nella diversità della natura giuridica delle responsabilità rispettivamente disciplinate dalle anzidette norme (l'art. 1669 regola una fattispecie di responsabilità extracontrattuale, l'art. 1667 attiene ad un'ipotesi di responsabilità speciale contrattuale), le relative fattispecie si configurano l'una (l'art. 1669) come sottospecie dell'altra (l'art. 1667), perché i "gravi difetti" dell'opera si traducono inevitabilmente in "vizi" della medesima, sicché la presenza di elementi costitutivi della prima implica necessariamente la sussistenza di quelli della seconda (non vale, per contro, l'equazione inversa), continuando ad applicarsi la norma generale anche in presenza dei presupposti di operatività di quella speciale, così da determinare una concorrenza delle due garanzie, quale risultato conforme alla ratio di rafforzamento della tutela del committente sottesa allo stesso art. 1669 c.c. (così anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 19251 del 12/07/2024 e Sez. 2, Ordinanza n. 12814 del 10/05/2024, entrambi citate nell'ordinanza n. 1252/2025 sopra menzionata).