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La sopraelevazione del vicino: quando è nuova costruzione e quando ristrutturazione

Quando è legittima la sopraelevazione e quando invece si deve ridurre in pristino? Cosa si intende per ristrutturazione e per nuova costruzione?
Avv. Anna Nicola Avv. Anna Nicola 

Il caso è tratto dalla decisione della Cass. n. 4009 del 8 febbraio 2022.

La fattispecie per cui è causa e la vicenda processuale

Tizia cita in giudizio i proprietari, ciascuno per la propria porzione, dell'immobile a lei vicino lamentando l'illegittimità della sopraelevazione del fabbricato in quanto realizzato in violazione delle distanze legali dal fabbricato dell'attrice e dal confine e, per l'effetto, chiedendo che i convenuti fossero condannati alla riduzione in pristino, per la parte di edificio sopraelevata che non rispettava le distanze di legge e domandando altresì nei confronti della originaria proprietaria dell'intero edificio ed autrice dell'illegittima sopraelevazione la condanna al risarcimento dei danni.

Questa ha resistito alle domande proposta dall'attrice sul rilievo che non vi era stata alcuna sopraelevazione ma solo una ristrutturazione del tetto, che non aveva comportato un aumento dell'altezza e della volumetria dell'immobile, e realizzata in conformità alle norme tecniche del Regolamento edilizio vigente al momento della denuncia di inizio attività.

Gli altri convenuti chiedono principalmente di essere tenuti indenni dall'originario proprietario in caso di accoglimento delle domande dell'attrice.

Viene radicato nel frattempo altro giudizio tra le medesime parti poi riunito alla presente vertenza.

Disposta una consulenza tecnica d'ufficio, il tribunale ha rigettato le domande dell'attrice condannandola al pagamento delle spese processuali in favore di ciascuno dei convenuti e chiamati in causa.

L'attrice presenta quindi impugnazione contro questa sentenza.

La corte di appello, in particolare, ha rilevato, in fatto, che, alla luce dei chiarimenti forniti dal consulente tecnico d'ufficio, la costruzione della nuova copertura dell'edificio ha consentito di delimitare un "volume fisico" "con altezza aumentata di circa 90 centimetri rispetto all'edificio originario".

I volumi realizzati, infatti, ha osservato la corte, non possono essere considerati, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, come volumi tecnici, sia in considerazione del fatto che anche nel progetto non sono indicate ragioni di ordine tecnico che avrebbero richiesto l'innalzamento del colmo del tetto di cm. 90 e la trasformazione dello stesso, precedentemente a quattro falde, in uno a botte, sia perché dall'elaborato del CTU risulta l'uso parzialmente abitativo dei locali al sottotetto.

La corte, quindi, dopo aver ricordato che:

  • la ristrutturazione si attua, nel rispetto dell'art. 31, comma 1, lett. d), della I. n. 457 del 1978, attraverso interventi che comportino modificazioni esclusivamente interne dell'edificio preesistente, senza aumenti di superficie o di volume, in presenza dei quali, invece, si configura una nuova costruzione, sottoposta alla disciplina in tema di distanze (vigente al momento della realizzazione dell'opera) e alla relativa tutela ripristinatoria;
  • la ristrutturazione di un fabbricato che superi in altezza l'edificio preesistente equivale, pertanto, ad una sopraelevazione, la quale, a sua volta, anche se di dimensione ridotta, comporta pur sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e va pertanto considerata a tutti gli effetti, e quindi anche per la disciplina delle distanze, come nuova costruzione;
  • l'aumento di volumetria è escluso unicamente se derivi da un "volume tecnico", per tale intendendo solo l'opera edilizia priva di alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi, come quelli connessi alla condotta idrica, termica o all'ascensore, di una costruzione principale per esigenze tecnico-funzionali dell'abitazione e che non possono essere ubicati nella stessa.

Effettuate tutte queste osservazioni, il giudice di appello ha ritenuto che risulta evidente come, nel caso in esame, "l'opera realizzata non può essere considerate priva di autonomia funzionale, anche potenziale", se solo si considera che, spostando in altezza il controsoffitto di cm. 5 e mantenendo inalterata la attuale sagoma esterna del tetto, il sottotetto, che non è destinato a contenere impianti serventi, otterrebbe l'abitabilità, e che, ove l'opera edilizia comporta, come nel caso in esame, un aumento della volumetria, si configura una "nuova costruzione".

Né può rilevare, ha aggiunto la corte, la norma di cui all'art. 103 del regolamento edilizio del Comune, che non può influire, sovvertendone il significato, sui concetti di "costruzione" e di "sopraelevazione" che sono fissati dai principi dell'ordinamento giuridico generale, così come è irrilevante "l'esito positivo degli iter amministrativi edilizi", che incidono solo sul rapporto pubblicistico tra la pubblica amministrazione e il privato ma non anche sui rapporti tra i privati i quali, in caso di violazione delle norme sulle distanze previste dagli artt. 873 ss c.c. e della norma prevista dall'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, conservano inalterato il diritto alla riduzione in pristino.

L'intervento realizzato dalla originaria proprietaria sull'edificio in questione, poiché "ha comportato la demolizione del tetto precedente a quattro falde e la realizzazione di una nuova copertura a botte", poiché "non ha rispettato la sagoma dell'edificio precedente" determinando piuttosto "un aumento del volume fisicamente apprezzabile rispetto a quello precedente", poiché non può essere ritenuto come un'opera priva di autonomia funzionale anche potenziale e non può essere assimilata ad un mero "volume tecnico", si configura, in definitiva, come una nuova costruzione e non come una ristrutturazione edilizia.

E poiché la sopraelevazione è stata realizzata in violazione dell'art. 873 c.c., dell'art. 9 del d.m. n. 1444 cit. e dell'art. 7 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune, i convenuti, ha concluso la corte, devono essere condannati alla riduzione in pristino e la originaria proprietaria, nei cui confronti la domanda è stata proposta, anche al risarcimento dei danni.

L'accoglimento della domanda proposta dall'attrice comporta, infine, ha aggiunto la corte, la condanna della originaria proprietaria a tenere indenni gli acquirenti delle singole porzioni, e cioè di ogni conseguenza pregiudizievole che possa loro derivare dalla rimessione in pristino del tetto.

L'originaria proprietaria ha promosso ricorso in Cassazione.

I principi espressi dal Supremo Collegio

La Cassazione rigetta il ricorso ed i motivi su cui esso si fonda, fornendo chiarimenti alle fattispecie di nuova costruzione e di ristrutturazione.

Ristrutturazione e ricostruzione

Come ripetutamente affermato in sede di legittimità, nell'ambito delle opere edilizie, anche alla luce dei criteri di cui all'art. 31, comma 1°, lett. d), della I. n. 457 del 1978 (oggi art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001), la semplice "ristrutturazione" si verifica soltanto se gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura; viceversa, è ravvisabile la "ricostruzione" allorché dell'edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti e l'intervento si traduca nell'esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria; in presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di "nuova costruzione", come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima (Cass. SU n. 21578 del 2011; conf., di recente, Cass. n. 15041 del 2018).

Stando alla normativa di cui al Testo Unico dell'Edilizia contenuto nel D.p.r. n. 380 cit.:

  • si parla di semplice ristrutturazione qualora "gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un fabbricato le cui componenti essenziali, quali muri perimetrali, strutture orizzontali e copertura siano rimasti inalterati";
  • ci si trova di fronte, invece, a una ricostruzione quando "le componenti dell'edificio, per evento naturale o per fatto umano, siano venute meno e l'intervento successivo non abbia comportato alcuna variazione rispetto alle dimensioni originarie dell'edificio, con particolare riferimento alla volumetria, alla superficie di ingombro occupata e all'altezza": in questo senso, l'opera di demolizione e ricostruzione può essere qualificata quale ristrutturazione purché la nuova opera mantenga le caratteristiche planovolumetriche dell'edificio precedente;
  • in caso di aumento di una di queste componenti (volumetria, superficie di ingombro occupata e altezza), infine, "si è in presenza di una nuova costruzione, da considerare tale agli effetti del computo delle distanze rispetto agli immobili contigui" (Cass. n. 14902 del 2013), avendo riguardo alla disciplina vigente al momento della sua realizzazione: "nel suo complesso, ove lo strumento urbanistico rechi una norma espressa con la quale le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le nuove costruzioni siano estese anche alle ricostruzioni, ovvero, ove una siffatta norma non esista, solo nelle parti eccedenti le dimensioni dell'edificio originario" (Cass. SU n. 21578 del 2011; Cass. n. 473 del 2019).

La ristrutturazione edilizia, in definitiva, solo se non comporta aumenti di superficie o di volume, non configura una nuova costruzione ed è, pertanto, ad essa inapplicabile la disciplina in tema di distanze prevista dall'art. 873 c.c. (Cass. n. 10873 del 2016).

Viceversa, ove comporti aumenti di superficie o di volume, la ristrutturazione edilizia si configura come una nuova costruzione, sottoposta alla disciplina in tema di distanze, vigente al momento della realizzazione dell'opera, e alla relativa tutela ripristinatoria (Cass. n. 17043 del 2015; Cass. n. 11049 del 2016).

Peraltro, se la ristrutturazione di un fabbricato si concretizza nella sopraelevazione dell'edificio preesistente, tale sopraelevazione, a sua volta, anche se di dimensione ridotta, comporta pur sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro ed è, dunque, tenuta, quale nuova costruzione, al rispetto della disciplina delle distanze (Cass. n. 17043 del 2015; Cass. n. 23845 del 2018; Cass. n. 144 del 2016).

Quando la sopraelevazione lede aspetto e decoro architettonico

Modifica del tetto: medesime conclusioni

Tale conclusione vale anche per la modifica del tetto. In materia di distanze legali tra edifici, infatti, la modificazione del tetto di un fabbricato integra sopraelevazione e, come tale, una nuova costruzione se essa produce un aumento della superficie esterna e della volumetria dei piani sottostanti, così incidendo sulla struttura e sul modo di essere della copertura, spettando, peraltro, al giudice di merito di volta in volta verificare, in concreto, se l'opera eseguita, avendo carattere ornamentale e funzioni meramente accessorie rispetto al fabbricato, vada esclusa dal calcolo delle distanze legali ovvero se, al contrario, com'è stato accertato in fatto nel caso in esame, l'opera presenti le anzidette caratteristiche e sia, come tale, assoggettata alla disciplina sulle distanze vigente al momento della sua realizzazione (Cass. n. 20786 del 2006; Cass. n. 14932 del 2008), non operando il criterio della prevenzione riferito alle costruzioni originarie in quanto sostituito dal principio della priorità temporale correlata al momento della sopraelevazione (Cass. n. 15527 del 2008; Cass. n. 74 del 2011): in tema di distanze legali, con riferimento alla sopraelevazione di un edificio preesistente, il criterio della prevenzione va applicato avendo riguardo all'epoca della sopraelevazione e non a quella della realizzazione della costruzione originaria (Cass. n. 14705 del 2019).

Nel caso in esame, come visto, la corte d'appello ha accertato, con statuizione non impugnata per omesso esame di fatti decisivi dei quali sia stata dimostrata la risultanza dagli atti del giudizio, che l'intervento realizzato dalla originaria proprietaria, consistito nel "la demolizione del tetto precedente a quattro falde e la realizzazione di una nuova copertura a botte", "non ha rispettato la sagoma dell'edificio precedente" determinando piuttosto, "con altezza aumentata di circa 90 centimetri rispetto all'edificio originario", "un aumento del volume fisicamente apprezzabile rispetto a quello precedente" ed ha, in forza di tale emergenza, correttamente ritenuto che si fosse in presenza non già di una mera ristrutturazione bensì di una "nuova costruzione", come tale, assoggettata all'osservanza delle prescrizioni sulle distanze previste, tra l'altro, dall'art. 873 c.c. e dall'art. 7 delle N.T.A. del Comune (evidentemente) in vigore al momento della sua realizzazione.

La nozione di costruzione - che, come detto, non può essere delineata diversamente dalle norme secondarie dei regolamenti comunali (Cass. n. 23843 del 2018) - ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli artt. 873 ss. c.c. e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, non si identifica, del resto, con la nozione di edificio ma si estende a qualsiasi "manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa" (Cass. n. 24128 del 2012; Cass. n. 15972 del 2011).

I volumi realizzati, del resto, ha correttamente aggiunto la corte d'appello, non possono essere considerati come volumi tecnici "sia in considerazione del fatto che anche nel progetto non sono indicate ragioni di ordine tecnico che avrebbero richiesto l'innalzamento del colmo del tetto di cm. 90 e la trasformazione dello stesso, precedentemente a quattro falde, in uno a botte, sia perché dall'elaborato del CTU risulta 'l'uso parzialmente abitativo dei locali al sottotetto".

E si è già osservato come, in linea di principio, l'aumento di volumetria, ai fini in oggetto, è escluso unicamente se derivi da un "volume tecnico", per tale intendendo solo l'opera edilizia priva di alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi, come quelli connessi alla condotta idrica, termica o all'ascensore, di una costruzione principale per esigenze tecnico-funzionali dell'abitazione e che non possono essere ubicati nella stessa, e non anche quella che costituisce, come il vano scale, parte integrante del fabbricato (Cass. n. 11049 del 2016).

Sopraelevazione, innovazioni e modifica della cosa comune: differenze

Sentenza
Scarica Cass. 8 febbraio 2022 n. 4009
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