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La delibera condominiale è annullabile se modifica una tantum i criteri di riparto delle spese senza dichiarare l'intento di applicarli sempre

La modifica temporanea dei criteri di riparto delle spese condominiali può rendere la delibera annullabile, evidenziando l'importanza di una corretta impugnazione entro i termini previsti dalla legge.
Avv. Caterina Tosatti 
4 Apr, 2025

Sembra ormai essersi definito un acquisito (orientamento) assai compatto all'interno della Cassazione, dal quale discendono conseguenze in ordine all'impugnazione delle delibere di Assemblea condominiale che ripartiscono le spese tra i condòmini, conseguenze importanti perché attengono alla tempestività dell'impugnativa e, pertanto, alla possibilità di contestare o meno il riparto adottato dall'Assemblea.

Oggi esamineremo l'ultimo caso, recato dall'ordinanza n. 4334 del 19 febbraio 2025 della Corte di cassazione.

Impugnazione del riparto spese condominiali: il caso di Caio

Un Condominio ottiene un decreto ingiuntivo vero il condòmino Caio per il pagamento di circa 13.000,00 Euro dovuti alle quote insolute per i lavori di manutenzione straordinaria dello stabile, deliberati con riferimento al lastrico solare ed ai muri perimetrali dell'edificio composto dalle Scale G ed F.

Caio opponeva il Decreto, sostenendo che la delibera fosse nulla in quanto le spese concernevano lavori su parti comuni, ma erano state imputate solamente ai condòmini della Scala G.

Il Tribunale rigettava l'opposizione, ritenendo la delibera annullabile ed a fronte della mancata tempestiva impugnazione della stessa da parte di Caio nel termine di 30 giorni previsto dall'art. 1137 c.c.

Anche la Corte d'Appello, confermando l'esito del I°, dava torto a Caio.

Leggendo l'ordinanza resa dalla Cassazione, in seguito al ricorso di Caio, comprendiamo che in realtà la vicenda era un po' più complessa.

Infatti, Caio affida il suo ricorso per cassazione ad alcuni motivi, il primo dei quali è l'errore della Corte d'Appello che non ritenne la delibera nulla, ma annullabile, pur avendo Caio spiegato domanda di nullità basata sul fatto che le spese da cui discendeva il suo debito erano state approvate dalla sola Scala G, pur avendo riguardo a lavori straordinari alla facciata dell'intero edificio.

Il secondo motivo attiene in modo più specifico all'annosa questione relativa all'annullabilità della delibera che modifica il criterio legale / convenzionale di riparto delle spese, per cui Caio critica la sentenza impugnata per non aver dichiarato nulle le delibere che, modificando i criteri di ripartizione delle spese comuni, avevano attribuito i costi dei lavori straordinari della facciata esclusivamente ai condomini della scala G, escludendo gli altri.

Il terzo motivo concerneva la nullità delle delibere sotto il profilo dell'assenza di titoli abilitativi al momento di adozione delle stesse.

La Corte ritiene i primi due infondati, sorreggendo la propria tesi sulla ormai nota sentenza a SU n. 9839/2021 concernente l'impugnativa di delibere nulle e annullabili in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, di cui abbiamo trattato più volte, anche di recente e cui rinviamo.

Il terzo motivo va spiegato brevemente al lettore, onde non suscitare perplessità.

Caio lamentava che le delibere fossero nulle perchè «le opere edilizie approvate dall'assemblea necessitavano di titoli abilitativi, carenti al momento delle decisioni». La Corte sottolinea unicamente che un conto è decidere di eseguire determinate opere, un conto è eseguirle.

È evidente che la delibera sarebbe stata nulla se il Condominio avesse deciso di realizzare opere o interventi che si presentavano ictu oculi e da prima della loro esecuzione abusivi; mentre le opere deliberate non avevano dette caratteristiche, pur necessitando di acquisire le necessarie autorizzazioni una volta deliberate. Ciò che conta è che i titoli abilitativi siano acquisti, anche se in data successiva alla delibera che decide l'esecuzione dei lavori.

Avv. giuseppe zangari Modifica dei criteri di ripartizione delle spese di riscaldamento: con quale maggioranza?

Riflessioni sulle delibere condominiali e criteri di riparto delle spese

Ebbene, rispetto al primo motivo, la Corte non sembra prendere posizione su di esso, andando direttamente a confutare sia questo che il secondo con la tesi delle delibere con modifica una tantum del criterio legale o convenzionale di riparto delle spese.

Proprio da questa situazione, tuttavia ed a sommesso avviso di chi scrive, si mostra l'aporia del sistema che si va costruendo con il montante giurisprudenziale in commento: vediamo come.

La Corte, sorvolando sul fatto che la delibera oggetto di contestazione fosse stata adottata da una parte soltanto della compagine e non da tutto il Condominio, passa direttamente ad esaminare la questione dell'errato riparto (anch'esso, coerentemente, a carico di una sola parte - la Scala G - e non di tutto il Condominio) ritenendo che esso non infici la delibera di nullità, perché, citando le parole della Corte, «le delibere condominiali di ripartizione delle spese di gestione, emanate in violazione dei criteri normativi (legali o negoziali), sono nulle solo se l'assemblea (a maggioranza) abbia manifestato l'intendimento di modificarli programmaticamente per il futuro.

In altre parole, l'assemblea che deliberi a maggioranza di modificare i criteri di ripartizione previsti dalla legge o dall'accordo unanime dei condomini opera in difetto assoluto di attribuzioni, mentre non esorbita dalle proprie attribuzioni l'assemblea che (come nel caso di specie) si limiti a ripartire le spese condominiali per il caso oggetto della delibera, anche se la ripartizione venga effettuata in violazione dei criteri legali o negoziali.

Una delibera di quest'ultimo tipo non ha carattere normativo (cioè, non incide su tali criteri generali, valevoli per il futuro), né è contraria a norme imperative.

Tale delibera, quindi, è meramente annullabile e deve essere impugnata, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137, co. 2, c.c., nel presente caso rimasto inosservato (come accertato dalla Corte di appello nel confermare la sentenza di primo grado)».

Da quanto ci è dato di capire dalla narrativa dell'ordinanza e con tutti i caveat del caso in ordine ai fatti per come si sono svolti, che noi ignoriamo, non avendo altre fonti al riguardo se non la pronuncia da cui traiamo le seguenti considerazioni, a valle del ragionamento di cui sopra ci troveremo con un Condominio dove, essendo necessario eseguire lavori straordinari alla facciata, bene comune a tutte le scale dell'edificio, parrebbe che una sola scala sia stata chiamata a deliberare in merito (nulla sappiamo della convocazione dell'assemblea da cui scaturì la delibera impugnata) ed altrettanto conseguentemente abbia deliberato, accollandosi le spese per detti lavori.

È difficile, per l'interprete, far collimare quanto sinora è stato insegnato ed applicato in materia condominiale ed esiti di questo tipo, dove parrebbe che una sparuta minoranza possa decidere le sorti di un Condominio intero.

Anche perché il ragionamento relativo alla violazione una tantum dei criteri non convince.

Leggiamo che ciò che conta, per evitare la nullità, è che l'Assemblea voti un certo piano di riparto avendo cura di non affermare che quel medesimo piano verrà sempre rispettato per le spese future aventi ad oggetto la medesima situazione (ad esempio, come nel caso di specie, lavori alle parti comuni), cioè avendo cura di non dichiarare palesemente ed espressamente l'intento di adottare 'per sempre' un criterio di riparto diverso da quello stabilito dalla legge o dal Regolamento.

Tuttavia, da questo discende che, potenzialmente, le Assemblee condominiali italiane, a fronte di questa giurisprudenza, potrebbero iniziare ad adottare criteri di riparto totalmente erratici e distanti da quelli legali e convenzionali, perché basterebbe porre attenzione e specificare che il criterio verrà applicato solamente quella volta: quindi, per un esercizio l'acqua verrà ripartita per teste, quello successivo per millesimi, quello dopo ancora con altro criterio …

Inoltre, dopo 5 esercizi (5 anni) di delibere redatte in siffatto modo, non avremmo forse realizzato una violazione consistente e su base permanente (o comunque di lungo periodo) del criterio legale/convenzionale che il Legislatore ha posto? Cioè, che differenza c'è tra violare una tantum e farlo per 5 anni consecutivi? E, soprattutto, alla seconda delibera che adotta un criterio differente, il condòmino, già scottato per l'esito soccombente della prima impugnativa per nullità della stessa, andata male sulla scorta di questo orientamento, dovrà impugnare anche la seconda delibera e così la terza e la quarta? Forse, risponderebbe la Corte, certamente è così, ma dovrebbe impugnarle nei 30 giorni di cui all'art. 1137 c.c., ma allora ciò significa far rientrare dalla porta ciò che abbiamo sospinto a forza fuori dalla finestra.

Auspichiamo, sul punto, un ulteriore ragionamento delle Sezioni Unite, che tenga conto delle ricadute di ordine pratico di ciò che verrà affermato con principio di diritto.

Sentenza
Scarica Cass. 19 febbraio 2025 n. 4334
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