La vicenda. Tizio e Caio avevano acquistato un capannone, originariamente adibito a macello, già abusivo e successivamente condonato, posto a circa m. 1,40 da altro fabbricato degli odierni ricorrenti. Nello stesso anno, previa concessione edilizia, gli acquirenti trasformavano l'immobile in edificio residenziale.
I proprietari confinanti impugnavano invano la concessione edilizia davanti al Tar e denunciavano penalmente gli acquirenti, che venivano assolti dal pretore di Tirano.
Successivamente, Sempronio agiva davanti al tribunale di Sondrio al fine di imporre il rispetto delle distanze dal proprio fabbricato.
In primo grado, il tribunale riconosceva che i convenuti erano titolari della servitù, già acquistata dai loro danti causa per usucapione, di mantenere, dal fondo dei vicini, la stessa distanza alla quale si trovava l'edificio demolito.
D'altra parte, poiché il fronte del fabbricato era stato lievemente avanzato nell'attività di ricostruzione, il tribunale li condannava ad arretrare l'edificio nei limiti della distanza originaria. La Corte territoriale accoglieva l'appello e, ravvisata la violazione delle norme edilizie, condannava gli odierni ricorrenti all'arretramento della costruzione fino a 10 mt. (distanza prevista dalle norme regolamentari vigenti).
Il primo giudizio della Cassazione: sentenza cassata con rinvio. La sentenza era stata cassata dalla Suprema Corte, che riconosceva configurabile l'acquisto per usucapione di una servitù di mantenere una costruzione a distanza inferiore a quella prescritta, pure se questa era stabilita dai regolamenti edilizi; la Corte aggiungeva che la servitù in favore di un edificio non si estingueva con la demolizione di esso, ma solo con il decorso del termine previsto dall'art. 1073 c.c.
Il nuovo giudizio di merito. Adita in sede di rinvio, la Corte d'appello ha accertato che la configurabilità della servitù non trovava ostacolo nel principio nemini res sua servit, non essendoci totale coincidenza fra i proprietari dei fondi dominante e servente; che era quindi da confermare la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva condannato i convenuti ad arretrare il fabbricato nei limiti della distanza di mi 1,40 dal fabbricato vicino.
Il nuovo giudizio della Cassazione. Il giudice di rinvio, nel definire la controversia, si era mosso all'interno dei principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte con la sentenza n. 4240 del 2010, puntualmente richiamati nella parte narrativa della sentenza impugnata.
Dunque, sulla scorta di ciò, a seguito del rinvio, la corte di merito aveva correttamente accertato che i proprietari originari del manufatto poi venduto a Tizio e Caio, avevano acquistato per usucapione, nei confronti dei vicini, il diritto di mantenere il fabbricato a distanza di m. 1,40; dal complesso tali circostanze, la corte ha fatto discendere il diritto dei proprietari del fondo servente di pretendere il rispetto non delle distanze stabilite dalle norme regolamentari vigenti al momento della riedificazione, ma delle distanze in relazione alle quali era maturato l'acquisto per usucapione della servitù.
In altre parole, la servitù, già esistente in favore del capannone demolito, si era appuntata sull'edificio ricostruito, in quanto sorta al posto del precedente capannone e non già «su di un sedime non prima interessato da una modificazione». Per tali motivi, il ricorso è stato rigettato.
Principio di diritto. "In materia di violazione delle distanze legali tra proprietà confinanti, deve ritenersi ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dalle norme del codice civile o da quelle dei regolamenti e degli strumenti urbanistici locali" (Cass. civ. sez. II, 4 aprile 2019, n. 9386).