La vicenda. La Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, ha confermato la sentenza della Corte d'Appello di Milano che, a sua volta, aveva riformato la decisione del Tribunale, giunta all'esito del giudizio di primo grado, di rigettare la domanda proposta dal condominio, perla rimozione di alcune opere collocate, sulla facciata comune, dai proprietari di uno degli appartamenti.
La Corte d'Appello aveva accolto la domanda dell'ente appellante, ritenendo che i condomini avessero effettivamente violato il disposto dell'art. 1102 c.c., nel momento in cui avevano collocato, sulla facciata interna dell'edificio, delle vistose tubazioni per l'acqua potabile, che, oltre a risultare lesive del decoro architettonico, costituivano anche una vera e propria modificazione della cosa comune, che ne impediva agli altri l'uso paritetico.
A questo punto, i condomini soccombenti in appello proponevano ricorso in Cassazione, per ottenere la completa riforma della sentenza di secondo grado ed il definitivo rigetto della domanda del condominio.
Le modificazioni della cosa comune. L'art. 1102 c.c. disciplina la possibilità, per il singolo condomino, di apportare, a proprie spese, delle modifiche alla cosa comune, purché queste non ne vadano ad alterare la destinazione e non ne impediscano l'uso paritetico, da parte degli altri.
La norma, pertanto, introduce due limiti sostanzialmente invalicabili, che possono essere derogati solo ove il singolo comproprietario abbia in qualche modo mutato il titolo del proprio possesso sulla cosa comune, come, ad esempio, nel caso in cui abbia esteso per usucapione il proprio diritto sull'intera cosa comune o su parti di essa, acquisendone una quota maggiore di quella originaria.
Con riferimento al concetto di uso paritetico, inoltre, la Suprema Corte ha più volte avuto modo di precisare che questo non sia da intendere come uso identico e contemporaneo, dovendosi ritenere astrattamente ammissibile che un singolo condomino utilizzi la cosa comune in modo più intenso, rispetto agli altri, purché ciò non vada a ledere il potenziale diritto all'utilizzo di tutti i comproprietari.
Il ragionamento della Cassazione. Per i giudici della Corte di Cassazione (sez. II, 29 gennaio 2020, n. 2002), la conferma della pronuncia di secondo grado trova fondamento nella considerazione del fatto che, trattandosi della facciata condominiale, che è anche una struttura idonea al collocamento di condutture di vario genere, l'osservanza della norma codicistca impone che sia garantito a tutti i comproprietari il diritto all'uso potenziale, ovvero l'ipotetica possibilità di collocarvi quegli impianti che risultino indispensabili a garantire l'abitabilità dei rispettivi appartamenti (Cass. Civ., sentenze nn. 9278 del 2018 e 14245 del 2014).
Nel caso di specie, la superficie limitata della detta facciata non avrebbe mai potuto consentire a tutti i condomini, nemmeno in via potenziale, di apporvi delle tubature di rilevanti dimensioni, pertanto, il fatto che solo alcuni di essi le avessero collocate, costituiva una violazione di uno dei due limiti imposti dall'art. 1102 c.c., tanto più che non era mai stato provato un malfunzionamento delle condutture condominiali, per cui non c'era nemmeno motivo di ritenere che tale installazione fosse indispensabile a garantire l'abitabilità dell'immobile di proprietà degli appellati.
I giudici della Suprema Corte, inoltre, hanno opportunamente chiarito che, nemmeno l'eventuale carattere di temporaneità dell'intervento realizzato costituiva un giusto motivo per derogare alle limitazioni dell'art. 1102 c.c, dato che quest'ultimo non prevede alcun margine temporale minimo, al di sotto del quale siano ammesse deroghe.
L'ultima precisazione, infine, riguardala differenza fra l'art. 1102 c.c., che disciplina l'uso e le modifiche alla cosa comune ed il 1120 c.c., che invece ne disciplina le innovazioni.
A tal proposito, la Suprema Corte chiarisce che, mentre le modificazioni sono opere di trasformazione che incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone la funzione e la destinazione originaria e perseguono solo l'interesse del singolo comproprietario, le innovazioni sono delle migliorie che, oltre a rispecchiare l'interesse della maggioranza assembleare, hanno come finalità quella di consentire un utilizzo della cosa comune più comodo e razionale, facoltà, quest'ultima, che deve comunque sottostare alle limitazioni di cui all'art. 1102 c.c. (Cass. Civ., sentenze nn. 20712 del 2017 e 18052 del 2012).
Entrambe, in ogni caso, sono assoggettate al divieto di alterazione del decoro architettonico del fabbricato.
In conclusione, alla luce delle considerazioni esposte, la Corte di Cassazione ha scelto di confermare la sentenza di secondo grado, condannando i condomini alla rimozione delle opere illegittimamente apposte sulla facciata condominiale, ritenendole lesive del decoro architettonico dell'immobile e del diritto di tutti i proprietari all'utilizzo paritetico della cosa comune.
TABELLA RIEPILOGATIVA | |
OGGETTO DELLA PRONUNCIA | USO DELLA COSA COMUNE - LIMITAZIONI |
RIFERIMENTI NORMATIVI | Art. 1102 c.c. |
PROBLEMA | Nel caso di specie, alcuni condomini avevano realizzato delle modificazioni della cosa comune che, oltre a non essere indispensabili a garantire l'abitabilità del loro appartamento, alteravano il decoro architettonico dell'edificio condominiale e ledevano il diritto degli altri, all'utilizzo paritetico della cosa comune. |
RICHIAMI/PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI | Cass. Civ., sent. n. 9278 del 2018; Cass. Civ., sent. n. 14245 del 2014; Cass. Civ., sent. n. 20712 del 2017; Cass. Civ., sent. n.18052 del 2012 |
LA MASSIMA | Ogni condomino può apportare, a proprie spese, modifiche alla cosa comune, purché queste non ne vadano ad alterare la destinazione e non ne impediscano l'uso paritetico, da parte degli altri. Il concetto di uso paritetico della cosa comune, d'altronde, non significa necessariamente uso identico e contemporaneo, essendo comunque ammissibile che il singolo condomino possa utilizzarla in modo più intenso, rispetto agli altri, purché sia rispettato il potenziale diritto all'utilizzo, di tutti i comproprietari. Corte di Cassazione, sez. II, 29 gennaio 2020, n. 2002 |