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Recesso dell'inquilino, come fare?

Quando e in che modo l'inquilino può recedere anticipatamente dal contratto di locazione.
Dott.ssa Lucia Izzo 

Con il contratto di locazione le parti, locatore e conduttore, regolano il proprio rapporto ben potendo inserire al suo interno una serie di clausole nell'ambito della loro autonomia negoziale, ma che non possono spingersi al punto da prevedere statuizioni "contra legem".

La disciplina delle locazioni, in particolare, si rinviene all'interno del codice civile nonché in leggi specifiche tra cui la n. 392/1978 e la n. 431/1998.

La normativa regolamenta diversi aspetti, tra cui anche la durata della locazione, variabile in base al tipo di contratto (es. a canone libero, a canone concordato, contratti transitori).

Tuttavia, per varie ragioni, conduttore o locatore potrebbe avere necessità di recedere anticipatamente dal contratto d'affitto.

In generale, le norme sulla risoluzione anticipata mostrano maggiore favore nei confronti degli inquilini, trattandosi delle parti "deboli" del rapporto.

Come attuare una risoluzione consensuale del contratto di locazione

In caso di recesso anticipato, l'inquilino dovrà in primis consultare il contratto d'affitto in quanto al suo interno sono sovente inserite apposite disposizioni correlate proprio alla facoltà di disdetta, ad esempio inerenti i tempi e le modalità del preavviso, nonché le eventuali motivazioni che giustificano la risoluzione anticipata e che potranno essere ulteriori e diverse rispetto ai "gravi motivi" di cui alla Legge n. 392/1978.

Tali clausole convenzionali potrebbero, dunque, consentire la possibilità di recedere in qualsiasi momento, con il dovuto preavviso al conduttore che di solito è di almeno sei mesi o è un diverso termine stabilito dal contratto.

Particolarmente importante è la forma che dovrà rivestire la risoluzione consensuale dal contratto di affitto. Come noto, le locazioni abitative, se firmate a partire dall'entrata in vigore della legge n. 431/1998, richiedono la forma contrattuale scritta ad substantiam, dunque necessaria (cfr. SS.UU. n. 18214/2015).

Di conseguenza, si ritiene che anche l'accordo risolutorio del contratto locatizio debba rivestire la medesima forma stabilita per la sua stipulazione (cfr. Cass., n. 25126/2006), ovvero la forma scritta.

Secondo la giurisprudenza, tale requisito potrà dirsi soddisfatto esclusivamente in presenza di un documento che contenga l'espressa e specifica dichiarazione negoziale delle parti (cfr. Tribunale di Milano, sent. n. 2427/2018).

Recesso legale: diritti e modalità per l'inquilino

Indipendentemente dalle previsioni contrattuali e qualora non si raggiunga un accordo con il locatore per la risoluzione anticipata della locazione, viene in soccorso l'art. 3, comma 6, della Legge n 431/98.

Tale norma, infatti, consente al conduttore di recedere in qualsiasi momento dal contratto qualora ricorrano gravi motivi, con il solo obbligo di darne comunicazione al locatore con un preavviso di sei mesi. Quest'ultimo, come anticipato, rappresenta un termine derogabile da un'eventuale clausola inserita dalle parti nel contratto stesso.

In caso di c.d. recesso legale, dunque, l'inquilino sarà tenuto dunque a inviare al proprietario una raccomandata con ricevuta di ritorno, oppure una PEC, per comunicargli l'intenzione di rilasciare l'immobile trascorsi i sei mesi di preavviso e all'interno della quale andranno indicati i gravi motivi che determinano il recesso.

Sino alla scadenza, dovranno essere pagati i canoni d'affitto a meno di non accordarsi per una consegna anticipata dell'immobile.

Sfratto dell'inquilino che non paga: dopo quanto tempo?

Le legge non fornisce un'elencazione dei "gravi motivi" che giustificano l'anticipato recesso dell'inquilino. Nonostante la genericità della formula, si ritiene debba trattarsi di situazioni involontarie e imprevedibili, nonché sopravvenute alla conclusione del contratto.

Lo conferma l'orientamento giurisprudenziale prevalente secondo cui "i gravi motivi" che consentono, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il recesso del conduttore dal contratto di locazione, ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 4 e 27, devono essere determinati da fatti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendergli oltremodo gravosa la sua prosecuzione (cfr. Cass. n. 12291/2014).

Altra facoltà di recesso stabilità dalla legge è quella di cui all'art. 1613 che contempla una disciplina di favore nei confronti degli impiegati pubblici. La norma consente agli impiegati delle pubbliche amministrazioni, nonostante patto contrario, di recedere dal contratto nel caso di trasferimento, purché questo non sia stato disposto su loro domanda.

Tale facoltà si esercita mediante disdetta motivata, e il recesso ha effetto dal secondo mese successivo a quello in corso alla data della disdetta.

Conseguenze del recesso senza preavviso per l'inquilino

Il recesso andrà dunque effettuato nei modi e nei termini previsti dalla legge o dal contratto. Il termine di preavviso risulta importante in quanto stabilito a tutela del locatore, affinché questi possa organizzarsi per tempo ed eventualmente rilocare l'immobile.

Il mancato rispetto del termine di preavviso, dunque, ha rilevanti conseguenze, tra cui il pagamento dei canoni mensili pari al periodo del mancato preavviso, nonostante sia già stato rilasciato l'immobile.

Risoluzione anticipata del contratto di locazione se l'inquilino viola il regolamento di condominio

Si ritiene, infatti, che il recesso esercitato dal conduttore produca effetti, determinando la cessazione della locazione, dalla scadenza del termine semestrale o altro termine di preavviso previsto in contratto. Dunque, fino a tale termine il conduttore sarà tenuto a versare i canoni, indipendentemente dal momento (eventualmente anteriore) di materiale rilascio dell'immobile (cfr. Cass. n. 1942/2016).

Ancora, si ritiene che il recesso senza il dovuto preavviso sia idoneo a determinare il risarcimento dei danni subiti dal locatore quali conseguenza immediata e diretta dell'evento risolutivo.

L'orientamento giurisprudenziale prevalente (cfr. Cass.. n. 2865 del 2015), prevede il diritto del locatore a vedersi risarcito il danno da lucro cessante, ovvero quello dovuto alla "mancata percezione di un canone mensile, nel periodo successivo al rilascio per effetto della pronuncia risolutiva, dipesa da causa diversa dalla volontà del locatore di non locare nuovamente l'immobile".

Difatti, l'art. 1453 c.c. "facendo salvo, in ogni caso, il diritto della parte adempiente, che chiede la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, al risarcimento dei danni - ricomprende, tra i danni risarcibili, anche il mancato guadagno, se e in quanto costituisca conseguenza immediata e diretta ex art. 1223 c.c. dell'evento risolutivo" (cfr. Cass. n. 530/2014).

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