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La veranda può violare il diritto di veduta del piano superiore se altera l'affaccio

La costruzione di una veranda può ledere il diritto di veduta del piano superiore, alterando l'affaccio e causando conflitti tra i diritti di proprietà in un condominio.
Avv. Caterina Tosatti 
13 Giu, 2025

La messa in opera di una veranda potrebbe ledere il diritto di veduta del proprietario dell'immobile posto al piano superiore rispetto a quello cui la veranda pertiene, se ne altera o impedisce l'affaccio e la veduta su quanto è sottostante.

Questa la questione esaminata dall'ordinanza n. 10942 del 26 aprile 2025 della Corte di Cassazione.

Fatto e decisione

Tizio cita in giudizio Caio e Sempronia, accusandoli di avere violato le distanze legali poste dall'art. 907 c.c.

In particolare, Tizio sostiene che Caio e Sempronia, proprietari di immobile posto al di sotto del suo, mettevano in opera una veranda, così occludendo e di fatto impedendo la veduta d'affaccio in appiombo da Tizio esercitata dalla terrazza di proprietà esclusiva.

In I° grado, a quanto ci è dato sapere, Tizio ottiene ragione, mentre la Corte d'Appello, cui ricorrono Caio e Sempronia, riformando la sentenza del precedente grado, rigetta la domanda di Tizio.

Egli allora ricorre per Cassazione e la Corte accoglie il ricorso, rinviando ai giudici d'appello per l'applicazione del principio di diritto e il regolamento delle spese.

La Corte d'Appello la cui sentenza Tizio impugna aveva inquadrato la fattispecie come disputa intorno all'uso più intenso della cosa comune. Siccome la veranda che Caio e Sempronia avevano installato insisteva sul muro perimetrale (facciata) del Condominio, la Corte d'Appello ha inteso che Tizio si lamentasse per avere Caio e Sempronia inglobato parte del detto muro comune (facciata) nel nuovo vano creato con la chiusura della veranda.

Così ragionando, la Corte territoriale rigetta la domanda di Tizio, ritenendo che tale inglobamento sia estrinsecazione del diritto al maggiore uso del bene comune da parte dei condòmini Caio e Sempronia, pertanto che vada tollerato da tutti, Tizio incluso.

La Corte di legittimità riconduce invece la domanda di Tizio nell'alveo della violazione delle distanze legali, primigenio motivo di contestazione sin dal giudizio di I°.

Così, si rinvia alla Corte d'Appello che dovrà verificare se il manufatto di Caio e Sempronia effettivamente viola le distanze legali e la veduta in appiombo di Tizio.

Pergotenda: distanze legali e diritto di servitù di veduta in appiombo

Considerazioni conclusive

Come più volte rammentato dalla Corte, il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell'edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condòmino che, direttamente o indirettamente, pregiudichi tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà e alla riservatezza del vicino, avendo operato già l'art. 907 c.c. il bilanciamento tra l'interesse alla medesima riservatezza e il valore sociale espresso dal diritto di veduta, poiché luce ed aria assicurano l'igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita (così, Cassaz. Sez. II, ordinanza n. 15906 del 06 giugno 2024).

Peraltro, come accaduto anche nel caso esaminato dalla Cassazione nel 2024, era risultato univocamente accertato in fatto che le due unità immobiliari di proprietà delle parti erano sì ubicate in un condominio, ma il manufatto di cui si denunciava l'illegittimità era stato posto a copertura di un'area scoperta di pertinenza della proprietà esclusiva del ricorrente e il diritto di veduta di cui si lamentava la violazione perteneva all'appartamento in proprietà esclusiva dei controricorrenti, così che il conflitto si era posto non tanto tra diversi diritti di uso della cosa comune tra condòmini (l'ancoraggio del manufatto al muro condominiale non era, infatti, oggetto di contestazione), ma tra diritti spettanti alle proprietà esclusive dei contendenti.

Sul rapporto tra distanze legali e Condominio, la Cassazione, con la sentenza n. 14916 del 15 giugno 2017, ha chiarito che, in tema di condominio, le norme sulle distanze, rivolte fondamentalmente a regolare con carattere di reciprocità i rapporti fra proprietà individuali, contigue e separate, sono applicabili anche tra i condòmini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l'applicazione di quest'ultime non sia in contrasto con le prime; nell'ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l'inapplicabilità della disciplina generale sulla proprietà, quando i diritti o le facoltà da questa previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal condòmino secondo i parametri previsti dall'art. 1102 c.c. (applicabile al condominio per il richiamo di cui all'art. 1139 c.c.), atteso che, in considerazione del rapporto strumentale fra l'uso del bene comune e la proprietà esclusiva, non sembra ragionevole individuare, nell'utilizzazione delle parti comuni, limiti o condizioni estranei alla regolamentazione e al contemperamento degli interessi in tema di comunione (Cass. civ. Sez. 2, n. 7044 del 14/4/2004, cit. in sentenza).

Quindi, dove il Giudice constati il rispetto dei limiti di cui all'art. 1102 c.c., l'opera realizzata sarà legittima pur in difetto del rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell'edificio condominiale.

Nel caso esaminato dalla Cassazione nel 2017, venne affermato che la parte che lamentava il manufatto ne aveva ben donde, in quanto lo stesso era stato posto in opera sulla terrazza di esclusiva proprietà della controparte, non facendosi questione del maggior uso delle cose comuni.

Allegato
Scarica Cass. 26 aprile 2025 n. 10942
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