La transazione con la controparte è il modo più auspicabile per chiudere, con velocità, una controversia, tanto più quando ci si trovi in ambito condominiale, nel quale i soggetti interessati sono tanti quanti sono i condomini.
L'unico modo per il raggiungimento di un accordo valido è quello di passare per l'assemblea, che deve dare il suo assenso.
Sarà, poi, l'amministratore, nella sua veste di mandatario, a sottoscrivere l'atto, ma sempre nel rispetto delle linee definite dall'organo collegiale.
Una volta che l'assemblea ha formalizzato l'accordo l'amministratore ne deve dare esecuzione come se si trattasse di una qualsiasi delibera assembleare.
Il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 2877 del 21 marzo 2025 ha ribadito tali principi, che trovano il loro fondamento nell'ambito del rapporto di mandato.
Condannato l'amministratore che ha modificato la transazione senza eseguire quella originaria approvata dall'assemblea. Fatto e decisione
Un condominio citava in giudizio l'ex amministratore chiedendone la condanna per inadempimento rispetto ai suoi doveri derivanti dal mandato e, per l'effetto, al pagamento di una somma oggetto di una transazione.
Esponeva l'attore che il precedente amministratore era stato revocato dall'assemblea per numerose violazioni ed omissioni nella gestione del condominio. Tra tutte assumeva rilevanza il fatto che il convenuto si fosse reso irreperibile a seguito di una transazione definita in sede giudiziale e sottoscritta dal rappresentante condominiale in forza di mandato conferitogli dall'assemblea, la quale aveva indicato nella relativa delibera gli specifici termini dell'accordo. All'atto era stata aggiunta una clausola penale, non autorizzata e non ratificata dall'assemblea, con la quale era stato previsto il pagamento di un certo importo per ogni giorno di ritardo nell''esecuzione dei lavori oggetto dell'accordo (nella specie: rimozione di una tubatura di amianto).
Con la sottoscrizione dell'atto transattivo la causa avrebbe dovuto essere cancellata, ma questo non era potuto avvenire per negligenza dell'amministratore del tempo, il quale non aveva convocato l'assemblea in merito all'effettuazione dei lavori.
La sentenza veniva messa in esecuzione nei confronti degli ignari condomini, condannati all'esecuzione in forma specifica ed al pagamento dell'importo relativo alla penale, illegittimamente sottoscritta dal convenuto.
Il giudizio veniva deciso nella contumacia dell'ex amministratore, il quale veniva condannato, anche se in misura ridotta, al pagamento dell'importo richiesto a titolo di penale ed in parte già versata, mentre l'ulteriore domanda di risarcimento dei danni patiti dall'attore veniva rigettata in quanto non provata.
Scontata, per quanto emerso dai fatti di causa, la decisione del giudice partenopeo. L'attore, infatti, aveva dimostrato l'inadempimento dell'amministratore nell'aver inserito nella transazione, di sua volontà e senza averne poi chiesta ratifica all'assemblea, una clausola penale. In aggiunta era stato violato il disposto dell'art. 1130, co. 1, n. 1, c.c., secondo il quale l'amministratore deve eseguire le delibere assembleari.
La responsabilità dell'amministratore, infatti, deve essere inquadrata nell'ambito del rapporto di mandato rispetto al quale l'attività del mandatario deve essere eseguita con la diligenza richiesta dall'art. 1710 c.c. In un ambito più preciso il Tribunale ha richiamato una decisione di merito in base alla quale "la responsabilità dell'amministratore di condominio, alla stregua di quella del professionista, non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività, occorrendo verificare se il danno lamentato sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e infine se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il avrebbe evitato il pregiudizio lamentato, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del professionista, commissiva o omissiva ed il risultato derivatone" (Trib. Reggio Emilia 03 agosto 2020, n. 815).
La transazione, infine, essendo caratterizzata da concessioni reciproche tra le parti, per effetto delle quali si pone fine ad una controversia, non può che essere il prodotto di una decisione assembleare nella quale - come nel caso concreto - vengono indicati i termini dell'accordo. Solo, quindi, se vi sia tale deliberazione l'amministratore potrà procedere alla sottoscrizione di un atto che esorbita dalle sue competenze.
Pertanto, la mancanza di un'autorizzazione o di una ratifica dell'atto da parte dell'assemblea determinerà una responsabilità personale dell'amministratore.
Ruolo e limiti dell'amministratore nella transazione condominiale
La transazione è il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro. Questa è la definizione giuridica di un accordo, che l'art. 1965 c.c. ha configurato come un contratto a prestazioni corrispettive.
Nella fattispecie in esame l'intesa sottoscritta dall'assemblea ha rappresentato una transazione speciale che, in quanto limitata a definire una questione ben delimitata, si è contrapposta alla c.d. transazione generale che, invece, ha lo scopo di chiudere definitivamente tutti i pregressi rapporti tra le parti (Cass. 18 luglio 2019, n. 18219).
Se la transazione interessa questioni di natura condominiale la competenza decisionale spetta all'assemblea e non all'amministratore il quale, in questo frangente, svolge un ruolo di esecutore della volontà assembleare.
Sul punto non ci sono dubbi, come chiaramente espresso dalla giurisprudenza ad avviso della quale "non rientra tra le attribuzioni dell'amministratore il potere di pattuire con i condomini morosi dilazioni di pagamento o accordi transattivi, spettando all'assemblea il potere di approvare una transazione riguardante spese d'interesse comune, ovvero di delegare l'amministratore a transigere, fissando gli eventuali limiti dell'attività dispositiva negoziale affidatagli" (Cass. 08 giugno 2020, n. 10846).
Un principio che trova un precedente in altra decisione della Corte (Cass. 16 gennaio 2014, n. 821): "in tema di condominio negli edifici, ai sensi dell'art. 1135 cod. civ., l'assemblea può deliberare a maggioranza su tutto ciò che riguarda le spese d'interesse comune e, quindi, anche sulle transazioni che a tali spese afferiscano, essendo necessario il consenso unanime dei condomini, ai sensi dell'art. 1108, terzo comma, cod. civ., solo quando la transazione abbia ad oggetto i diritti reali comuni".
Rilevante la portata oggettiva di tale decisione, che ha delimitato i poteri dell'assemblea con riferimento alle maggioranze necessarie per l'approvazione della transazione. Infatti, è stato evidenziato che l'assemblea - alla luce dell'art. 1108 cit., applicabile anche al condominio in forza dell'art. 1139 c.c. - deve pronunciarsi all'unanimità dei condomini per gli atti di alienazione del bene comune o di costituzione su di essi di diritti reali o per le locazioni ultranovennali, talchè tale consenso deve essere espresso con le stesse modalità anche per le transazioni che abbiano ad oggetto i beni comuni in questi termini.
Con la conseguenza che le transazioni che abbiano ad oggetto spese di interesse comune sono deliberate a maggioranza dall'assemblea.
È, altresì, pacifico che nel momento in cui l'assemblea approva un accordo che pone fine ad una lite non solo l'amministratore deve strettamente attenersi a quanto deliberato, ma anche mettere in esecuzione l'accordo stesso che costituisce oggetto della deliberazione assembleare.
E questo significa che l'atto di intesa non può essere in alcun modo integrato da aggiunte che siano il frutto di una ulteriore contrattazione tra l'amministratore, in prima persona, e la controparte.
È altrettanto evidente che in entrambi i casi l'amministratore verrebbe meno ai suoi doveri di correttezza nei confronti dell'assemblea, tali da integrare non solo una sua responsabilità personale di natura contrattuale verso il condominio, ma anche da rappresentare una giusta causa di sua revoca come stabilito dall'art. 1129, co. 12, c.c.