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Principi e criteri contabili condominiali, parola al Tribunale di Roma

La contabilità condominiale alla luce di una sentenza del Tribunale di Roma. Spunti critici di riflessione.
Dott. Marco Venier 
26 Giu, 2020

I giudici del Tribunale di Roma, con la sentenza del 21 aprile 2020 n. 6353, sono tornati ad esprimersi sui principi e sui criteri contabili di un rendiconto condominiale ribadendo in parte concetti ormai noti da tempo e sotto certi aspetti non condivisibili, come vedremo nel proseguo del presente articolo.

Principi contabili fondamentali per il rendiconto condominiale

Andiamo con ordine partendo dai principi contabili. Questi possiamo definirli come concetti fondamentali che sono alla base di un ragionamento, di una elaborazione, posti dal legislatore o che si desumono da norme, anche per analogia.

I principi contabili nell'ambito della sezione sul c.c. dedicata al Condominio

L'unico principio contabile menzionato in ambito di normativa condominiale è la verificabilità che, in base all'art. 1130 bis. c.c. deve potersi eseguire immediatamente.

Tale norma è stata introdotta con la legge 220/2012, nota come la Riforma del Condominio e quindi in vigore solo dal 18 giugno 2013.

Prima di allora la giurisprudenza si era adoperata nel colmare le lacune legislative in materia, con delle sentenze che hanno rappresentato e rappresentano tuttora degli importanti punti di riferimento per gli addetti ai lavori.

I principi contabili per la giurisprudenza su controversie condominiali

In particolare la Suprema Corte (Cass., 28 aprile 2005, n. 8877, Cass, 11 gennaio 2017, n. 454)ha evidenziato che seppur nella tenuta della contabilità e nella redazione del bilancio, l'amministratore non fosse obbligato al rispetto rigoroso delle regole formali vigenti per le imprese, egli dovesse comunque necessariamente attenersi a princìpi di ordine e di correttezza e che, nel redigere il bilancio dovesse approntare un documento chiaro e intelligibile, con corretta apposizione delle voci dell'attivo e del passivo, che fossero corrispondenti e congrue rispetto alla documentazione relativa alle entrate e alle uscite.

Si tratta di principi tratti dal mondo societario le cui definizioni si possono rinvenire, tra le altre cose, negli elaborati OIC 11. Per inciso, l'OIC è acronimo di Organismo Italiano di Contabilità, fondazione alla quale la Legge 11 agosto 2014, n. 116riconosce ufficialmente ruolo e funzioni che comprendono anche l'emanazione dei principi contabili nazionali.

Il numero 11 è, invece, il codice attribuito all'elaborato che nello specifico è intitolato ai postulati contabili.

Siamo chiaramente nell'ambito dell'universo societario, ma la giurisprudenza da sempre ammette l'applicazione di alcuni aspetti, per analogia, anche in ambito condominiale.

I principi contabili non osservati, secondo il Trib.Roma, 21 aprile 2020 n. 6353

A questa prassi non ha fatto eccezione il Tribunale di Roma nella recente sentenza in esame, a conclusione di un procedimento avviato da una condòmina che aveva impugnato una delibera di approvazione di un rendiconto.

I giudici capitolini hanno da un lato ribadito che il bilancio condominiale anche se non debba essere redatto con forme rigorose, debba comunque essere chiaro, veritiero, corretto ed intellegibile.

Dall'altro hanno ritenuto irregolare e dunque viziato, il rendiconto ritenendo che nello specifico non tenesse conto dei principi di verificabilità e di intellegibilità (ossia la comprensione del fascicolo che deve essere resa possibile anche a coloro che non sono dotati di particolari competenze contabili); puntualizzando altresì che quest'ultima non può essere conseguita con interpretazioni e spiegazioni postume, come quelle fornite dal Condominio nella controversia giudicata.

Il lavoro del consulente tecnico d'ufficio

Vediamo, ora, cosa ha portato i giudici a decidere nel senso di ritenere il rendiconto carente sotto questi profili.

Il consulente tecnico di ufficio, chiamato dal giudice per valutare il bilancio, ha, in particolare, confermato quanto affermato dalla condòmina che ha avviato la causa: la non coincidenza del saldo finale del bilancio approvato per l'esercizio 2012 con il saldo iniziale di quello del 2013.

Questa incongruenza, stante a quanto riportato dal consulente, era stata generata da un errore commesso in sede di redazione di bilancio dall'amministratore e rettificato d'ufficio successivamente alla sua approvazione.

I condòmini, però, non erano stati informati della modifica del disavanzo rispetto a quello originario che avevano approvato col bilancio 2012, trovandone con sorpresa uno differente nel 2013 e dunque, per i giudici, si configurava un vizio di bilancio sotto i profili della chiarezza, veridicità, correttezza ed intellegibilità.

Nelle motivazioni della sentenza si leggono anche quelle che avrebbero potute essere due soluzioni alternative fra loro.

La prima è che "sarebbe stato sufficiente evidenziare la situazione creatasi nei documenti di accompagnamento al bilancio in modo da informare compiutamente l'assemblea dell'errore occorso".

In alternativa si sarebbe potuto "più correttamente, approvare nuovamente il bilancio rettificando il credito ed il disavanzo, consentendo così nel bilancio 2013 di accogliere i valori modificati nel rispetto delle indicazioni normative."

Invece i giudici osservavano che "nessuna delle due soluzioni percorribili era stata intrapresa" configurando le irregolarità già accennate.

In effetti, a parere di chi scrive, una rettifica come quella suesposta operata d'ufficio dall'amministratore non ha alcun valore ufficiale se non viene approvata dall'assemblea con la conseguenza, tra le altre cose, di non poter neanche procedere con l'avvio di azioni di recupero credito come il Decreto ingiuntivo, poiché in tale eventualità il giudice adito avrebbe certamente verificato la discordanza tra il bilancio consuntivo approvato dall'assemblea e quello modificato in seguito.

Criterio di cassa: la corretta gestione del rendiconto condominiale

Le motivazioni addotte nella sentenza che hanno portato all'invalidazione dei rendiconti, coinvolgono anche i criteri contabili, ossia quelle regole adottate ai fini della rappresentazione delle voci di bilancio.

Tali ragionamenti non appaiono, a parere dello scrivente, assolutamente condivisibili ed ora vediamo perché.

Nel testo della sentenza si legge, in particolare che il c.t.u. rilevava delle difformità fra le entrate dichiarate in bilancio (nello specifico euro 20.656,95) e quelle effettive (euro 25.511,30) osservando che "nel bilancio 2013, era stato applicato il criterio di competenza.

Quest'ultimo come noto consiste nell'imputare la spesa all'esercizio contabile nel quale il servizio da cui è scaturito la spesa, è stato svolto.

Il criterio di cassa, al contrario, consiste nel contabilizzare un fatto di gestione (entrata o uscita che sia) nell'esercizio nel quale si è manifestato concretamente e nel quale ha comportato una movimentazione sul conto condominiale.

Il c.t.u. non si è limitato, tuttavia, ad "osservare", ma si è espresso uniformandosi ad un orientamento giurisprudenziale (Trib Milano, 20 giugno 1991, n.5036; Cass. 09 maggio 2011, n. 10153; Trib. Torino, 22 marzo 2017, n. 1533; Trib. Roma, 02 ottobre 2017; Trib. Roma 07 gennaio 2019 n. 246; Trib. Roma 25 gennaio 2019, n. 1918; Trib. Roma 09 aprile 2020, n.5969) nel senso della preferenza del criterio di cassa rispetto a quello della competenza e andando a dichiarare in maniera lapidaria che l'applicazione della competenza in sede di bilancio, avesse derogato alle disposizioni di legge.

Il ragionamento alla base di tale indirizzo giurisprudenziale si fonda essenzialmente sulle seguenti considerazioni:

Il criterio di cassa, in base al quale vengono indicate le spese e le entrate effettivamente avvenute, è l'unico che consenta di conoscere esattamente la reale consistenza del fondo comune.

  1. Il criterio di cassa è l'unico che permetta di fare un raffronto tra le spese sostenute ed i movimenti del conto corrente bancario intestato al Condominio;
  2. Laddove il rendiconto fosse redatto, invece, tenendo conto del criterio di competenza i condomini potrebbero facilmente essere tratti in inganno;

3S. e non si riportasse, neanche nella situazione patrimoniale, il saldo ed i movimenti del conto corrente, (dati essenziali per posto che l'esame della movimentazione del conto - che proviene da un terzo, la banca - rappresenta il riscontro di tutte le entrate e le spese in danaro che l'amministratore ha l'obbligo di rendere tracciabili), la verifica della corretta ricostruzione contabile non potrebbe avvenire in altro modo che con il criterio di cassa.

Registro di contabilità condominiale elettronico

Tutte le suddette valutazioni, tuttavia, sembrano non prendere in considerazione il fatto che il rendiconto condominiale non è solamente costituito dal prospetto uscite-entrate (il bilancio con il Quadro dei conti e la tabella di ripartizione spese), bensì anche da altri documenti e prospetti che non possono essere scissi l'uno dall'altro e ben assolvono nel loro insieme alla funzione di evidenziare ai condòmini quali delle voci poste a bilancio si siano effettivamente verificate.

Abbiamo, ad esempio, il registro di contabilità in cui è annotata la singola operazione avvenuta in entrata o in uscita, o anche la situazione patrimoniale in cui sono evidenziati debiti e crediti, nonché la nota esplicativa che ben potrebbe contenere un'illustrazione di spese sostenute ed altre da sostenere in base ad impegni presi.

Sicché se anche le uscite venissero contabilizzate per competenza, avremmo comunque gli altri documenti a completare l'informazione sullo stato di quella spesa alla chiusura dell'esercizio, perché una spesa non pagata rappresenterebbe un debito annotabile tra le passività di uno stato patrimoniale.

A parere dello scrivente, invece, il criterio per competenza (almeno per le uscite) sembra meglio rispondere alle esigenze di quella tipologia di condòmini (ad esempio le società) che hanno tutto l'interesse a vedersi addebitate le spese maturate in un dato periodo perché possono beneficiare delle previste agevolazioni fiscali (costi detraibili e/o costi deducibili).

Anche chi vende e chi affitta l'immobile in Condominio, ha maggior interesse ad avere contezza delle spese di competenza di un dato periodo e non solo dei costi effettivamente corrisposti.

Ancora, il solo criterio di competenza permette di far conoscere ai condòmini se la loro contribuzione ordinaria sia congrua, ossia capace o meno di coprire i servizi forniti dal Condominio.

Il c.t.u., poi, fa riferimento al fatto che l'amministratore, nell'adottare il criterio di competenza abbia derogato (ossia contravvenuto) alle disposizioni di legge.

In realtà, leggendo attentamente la più importante norma in tema di rendiconto condominiale sul codice civile, ossia l'art. 1130 bis c.c., non emerge in alcun modo, a parere dello scrivente, che si debba adottare un criterio anziché un altro; anzi, al contrario, il testo riportato nella versione dei lavori preparatori della Riforma condominiale, l'art.1130-bis recitava che "Il rendiconto condominiale è redatto con criteri di competenza".

Certamente, si dirà, il testo approvato definitivamente non riporta tale ultimo passo, ma altresì non appare alcun esplicito riferimento al criterio di cassa per il rendiconto.

Consultazione del registro di contabilità

Non menzionando alcun criterio, sembra dunque preferibile, sempre a parere di chi scrive, aderire alla posizione giurisprudenziale, in cui si affermava che "la Suprema Corte non deve risolvere la questione di diritto se l'amministratore debba rispondere della gestione sulla base del criterio di competenza o di cassa […]" (Cass., 16 agosto 2000, n.10815 con giudice estensore Corona), rimettendo, dunque, la relativa scelta, alla discrezionalità dell'amministratore di turno.

Tale opinione è stata anche ripresa in una recente sentenza di merito: il Tribunale di Massa, 09 marzo 2017.

Il criterio di cassa per il registro di contabilità

Il c.t.u. scelto dal giudice, rilevava altresì che anche il registro di contabilità non era stato tenuto con il criterio di cassa e questo, si legge nel testo della sentenza, configurava una ulteriore irregolarità dato che il menzionato documento deve trovare un preciso riscontro (tra gli altri) nel conto corrente condominiale sul quale l'amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute o erogate.

Dunque, sempre secondo il c.t.u., l'adozione di un criterio diverso dalla "cassa" per la redazione del registro di contabilità, impedirebbe il controllo "incrociato" con il conto corrente e l'immediata verifica prevista dal legislatore, ostacolando la ricostruzione contabile della gestione del Condominio e fornendo un risultato di gestione "drogato" dall'applicazione della competenza per le operazioni effettuate nell'esercizio oggetto di valutazione.

Su questo punto in effetti si osserva che il tenore letterale dell'art. 1130 punto 7, c.c. laddove stabilisce che "nel registro di contabilità sono annotati in ordine cronologico, entro trenta giorni da quello dell'effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita", fa soggiacere con tutta evidenza la tenuta e l'aggiornamento di tale documento al criterio di cassa.

Il criterio di cassa per il rimborso assicurativo

Tra le entrate veniva anche rilevata l'erronea contabilizzazione, a parere del c.t.u., del rimborso assicurativo avvenuto concretamente nel 2013, ma attratto anch'esso per competenza nel 2012.

La relativa entrata, invece, spiegava il consulente del Tribunale, si sarebbe dovuta contabilizzare nel rendiconto 2012 non tra le entrate ma tra i crediti verso terzi e nel 2013, una volta ricevuto l'incasso, si sarebbe dovuta registrare tra le entrate 2013 (riferite a gestioni pregresse) eliminando, così, il credito verso terzi in quanto soddisfatto.

Registrare nel libro cassa 2013una spesa o una entrata e trovarla poi per competenza nel bilancio avrebbe l'effetto di determinare, stante al parere espresso dal c.t.u.,"la non corretta formalizzazione dei dati in bilancio, e la difficile ricostruzione contabile.".

Ulteriori osservazioni del c.t.u. e decisione finale del Tribunale di Roma

Il consulente è anche entrato nel merito di un'ulteriore lamentela di parte attrice: la mancata indicazione, nel bilancio, del saldo iniziale e finale del conto corrente, confermando la necessità di tali dati, nel bilancio, così come, secondo lui, previsto dalla legge.

Infine, veniva osservata la mancata fissazione dei termini temporali della rendicontazione che ormai, sempre a parere del c.t.u. per legge e per costante interpretazione, deve aprirsi il primo di gennaio e chiudersi il 31 di dicembre.

In realtà l'art. 1130, punto 10, c.c. recita che l'amministratore deve "redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l'assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni".

Tale passo della norma, introdotto dalla legge 220/2012, non sembra aver cambiato nella sostanza quanto già previsto nella normativa previgente in tema di periodo dell'esercizio oggetto di rendicontazione, che disponeva, che l'amministratore "[…] alla fine di ciascun anno, deve rendere il conto della sua gestione".

Su quest'ultima riflessione del c.t.u., dunque si osserva che dal tenore letterale della norma non emerge da alcuna parte che l'esercizio condominiale debba iniziare il primo gennaio e terminare il trentun dicembre e che, quindi, l'esercizio debba coincidere necessariamente con l'anno solare.

Sulla "costante interpretazione" sottolineata dal c.t.u., tra l'altro, si osserva indirizzo giurisprudenziale esattamente contrario: Cassazione, 22 marzo 2017, n. 7395; Tribunale Cosenza, 03 settembre 2019, n.1744.

Ad ogni modo, i giudici hanno concluso il procedimento decidendo che per tutto quanto rilevato ed osservato dal c.t.u., alla luce dei vizi rilevati nella redazione dei bilanci, si dispone l'annullamento anche delle delibere che li hanno approvati.

Sentenza
Scarica Trib. Roma 21 aprile 2020 n. 6353
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