Le liti condominiali, come ormai ben noto, sovente interessano contestazioni afferenti all'uso di parti comuni dell'edificio per utilità delle singole unità private ivi ubicate.
Sul tema, non possiamo certamente ignorare le controversie che originano dall'apposizione sulla facciata di tubazioni e/o impianti e/o strutture a servizio esclusivo degli immobili, nelle quali sorgono questioni relative al rispetto delle distanze, al diritto del pari utilizzo della cosa comune ed al decoro dell'edificio.
La pronuncia in commento, emessa dalla Corte d'Appello di Venezia (sentenza n.64 del 13 gennaio 2025), ha ad oggetto l'impugnazione avverso l'ordinanza resa dal Tribunale con la quale è stato autorizzato l'accesso dalla proprietà esclusiva posta al piano terra per poter collocare il motore di un climatizzatore sulla facciata laterale dell'edificio, ad uso dell'immobile al primo piano di altra condomina.
Per una compiuta disamina della fattispecie occorre prendere contezza e valutare lo stato dei luoghi, contemperare le reciproche esigenze che emergono, previa lettura dell'art. 1102 c.c. in rispondenza al principio solidaristico che impone una applicazione quanto più favorevole allo sviluppo delle esigenze abitative, nonché determinare l'eventuale incidenza pregiudizievole sul decoro architettonico del palazzo.
Controversia sull’installazione di climatizzatori in condominio
I condomini comproprietari dell'appartamento al piano terra ha proposto impugnazione avverso la ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. per i seguenti motivi: (i) erronea applicazione dell'art.843 c.c. ed assenza di prova dei suoi presupposti, (ii) errata motivazione sulle distanze minime legali, non essendo stato costituito un condominio, (iii) erronea interpretazione del regolamento edilizio, (iv) omessa pronuncia sulla obiezione relativa al pregiudizio del decoro architettonico ed (v) illegittima condanna alle spese di lite.
La condomina dell'immobile posto al primo piano si è costituita in giudizio chiedendo di respingere l'appello.
La Corte d'Appello ha rigettato il gravame avanzato per i motivi in appresso esposti ed argomentati.
Accesso ai fondi privati per installazioni condominiali
In via preliminare, preme rammentare che, contrariamente all'assunto dell'appellante, il condominio si costituisce ex se ed ope legis, non occorrendo, a tal fine, l'adozione di una formale delibera, essendo sufficiente il ricorrere di una situazione di fatto, ovvero di un edificio frazionato in più unità in proprietà esclusiva.
Posto ciò, in tema di accesso al fondo altrui, il disposto della norma di cui all'art. 843 c.c. prevede che "Il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune".
A tal riguardo, è di tutta evidenza che, qualora sia formulata una richiesta di accesso, dovrà essere apprezzato lo stato dei luoghi per verificare se sussistano altre soluzioni alternative, sia dalla proprietà di chi lo richiede che da quella di un terzo, nonché dovranno essere ponderati comparativamente gli interessi contrapposti delle parti, all'uopo rilevando che l'indagine attiene al mero ingresso ed al transito e non alla costruzione o intervento che si intende eseguire.
Sul punto, è confacente, precisare che il diritto di accesso e di passaggio non costituisce una servitù ma, diversamente, realizza una utilità temporanea ed occasionale dettata da un'esigenza specifica.
Tanto premesso, nel caso in esame, l'unico accesso possibile per poter eseguire l'intervento richiesto dalla condomina del primo piano è quello esistente nell'immobile ubicato al piano terra, non risultando possibili altri e diversi ingressi alternativi per cui, giustamente, il Tribunale, come confermato dai Giudici di seconde cure, ha ritenuto legittima e fondata la domanda svolta.
Distanze e dritto al pari uso della cosa comune
Venendo al diritto al pari utilizzo della cosa comune è appropriato rammentare che, l'art. 1102 c.c. dispone, espressamente, che "Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa".
È palese, dunque, che la richiamata disposizione impone due limiti fondamentali all'uso della cosa comune che consistono nel divieto di alterare la destinazione della cosa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti d'uso.
Al contempo, in aderenza all'orientamento costante e consolidato della giurisprudenza, è primario e determinante sottolineare che la nozione di pari utilizzo non deve essere interpretata quale uso identico e contemporaneo.
A conforto, la Corte di Cassazione, con sentenza del 31 maggio 2017, ha riconosciuto che "l'uso paritetico" non può essere tradotto "in termini di assoluta identità di utilizzazione della res, poiché una lettura in tal senso della norma de qua, in una dimensione spaziale o temporale, comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare, della cosa comune, qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio".
Fermo quanto sopra, appare doveroso rilevare che, nell'applicazione di tale norma in rispondenza al principio solidaristico, quale parametro e corollario indefettibile, debbano essere mitigate le esigenze ed interessi dei partecipanti al condominio.
Parimenti, in ordine al rispetto delle distanze, la Giurisprudenza ha affermato che "In tema di condominio, qualora il giudice verifichi che l'uso della cosa comune sia avvenuto nell'esercizio dei poteri e nel rispetto dei limiti stabiliti dall'art. 1102 c.c. a tutela degli altri comproprietari, deve ritenersi legittima l'opera realizzata senza il rispetto delle norme sulle distanze tra proprietà contigue, applicabili, di regola, anche in ambito condominiale, purché la relativa osservanza sia compatibile con la particolare struttura dell'edificio condominiale".
Ne deriva che, qualora via sia un contrasto tra le norme sulle distanze legali e quelle inerenti l'uso della cosa comune, prevalgono quest'ultime, anche in considerazione e tenuto conto del tipo di intervento cui l'utilizzo è propedeutico, quale quello di adeguare gli impianti presenti nell'immobile, con la installazione di un condizionatore, per un migliore godimento e fruizione dello stesso.
Nella vertenza de qua, dalla documentazione prodotta in giudizio, è emerso che l'apposizione dell'unità esterna dell'impianto, sul muro perimetrale della facciata, non incorre nei divieti di cui all'art. 1102 c.c. sopra indicati e, neppure, risulta disattesa la distanza di due metri dalle finestre di cui al Regolamento Edilizio vigente.
In ultimo, la censura sollevata con riferimento ad una compromissione del decoro architettonico dell'edificio non trova corrispondenza in quanto era già presente sul medesimo muro perimetrale altra unità esterna, nonché tubazioni e serramenti in alluminio, ragione per cui non appare sussistente, né provato alcun pregiudizio.
Alla luce delle suddette osservazioni e rilievi, la Corte d'Appello ha ritenuto infondate le obiezioni e doglianze mosse, non essendo stata ravvisato, rispetto allo stato dei luoghi ed alla loro funzione, alcun pregiudizio né al pari uso della parete perimetrale, né all'aspetto del fabbricato.