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Vietare un particolare uso della scala condominiale non vuol dire impedirne l'uso

Vietare l'uso professionale della scala condominiale non esclude l'obbligo di partecipazione alle spese di manutenzione, poiché il diritto di comproprietà implica costi anche per l'uso potenziale.
Avv. Marco Borriello - Foro di Nola 
Mar 2, 2021

In ambito condominiale, dove principalmente gli immobili sono delle abitazioni, è frequente che il regolamento vieti un uso diverso sui beni comuni. Può accadere, ad esempio, che sia inibito l'utilizzo della scala interna al fabbricato per scopi professionali, vietando che possano accedervi i pazienti di uno studio medico o i clienti di un ufficio professionale.

In questi, come in altri casi analoghi, si discute se la limitazione d'uso in oggetto possa autorizzare il singolo proprietario a contribuire alle spese di manutenzione del bene condominiale in misura diversa o più limitata rispetto alla generalità dei condòmini.

Si tratta, in particolare, di una circostanza può condurre ad una lite giudiziaria, così come è avvenuto nella vicenda sottoposta al vaglio del Tribunale di Prato e culminata con la sentenza n. 117 del 11 febbraio 2021.

Come sempre, però, prima di entrare nel merito delle motivazioni che hanno condotto alla decisione in commento, è bene concentrarsi sul caso concreto e su ciò che ha determinato le parti in causa a scontrarsi dinanzi ad un magistrato.

Vietare l'uso della scala non vuol dire impedirne l'uso: il caso

La lite nasce in un condominio di Prato ed a seguito di una delibera assembleare del 2016. Questa aveva disposto a carico del proprietario di due appartamenti, locati come studi medici, le spese relative all'ingresso, alla scala e all'ascensore.

Secondo la parte attrice, la decisione era invalida poiché, in base ad una sentenza del Tribunale di Prato (600/2014), avente ad oggetto la questione dell'uso di questi beni comuni, era stato stabilito che gli stessi non potessero essere utilizzati da questo condòmino.

Manutenzione ascensore, quale criterio applicare?

Insomma, il proprietario degli immobili sosteneva di non dover nulla, poiché non accedeva all'ingresso del fabbricato e, tanto meno saliva per le scale del medesimo o prendeva l'ascensore, visto che a ciò era stato inibito da una sentenza del Tribunale.

In effetti, tale conclusione era avallata dal Giudice di pace di Prato che, nel 2018, annullava la delibera impugnata per i predetti motivi.

Era conseguenziale, quindi, l'appello in esame, dove il condominio appellante precisava che non era vero che era stato inibito, in assoluto, l'utilizzo dei beni comuni in discussione; ne era stato, semplicemente, vietato un uso professionale.

In pratica, quindi, i pazienti dovevano accedere agli studi medici senza passare dal palazzo. Il proprietario, invece, non aveva patito alcuna limitazione.

Per tale ragione, le spese di manutenzione dell'ingresso, delle scale e dell'ascensore dovevano essere attribuite anche alla parte appellata.

Il Tribunale di Prato ha accolto l'appello, attestando la validità della delibera impugnata e capovolgendo, quindi, l'esito del primo grado di giudizio.

Ripartizione delle spese condominiali: la legge

In tema di ripartizione delle spese condominiali, l'art. 1123 del codice civile afferma che «Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.

Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne.

Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.»

La norma appena richiamata non esonera dal pagamento delle quote di manutenzione il singolo condominio che decide di non utilizzare un determinato bene, pur avendo la potenzialità e la facoltà di farlo.

Su questa conclusione si associa, altresì, la sentenza in commento.

Niente spese solo se il bene comune non può essere oggettivamente utilizzato

Il Tribunale di Prato, con la decisione in esame, conferma l'opinione della giurisprudenza della Cassazione secondo la quale un proprietario deve contribuire alle spese di manutenzione di un cespite condominiale anche se decide di non utilizzarlo.

Ciò che conta, quindi, è il potenziale godimento del bene e non importa una scelta in senso contrario del singolo per sentirsi legittimamente esonerato dal pagamento degli oneri di riferimento.

In particolare, a questa conclusione si arriva leggendo quel passaggio in cui si afferma che «l'art. 1123, comma 2, c.c. nello stabilire, in deroga al primo comma, la ripartizione tra i condomini delle spese inerenti la conservazione del godimento della cosa comune non in base al valore della proprietà di ciascuno ma all'uso che ciascun condomino può fare della cosa stessa, riguarda il caso in cui la cosa comune sia oggettivamente destinata a permettere ai singoli condomini di goderne in misura diversa, inferiore o superiore al loro diritto di comproprietà sulle parti comuni, aggiungendo che nell'applicazione di detta norma debba aversi riguardo non al godimento effettivo bensì al godimento potenziale che il condomino può ricavare dalla cosa comune, atteso che quella del condomino è un'obbligazione propter rem che trova fondamento nel diritto di comproprietà sulla cosa comune, sicché il fatto che egli, potendo godere della cosa comune, di fatto non la utilizzi, non lo esonera dall'obbligo di pagamento delle spese suddette (Cass. n. 13160/1991)».

Anche con una limitazione dell'uso il condòmino deve partecipare alle spese

La sentenza in commento ci dice che il diritto di comproprietà sulla cosa comune e il godimento, anche solo potenziale, dei beni condominiali sono sufficienti a legittimare l'onere di partecipazione alle spese di manutenzione.

Non è nemmeno importante che vi sia stata una limitazione come quella emersa nel caso esaminato. Ricordiamo, infatti, che era stato inibito soltanto l'uso professionale dell'ingresso, della scala e dell'ascensore del fabbricato e che, pertanto, i pazienti dovevano accedere agli studi medici senza passare dal condominio «non è stato impedito alla società (...) l'uso in via assoluta di dette parti comuni cui si accede da (...), ma che è stato alla stessa impedito soltanto l'uso per fini professionali dell'ingresso, della scala o dell'ascensore condominiale di (...) per poter raggiungere i locali siti al primo piano del Condominio».

In tal caso, quindi, il vincolo in contestazione non ha escluso che il proprietario dell'immobile potesse utilizzare, come tutti gli altri, predetti beni comuni. Per questi motivi doveva essere chiamato a contribuire alle quote di manutenzione dei medesimi.

All'amministratore è vietato vietare l'uso dei beni comuni

Sentenza
Scarica Trib. Prato 11 febbraio 2021 n. 117
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