La controversia sottoposta all'attenzione della Corte d'Appello di Roma (sentenza n.3220 del 23 maggio 2025) investe una lite insorta tra due confinanti in merito alla proprietà del muro divisorio e conseguenti pretese di ripristino correlate, occasionate dalla intervenuta costruzione di un forno in muratura ancorato allo stesso, unitamente alla installazione di un cancello ed alla presenza di piante rampicanti.
Per una compiuta analisi, non possiamo prescindere da un inquadramento della normativa contenuta nel codice civile e, in particolare, del disposto di cui all'art. 880 c.c. rubricato "Presunzione di comunione del muro divisorio" nonché della disciplina sulle distanze legali.
In proposito, è certamente preliminare procedere alla disamina delle disposizioni dettate in materia, con espresso riferimento all'onere probatorio gravante su chi contesta la presunzione di comunione del muro, ovvero chiede di accertarne e dichiararne la proprietà esclusiva.
Parimenti, per un esaustivo esame della questione non si può prescindere da un attento apprezzamento delle prove prodotte e dalle risultanze della istruttoria espletata in giudizio al fine di valutare la legittimità, o meno, delle domande avanzate.
Fatto e decisione
La proprietaria di un terreno adibito a giardino su cui è posto un muro di recinzione ha convenuto in giudizio la proprietaria dell'immobile ubicato al piano seminterrato del condominio limitrofo, chiedendo di accertare e dichiarare l'esclusiva proprietà del muro con conseguente domanda di rimessa in pristino dello stato dei luoghi da attuarsi con la demolizione del forno in muratura, la eliminazione del cancello e delle piante rampicanti.
Il Tribunale ha parzialmente accolto la domanda condannando la convenuta alla rimozione del forno, per violazione della distanza legale, rigettando le altre, precisando che non è stata offerta prova atta a superare la presunzione di comunione del muro divisorio.
L'attrice ha, quindi, promosso appello, lamentando (i) l'omessa, errata e contraddittoria valutazione delle istanze istruttorie, (ii) la erronea e carente motivazione della sentenza in ordine alle eccezioni formulate, (iii) la errata valutazione dell'inquadramento giuridico della domanda, nonché (iv) l'omessa condanna al risarcimento del danno richiesto.
I Giudici di seconde cure hanno respinto l'appello, condividendo l'arresto del Tribunale, per le ragioni di seguito illustrate.
Presunzione di comunione del muro divisorio
Sul tema, è imprescindibile ricordare che, ai sensi e per gli effetti dell'art. 880 c.c. "Il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto. Si presume parimenti comune il muro che serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi".
È di tutta evidenza che, qualora un muro assolva una funzione divisoria tra due proprietà, opera la presunzione di comunione in aderenza al dettato di cui alla norma richiamata.
Nella fattispecie, dai documenti offerti e dalle prove testimoniali assunte nel corso del giudizio di primo grado, non è stata dimostrata la proprietà esclusiva del muro de quo dell'attrice, qui, nella veste di appellante.
Invero, avanti al Tribunale non è stato depositato alcun titolo idoneo a confermare la tesi sostenuta, né i testi escussi hanno apportato alcunché al thema probandum, poiché dalla edificazione del muro a proprie spese da parte dell'appellante, non può derivarne la proprietà esclusiva bensì, unicamente, il diritto al rimborso parziale.
A conforto, è unanime e consolidato l'orientamento della Giurisprudenza, in rispondenza al quale "L'art. 880 c.c. statuisce che il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto. Pertanto, in virtù di questa disposizione, vige una presunzione di comunione del muro di confine tra due edifici.
Tale presunzione relativa di comunione del muro, stabilita dall'art. 880 c.c., postulando la funzione divisoria di fondi omogenei, alla quale si ricollega l'utilità comune, è vinta dall'accertamento che il muro sia stato costruito nella sua interezza su di una sola delle aree confinanti, con conseguente acquisto per accessione, ai sensi dell'art. 934 c.c." (Corte appello Bari sez. III, 05/12/2019, n.2538).
Nel caso, non è stata apportata alcuna prova in relazione alla esistenza di un titolo che attesti la proprietà esclusiva del muro, nei termini di legge, motivo per cui il muro deve essere ritenuto comune tra le parti.
Ne deriva che, stante il difetto di tale prova, non può ritenersi legittima la domanda di rimozione del cancello e dei cavi elettrici, in ragione del fatto che tali opere non contrastano con l'art. 1102 c.c., in aderenza al quale si possono realizzare modifiche alla cosa per un maggior godimento, fatta salva l'alterazione della destinazione ed il diritto al pari utilizzo da parte degli altri partecipanti.
Per quanto concerne la censura mossa in merito alla esistenza di rampicanti che invadono la proprietà, non è stata oggetto di prova testimoniale ed è stata contestata dalla convenuta.
Al contempo, non è stata neppure proposta alcuna domanda relativamente alla violazione delle distanze legali inerenti alla piantumazione dei rampicanti.
Violazione distanze e risarcimento del danno
Fermo quanto sopra osservato, di per sé sufficiente a respingere i primi tre motivi di gravame, appare doveroso individuare l'elemento utile per poter determinare se sussiste il diritto di risarcimento del danno reclamato dall'appellante a causa della violazione delle distanze legali per la presenza del forno.
Sotto tale profilo, è confacente rammentare che colui che si assume danneggiato deve dimostrare, anche mediante presunzioni, l'avvenuta diminuzione di utilizzo e fruibilità della sua proprietà ed anche del valore di tali disagi.
La prova può essere offerta anche sulla base dell'allegazione di fatti che, secondo l'id quod plerumque accidit, sono causa di certi tipi di pregiudizi.
In concreto, il danno va dimostrato, anche in via presuntiva e compete al Giudice valutare la verosimiglianza del carattere lesivo dei fatti indicati, che, comunque, non può sostituirsi alla parte danneggiata nell'indicazione dei danni subiti.
Nella vicenda de qua, l'appellante non ha prodotto alcun elemento utile per una determinazione e stima dei danni lamentati, non essendo stata data e richiesta prova della accensione del forno e conseguenti pregiudizi derivanti della propagazione di fumi o odori che possano incidere sulla qualità della vita.
In conclusione, i motivi di appello sono stati rigettati in ragione del mancano assolvimento dell'onere della prova rispetto alle pretese formulate.