Un'interessante sentenza della V sezione del Tribunale di Roma offre lo spunto per addentrasi nell'insidioso terreno della revoca delle delibere condominiali.
Il caso.
L'assemblea decideva, con la maggioranza dei presenti, pari a 587 millesimi, la modifica del vigente regolamento di condominio in tema di condizioni di utilizzo degli appartamenti.
Parte attrice, dissenziente, impugnava tempestivamente la relativa delibera, sostenendo che la modifica di una clausola come quella in oggetto, incidendo su un diritto individuale che le era stato attribuito dallo stesso regolamento, ed essendo quindi di natura contrattuale, si sarebbe potuta attuare solo all'unanimità (i 1.000/1.000 millesimi).
Si costituiva il Condominio eccependo la cessata materia del contendere, poiché nelle more era stata deliberata la revoca della precedente deliberazione (impugnata) al fine di risolvere la controversia tra le parti.
Detto, ciò, le parti evidentemente non trovavano un accordo sulle spese di lite.
La causa, infatti, si "trascinava" sino alla pronuncia della sentenza in commento, che, pur dando effettivamente ragione all'impostazione di parte convenuta, dichiarando la cessata materia del contendere, la condannava comunque al pagamento delle competenze legali, liquidate in complessivi € 4.000,00 oltre oneri di legge.
Nella fattispecie, il Giudice ripercorre attentamente la casistica giurisprudenziale in tema di delibere sostitutive delle precedenti, partendo da un principio ormai acquisito: l'applicazione analogica, in ambito condominiale, di un disposto di legge dettato in materia di diritto societario.
Ai sensi dell'art. 2377, comma 8 c.c., infatti, "l'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto. In tal caso il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società, e sul risarcimento dell'eventuale danno".
Una volta che il Giudice abbia constato, quindi, che nella pendenza di un'impugnativa di una delibera condominiale, questa sia stata revocata (come quella in esame) o comunque sostituita da altra deliberazione successiva (incompatibile con la prima), l'organo giudicante perde il potere di decidere la causa nel merito, perché è venuto meno l'interesse ad agire della parte impugnante.
Egli dovrà limitarsi, dunque, a dare atto della cessata materia del contendere, regolando le spese di lite secondo il noto principio della soccombenza virtuale, cioè secondo una "prognosi postuma" consistente nel valutare - in via, evidentemente sommaria - quale sarebbe stato l'esito del giudizio se non fosse intervenuta la nuova deliberazione.
Qui, evidentemente, la condanna del Condominio al pagamento delle competenze professionali dell'avversa difesa discende dalla macroscopica invalidità della delibera impugnata, che pretendeva la modifica di un diritto individuale di parte attrice, così come attribuitole dal regolamento di condominio, senza il suo esplicito consenso (cfr., per tutte, Cass. Sez. Unite, n. 4806/2005).
Vi sono ipotesi, però, in cui la decisione nel merito non è preclusa nemmeno dalla una successiva delibera presuntivamente sostitutiva.
Ad esempio, quando tale seconda decisione assembleare sia a sua volta intrinsecamente viziata.
Il vizio, secondo la sentenza in commento, potrà essere:
- di nullità, e allora il giudice della prima impugnativa potrà rilevarlo anche incidenter tantum e, considerata come se non vi fosse la seconda deliberazione (accertata nulla), ovviamente dovrà pronunciarsi sui vizi eccepiti della prima;
- di annullabilità, e allora colui che ha interesse a coltivare nel merito la prima impugnativa, rilevato un motivo di censura nella seconda delibera sostitutiva della prima, sarà costretto a impugnare anche tale seconda decisione (diversamente, infatti, l'effetto sostitutivo si consoliderebbe e la prima deliberazione "resterebbe in piedi" solo virtualmente, nell'ottica del regolamento finale delle spese processuali).
=> Delibere condominiali nulle e annullabili
Va però dato atto dell'esistenza di un secondo filone interpretativo, il quale assegna al giudice della prima impugnativa anche la valutazione e la declaratoria, incidenter tantum, circa la mera annullabilità della seconda decisione.
In questo modo l'istante, che ha già sollevato la prima impugnazione, in un quadro di economia dei mezzi giuridici, di contenimento dei costi e di celerità del processo, è esonerato dall'esperimento della seconda impugnativa, potendo limitarsi a eccepire la censura dinanzi al primo giudice (cfr., in ambito di diritto societario, Trib. Roma, sez. XVI, sent. n. 21663/2017).
Vi è, infine, un'ultima ipotesi, del tutto peculiare, in cui la seconda deliberazione, pur dichiarando formalmente di sostituire la precedente, riproduca esattamente quanto in precedenza deliberato, ivi compreso il vizio oggetto di censura.
In questo caso, è evidente come la giurisprudenza ritenga non necessario procedere anche con la seconda impugnativa, poiché la declaratoria della prima invalidità travolgerà, di conseguenza, pure la seconda (Cass. n. 2263/1970, cit. sentenza in commento; ma il principio è acquisizione del giudice amministrativo: cfr. Cons. Stato, V, n. 662/2010).
In conclusione.
Quando si adottano delibere viziate e si intende porvi riparo, sono da valutare molteplici aspetti.
La semplice revoca, poi, non pone al riparo il Condominio da una pesante condanna alle spese processuali.
In ogni caso, qualora l'intento sia quello di revocare (o di sostituire) una precedente decisione assembleare, è vivamente consigliata la previa consulenza di un esperto che "suggerisca" il miglior testo di delibera.