Non vi è dubbio che la legislazione relativa ai portatori di handicap (e in particolare la Legge n. 13 del 09/01/1989, recante "Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati" e la Legge n. 104 del 05/02/1992, "Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate") non si è limitata ad innalzare il livello di tutela in favore di tali soggetti, ma ha segnato un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, tali da dover essere assunti dall'intera collettività.
In particolare si può osservare che con le leggi sopra citate sono state, infatti, introdotte disposizioni generali per la costruzione di edifici privati e per la ristrutturazione di quelli preesistenti, intese alla eliminazione delle barriere architettoniche, indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte delle persone disabili.
È vero che tali prescrizioni, e la qualificazione in termini di essenzialità della presenza dell'ascensore negli edifici con più di tre livelli che ne consegue, sono dal legislatore imposte per i nuovi edifici o per la ristrutturazione di interi edifici, mentre per gli edifici privati esistenti valgono le disposizioni di cui alla Legge n. 13/1989, art. 2. È ormai pacifico però che l'esistenza dell'ascensore possa senz'altro ritenersi funzionale ad assicurare la vivibilità dell'appartamento e rivesta pertanto carattere essenziale anche negli edifici esistenti.
I limiti invalicabili della delibera assembleare: la stabilità e sicurezza del fabbricato
L'art. 10 comma 3 Legge n. 120/20, c.d. Decreto Semplificazioni, ha stabilito che le deliberazioni relative alle innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'articolo 27,primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all'articolo 1, primo comma, del D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 (ora D.P.R. 24 luglio 1996, n. 503), nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all'interno degli edifici privati, del codice sono approvate dall'assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dal secondo comma dell' articolo 1120 civile. Le innovazioni di cui al presente comma non sono considerate in alcun caso di carattere voluttuario ai sensi dell'articolo 1121 primo comma del codice civile.
Per la loro realizzazione resta fermo unicamente il divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, di cui al quarto comma dell'articolo 1120 del codice civile". Rispetto alle altre innovazioni, quindi, gli unici limiti agli interventi per l'eliminazione delle barriere architettoniche sono la stabilità e sicurezza del fabbricato. Si evidenzia che l'autorità giudiziaria non può obbligare il condominio ad eseguire i lavori alternativi indicati dal CTU perché ciò rientra nel potere esclusivo dell'assemblea, ma deve limitarsi a verificare la legittimità del progetto.
Il problema "riduzione scale" dei caseggiati esistenti
Come è stato affermato l'installazione di un ascensore non è un intervento di ristrutturazione ma è classificato come intervento edilizio di manutenzione straordinaria ai sensi dell'art. 3 del D.P.R. 380/2001 e non è pertanto soggetto alla normativa antincendio, D.M. 246/87, che impone la misura minima delle scale, dell'ascensore e delle porte di piano, applicabile solo ad edifici di nuova costruzione o per edifici esistenti oggetto di ristrutturazione (Trib. Roma 13 marzo 2024 n. 4585).
È stata ritenuta legittima la realizzazione del vano corsa dell'ascensore, attraverso modifiche dimensionali dei rampanti della scala, mediante taglio, con conseguente riduzione della larghezza delle scale pari a 86 cm (Trib. Torre Annunziata 10 maggio 2019, n. 1156).
Tenendo conto del principio di solidarietà è risultata legittima la riduzione delle scale alla larghezza di 80 centimetri, pur comportando un lieve aumento delle difficoltà di transito o di trasporto con barella (Trib. Roma 27 maggio 2016).
Ma è apparsa non contestabile pure l'installazione dell'impianto in questione anche quando la larghezza della scala rimasta a disposizione per il transito è risultata pari a 0,72 m (Cass. civ., sez. II, 05/08/2015, n. 16468: nel caso di specie è emerso, da un lato che una sedia a rotelle o una lettiga - barella sarebbero potute passare lungo le scale, dall'altro che nello stabile vivevano: condomini con disturbi alla deambulazione; una signora avanti con gli anni che non può utilizzare il proprio appartamento all'ultimo piano, non potendo fare le scale; un condomino infartuato con protesi tutoria; una signora di anni 90 impossibilitata ad uscire per l'impossibilità di usare le scale).
In ogni caso l'impossibilità di poter osservare, tenuto conto delle particolari caratteristiche dell'edificio, tutte le prescrizioni previste dalla normativa speciale in questione non può costituire comunque circostanza tale da comportare la totale inapplicabilità delle disposizioni di favore, finalizzate ad agevolare l'accesso agli immobili dei soggetti versanti in condizioni di minorazione fisica. È fondamentale, però, che l'intervento abbia comunque conseguito un risultato conforme alle finalità della legge, comportando una sensibile attenuazione delle condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione, rispetto alla precedente situazione (Cass. civ., sez. II, 26/07/2013 n. 18147).