Con ordinanza emessa in data 21 marzo 2024, n. 7544, la Corte di Cassazione, Sezione II, si è pronunciata su due motivi di censura afferenti la contraddittorietà della motivazione contenuta nella pronuncia emessa dalla Corte territoriale inerente un lodo arbitratale, in una contesa tra un condominio-committente ed una ditta-appaltarice, e la mancata dichiarazione di nullità del detto lodo per il difetto in ordine all'applicazione del prezzario non regionale, ai fini della determinazione del prezzo di appalto, in violazione dell'art. 1657 c.c., bensì adottando altro criterio non oggettivo
Cos'è e come funziona il giudizio arbitrale nel contesto delle controversie
In via preliminare, va precisato che siamo nell'alveo di un giudizio arbitrale, previsto e disciplinato dagli artt. 806 ss. c.p.c., si presenta come il mezzo al quale le parti possono ricorrere per sottrarre alla giurisdizione ordinaria - che essi ritengono, per i più vari motivi, inadeguata - la decisione di una lite tra loro insorta, realizzando così una sorta di giustizia privata, ossia da un privato anziché da un giudice dello Stato.
Accanto a tale arbitrato c.d. rituale (legge 5 gennaio 1994, n. 25 e del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), si è venuto affiancando quello c.d. irrituale o libero, creato dalla pratica per consentire alle parti di sfuggire al formalismo che ispira la disciplina del giudizio arbitrale contemplato nel codice di procedura civile, che si presenta, invece, come una sorta di mandato negoziale, mediante il quale viene conferito al terzo il potere di comporre una lite sostituendosi alla volontà dei contraenti: quindi, nel primo, l'arbitro è investito di una funzione sostitutiva di quella giurisdizionale, mentre, nel secondo, l'arbitro ha il compito di definire la lite in qualità di mandatario.
La distinzione tra i due tipi di arbitrato di cui sopra va ricercata nel diverso contenuto dell'atto cui l'arbitrato tende, nel senso che l'arbitrato rituale si risolve in un processo, che conduce alla decisione della controversia, mediante la manifestazione di una volontà superiore, che sovrappone alle contrastanti pretese delle parti l'efficacia della sentenza - mediante il decreto del Tribunale ex art. 825 c.p.c. all'esito di un controllo meramente formale dei requisiti di validità del lodo - mentre l'arbitrato libero opera sul piano negoziale e tende ad ottenere dal terzo un accertamento sostitutivo della volontà che le parti si obbligano a considerare vincolante come se fosse stato da esse stesse predisposto.
Per completezza, la legittimità del giudizio arbitrale rinviene da una clausola compromissoria contenuta in un regolamento condominiale oppure prevista in un contratto stipulato dalle parti, come il contratto di appalto oggetto del giudizio di legittimità posto all'attenzione degli ermellini, intercorso, come ribadito, tra un condominio-committente ed una ditta appaltatrice.
Impossibilità dell'esame nel merito dei motivi di ricorso.
La Suprema Corte nella disamina dei motivi di censura sollevati, delinea l'errato concetto espresso dal ricorrente, posto che l'esame del ricorso sulla sentenza che ha deciso per il rigetto della nullità del lodo arbitratale, non può essere apprezzata dalla detta Cassazione perché la stessa decide solo su violazione di legge ma non nel merito della contesa arbitrale e la susseguente congruità della motivazione (Cass. civ. 7 febbraio 2018, n. 2985; Cass. civ. sez. II, 26 maggio 2015, n. 10809).
In buona sostanza, gli ermellini non possono entrare nelle ragioni con cui la sentenza impugnata ha respinto la domanda di nullità (Cass. civ. 30 novembre 2020 n. 27321; Cass. civ. sez. VI-I, 16 aprile 2018, n. 9387).
Inesistenza delle ragioni di nullità del lodo
È condivisibile quanto sostento dalla Cassazione circa, comunque, l'inesistenza delle cause di nullità del lodo, disattendo l'assunto del ricorrente atteso che il provvedimento decisorio è sicuramente legittimo al fine della determinazione del corrispettivo dell'appalto, ex art. 1657 c.c., e che il percorso della motivazione degli arbitri è da considerarsi del tutto chiaro e logico, dando conto in maniera esaustiva delle proprie determinazioni sia nell'an, che nel quantum, delle pretese avanzate dalle parti, evidenziando, alla luce dell'espletato accertamenti del consulente tecnico d'ufficio, i criteri attraverso i quali era pervenuto alla quantificazione della somma dovuta dall'impresa.
Perciò, la sentenza emessa dalla Corte d'appello appare conforme all'obbligo di esposizione sommaria dei motivi imposto agli arbitri ex art. 823, n. 5, c.p.c., il cui mancato adempimento comporta la possibilità di impugnare il lodo ai sensi dell'art. 829, comma 1, nn. 4 e 5, c.p.c.
Però la fattispecie posta al vaglio della Suprema Corte contiene tutti i requisiti prescritti dal codice di procedura civile, perché la motivazione non manca, non è totalmente carente, tale da non riuscire a comprendere iter logico che ha determinato la decisione arbitrale, e non contiene, in assoluto, contraddizioni inconciliabili nel corpo della motivazione o del dispositivo (Cass. civ. 18 maggio 2022, n. 16077; Cass. civ. sez. I, 18 dicembre 2013, n. 28218).
In conclusione, la Suprema Corte rigettava il ricorso, con condanna alle spese del giudizio di legittimità