Con la riforma L.220/2012, l'obbiettivo del legislatore è stato quello di scongiurare modus operandi poco chiari e che possono dare adito a dubbi circa la buona fede dell'Amministratore. Da qui, chiaramente, la necessità comunque di giungere ad una forma di "accertamento" e di individuare la semplice modalità di gestione sufficiente a delineare lo scenario del mero pregiudizio della confusione patrimoniale.
L'obbligo normativo. Il nuovo art. 1129 c.c., al comma 7, prevede l'obbligo dell'amministratore di condominio di far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio, aggiungendo che ciascun condomino, per il tramite dell'amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica.
L'obbligo di apertura del conto corrente condominiale ha carattere imperativo, come confermato espressamente dall'art. 1138, comma 4, c.c., che prevede l'inderogabilità dell'art. 1129 c.c. anche da parte di un eventuale regolamento di natura contrattuale.
Ciò anche in considerazione del fatto che l'apertura del conto è un obbligo che grava sulla persona dell'amministratore (e non sui condomini) e che, dunque, scatta automaticamente con il conferimento del mandato.
Dal carattere imperativo della norma in esame deriva che l'assemblea non potrà più efficacemente dispensare l'amministratore dall'obbligo di aprire il conto corrente condominiale.
Sembra preferibile ritenere che l'eventuale delibera che autorizza la non apertura del conto corrente condominiale debba considerarsi nulla.
In quanto tale, può essere impugnata da chiunque ne abbia interesse (anche da terzi o dai condomini che hanno votato a favore) e in ogni tempo (anche oltre il termine di 30 giorni previsto dall'art. 1137 c.c. per l'impugnazione delle delibere annullabili).
Continua [...]