Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
L'accordo in questione, per essere valido, deve essere considerato un'apposita pattuizione tra i condomini interessati alla specifica correzione dei criteri in modo diverso rispetto a quanto stabilito dalle norme. Per chiarire il concetto di "diversa convenzione" merita di essere segnalata una vicenda recentemente esaminata dalla Corte di Appello di Roma (sentenza n. 7701 del 29 novembre 2023).
Nuovi criteri di ripartizione spese e mancanza di una delibera totalitaria. Fatto e decisione
Al momento dello scioglimento di un Supercondominio in quattro autonomi caseggiati, l'assemblea a maggioranza stabiliva che rimanessero di proprietà comune il cortile e l'androne e che le spese di dette aree fossero per il 60% a carico dei proprietari dei garage e del 40% a carico dei quattro palazzi (10% ciascuno); in tal modo veniva modificato a maggioranza e non all'unanimità l'art. 51 del regolamento condominiale (che ripartiva le spese in proporzione al valore della proprietà facendo applicazione delle relative tabelle millesimali).
Due proprietari di box ritenevano la delibera lesiva dei loro diritti, nonché nulla perché variava i criteri di riparto delle spese sui beni comuni senza essere sorretta dall'unanimità dei consensi espressamente richiesta dall'articolo 1123 c.c.
Il Tribunale accoglieva l'impugnazione e dichiarava nulla la delibera adottata nel 1973 quanto alla ripartizione delle spese dei beni rimasti comuni dopo lo scioglimento del supercondominio. L'amministratore delle residue parti rimaste in comune ricorreva alla Corte di Appello che accoglieva il gravame e, in riforma della sentenza impugnata, riteneva legittima la delibera del 1973.
I giudici di secondo grado notavano che nel regolamento condominiale, avente natura contrattuale, vi era una clausola che ne consentiva la modifica a maggioranza assoluta. Per rivedere quei parametri, quindi, non era indispensabile il voto favorevole di tutti i condomini.
Successivamente, con separata causa, altri condomini impugnavano davanti al Tribunale altra delibera adottata dall'assemblea il 26.6.2006 per la parte relativa all'approvazione di compensi professionali, poiché erano stati applicati i criteri di riparto delle spese secondo l'originario regolamento condominiale e, non già, in forza dei nuovi criteri approvati con la detta delibera del 1973 di scioglimento del supercondominio originario.
Il Tribunale di Roma annullava la delibera impugnata e la Corte d'Appello confermava la decisione: in altre parole secondo gli stessi giudici era giusto applicare i nuovi criteri di ripartizione delle spese decisi nel 1973.
La questione veniva sottoposta alla Cassazione. I giudici supremi hanno dato ragione ai proprietari dei box. È stata considerata nulla la delibera assembleare del 1973 con cui all'atto dello scioglimento del supercondominio era stato approvato, a maggioranza, il criterio generale di riparto per le spese relative a taluni beni rimasti in comune (cortile e androne) ponendole per il 60% a carico dei garages e del 10% a carico di ciascuno dei quattro condomini.
In detto modo infatti, in assenza di apposita convenzione ex art. 1123 c.c., come ha osservato la Corte di Cassazione, si è illegittimamente derogato al regolamento disciplinante il supercondominio originario che prevedeva come il riparto delle spese dovesse avvenire in proporzione del valore di assegnazione degli appartamenti e delle botteghe come da allegate tabelle millesimali.
È stata considerata nulla per le stesse ragioni la delibera del 2006 che ha modificato illecitamente i criterio di ripartizione delle spese del regolamento.
Inevitabilmente le due sentenze impugnate sono state cassate e rinviate alla Corte d'Appello di Roma. Quest'ultima ha recentemente confermato il ragionamento della Cassazione, precisando che, in mancanza di diversa convenzione adottata all'unanimità, quale espressione dell'autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese condominiali, cui è tenuto a far fronte il condomino, deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati dall'art. 1123 c.c.
Deroghe ai criteri di ripartizione delle spese condominiali
I criteri di ripartizione delle spese condominiali, stabiliti dall'art. 1123 c.c., possono essere derogati.
La Cassazione ha già affermato infatti che la natura delle disposizioni contenute nell'art. 1118, comma 1, e art. 1123 c.c., non preclude l'adozione di discipline convenzionali che differenzino tra loro gli obblighi dei partecipanti di concorrere agli oneri di gestione del condominio, attribuendo gli stessi in proporzione maggiore o minore rispetto a quella scaturente dalla rispettiva quota individuale di proprietà (Cass. civ., sez. II, 04/07/2022, n. 21086).
In particolare la convenzione volta a modificare la disciplina legale di ripartizione può essere contenuta sia nel regolamento condominiale (cioè in una clausola di natura contrattuale) sia in una deliberazione della assemblea che venga approvata all'unanimità, o con il consenso di tutti i condomini.
Alla luce di quanto sopra è stato affermato che, ove manchi una diversa convenzione adottata all'unanimità, che sia espressione dell'autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese generali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell'art. 1123 c.c., primo comma, non essendo, consentito all'assemblea, mediante deliberazione a maggioranza, di suddividere in parti uguali gli oneri necessari per la prestazione di servizi nell'interesse comune (Cass. civ., sez. II, 04/12/2013, n. 27233).
In ogni caso si ricorda che sono nulle le delibere con le quali a maggioranza siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalle convenzioni da far valer per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell'assemblea previste dall'art. 1135 nn. 2 e 3, c.c. e che è sottratta al criterio maggioritario.
Sono annullabili le delibere che ripartiscono le spese condominiali senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione condominiale, ma approvate in violazione degli stessi criteri (Cass. civ., Sez. Un., 14/04/2021, n. 9839).