Le tabelle millesimali sono lo specchio delle proprietà di ciascun condomino, espresse in modo aritmetico in modo tale da semplificare le operazioni di suddivisione delle spese.
Proprio per via della loro importanza, il codice civile (art. 69 dis. att.) stabilisce particolari regole affinché si possa procedere alla loro revisione; il principio è essenzialmente il seguente: i valori espressi nella tabella millesimale possono essere rettificati o modificati all'unanimità, salvo i casi in cui risulta che sono conseguenza di un errore oppure, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino.
Un recente arresto giurisprudenziale (Trib. Pavia, 8 aprile 2021 n. 479) ha ben illustrato quale sia la differenza tra contestazione delle delibere e delle tabelle.
Secondo la sentenza in commento, l'impugnazione per nullità o annullabilità della delibera assembleare con cui il condominio ha approvato le modifiche alle tabelle millesimali (come predisposte nella relazione del tecnico incaricato) è altro dall'impugnazione delle tabelle stesse.
La distinzione è di assoluta rilevanza sia per la legittimazione ad agire in giudizio, sia per i vizi che possono essere fatti valere. Approfondiamo questi aspetti analizzando la sentenza del Tribunale di Pavia con cui sono state ben definite le differenze tra impugnazione delle delibere e impugnazione della revisione delle tabelle.
Contestazione delle tabelle millesimali: un esempio pratico
Un condominio veniva citato innanzi al Tribunale di Pavia affinché il giudice si pronunciasse sull'erroneità dei criteri di calcolo utilizzati dal tecnico incaricato per la modifica delle tabelle millesimali preesistenti.
A dire dell'attore, nella modifica delle tabelle oggetto di impugnazione non si sarebbero correttamente considerati alcuni interventi edilizi, come il mutamento della destinazione d'uso a cantina e la realizzazione di autorimesse nei locali al piano terra ricavati dal frazionamento.
Si costituiva in giudizio il condominio chiedendo il rigetto integrale della domanda attorea.
Alla luce delle richieste, il giudice nominava un Ctu affinché valutasse se vi fosse un'obiettiva differenza tra il valore effettivo delle unità immobiliari del condominio e quello previsto nelle tabelle.
Il procedimento terminava con il parziale accoglimento della domanda attorea, con conseguente ordine impartito al condominio di modificare le tabelle così come risultanti a seguito della perizia del Ctu.
Differenze tra impugnazione delibere e impugnazione tabelle
Il Tribunale di Pavia, con la sentenza in commento (8 aprile 2021 n. 479), approfitta del caso sottoposto alla propria attenzione per ripercorrere le differenze tra l'impugnazione, per nullità o annullabilità, delle delibere assembleari e l'impugnazione delle tabelle millesimali modificate ex art. 69 disp. att. c.c. al fine di ottenere una revisione giudiziale dei valori ivi espressi in proporzione al valore reale delle singole unità immobiliari.
Innanzitutto, l'impugnazione della delibera ex art. 1137 c.c. presuppone che il soggetto legittimato a proporre l'azione sia necessariamente un condomino assente, dissenziente o astenuto.
In secondo luogo, sono ben noti i termini per impugnare una delibera annullabile: appena trenta giorni, con decorrenza dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.
Ricollegandosi a un consolidato orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cass. civ, sez. II, 11.7.2012, n. 11757), il Tribunale di Pavia ricorda come «l'impugnazione della delibera di approvazione di nuove tabelle millesimali non trae fondamento dall'errore iniziale (art. 69, co. 2 n. 1 disp. att. c.c.) o dalla sopravvenuta sproporzione dei valori del prospetto (art. 69, co. 2 n. 2 disp. att. c.c.), ma da vizi concernenti l'atto e la sua formazione», rimanendo così estraneo al giudizio di impugnazione ex art. 1137 c.c. ogni profilo non attinente alla validità dell'atto collegiale.
In altre parole, impugnare la delibera di approvazione delle nuove tabelle millesimali ai sensi dell'art. 1137 c.c. significa contestare la decisione sotto il punto di vista di vizi quali, ad esempio, la regolare costituzione dell'assemblea, il procedimento di convocazione o di informazione della stessa, il rispetto della maggioranza qualificata, ecc.
Al contrario, come ricordato anche dalla Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, sent. n. 27159/2018) «tutto ciò che inerisce agli errori o alle mutate condizioni fra il valore effettivo delle unità immobiliari e quello tabellarmente assegnato, costituisce oggetto del diverso giudizio di revisione o modifica delle tabelle millesimali approvate, ai sensi dell'art. 69 disp. att. c.c.»
Tale giudizio può essere introdotto anche su interesse del singolo condomino, allorché alle rettifiche o modificazioni richieste non ha ritenuto di provvedere l'assemblea condominiale con deliberazione a maggioranza qualificata ex art. 1136, co. 2 c.c., ovvero abbia ciononostante provveduto pur in assenza dei presupposti previsti dalla legge.
Atto di approvazione tabelle millesimali: natura giuridica
Chiarita la distinzione tra impugnazione della delibera (soggetta ai limiti di cui all'art. 1137 c.c.) e impugnazione delle tabelle millesimali (il cui addentellato normativo è rinvenibile nell'art. 69 disp. att. c.c.), il Tribunale di Pavia prosegue la sua argomentazione soffermandosi brevemente sulla natura giuridica dell'atto di approvazione delle tabelle millesimali.
Richiamando il costante orientamento giurisprudenziale (Cass. civ, sez. VI, n. 30392/2019), il giudice lombardo ricorda come l'atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, normalmente non ha natura negoziale e pertanto non richiede, ai fini della validità della deliberazione, il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, co. 2, c.c.
Secondo il Tribunale di Pavia, «ciò si spiega in quanto i condòmini, quando approvano i valori delle unità immobiliari espressi in tabella, non fanno altro che riconoscere l'esattezza delle operazioni di calcolo eseguite secondo i criteri matematici espressivi della proporzione tra il valore della proprietà e quello del fabbricato, in osservanza delle previsioni di legge (art. 1118, 1123 c.c e art. 68 disp.att.c.c.), integrate ove non derogate da leggi speciali».
È la legge, dunque, a costituire la fonte immediata dell'obbligo contributivo e di riparto delle spese e non l'atto di approvazione tabellare dell'assemblea (o il regolamento di condominio che la contiene) che, di tale obbligo, ne fa traduzione in millesimi e riconoscimento attuativo.
Secondo la Suprema Corte (Cass., S.U., sent. n. 18477/2010) «Il fine dei condòmini è solo di quello di prendere atto della traduzione in frazioni millesimali di un rapporto di valori preesistente e per conseguire questo scopo non occorre un negozio il cui schema contempla come intento tipico l'eliminazione dell'incertezza mediante accertamento e declaratoria della situazione preesistente».
Ne consegue che l'errore il quale, ai sensi dell'art. 69, co. 2 n. 1), disp. att. c.c., giustifica la rettifica o modifica delle tabelle millesimali, non coincide con l'errore-vizio del consenso di matrice contrattuale (artt. 1428 ss. c.c.), quanto piuttosto con l'obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito.
Ha invece natura contrattuale l'adozione di una tabella millesimale da cui risulti espressamente, in modo chiaro e non equivoco, che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese ex art. 1123, co. 1, c.c. mediante diversa convenzione, che può essere contenuta, appunto, o nel regolamento condominiale (che perciò si definisce "di natura contrattuale") o in una deliberazione dell'assemblea che, solo in tal caso, va approvata all'unanimità a pena di radicale nullità.
Di conseguenza, è imposta a pena di nullità l'approvazione di tutti i condòmini solo per le delibere dell'assemblea di condominio con le quali siano stabiliti i criteri di ripartizione delle spese in deroga a quelli dettati dall'art. 1123 c.c., oppure siano modificati i criteri fissati in precedenza in un regolamento contrattuale.
Revisione delle tabelle millesimali: aspetti processuali e legittimazione
Quanto appena detto ha importati riverberi anche su alcuni aspetti processuali, i più importanti dei quali sono quelli inerenti alla legittimazione passiva dell'amministratore e l'eventuale litisconsorzio necessario.
Come ha ricordato una recente sentenza della Suprema Corte (sentenza n. 2635 pubblicata il 4 febbraio 2021), una volta affermato il fondamento assembleare, e non unanimistico, dell'approvazione delle tabelle, nessuna limitazione può sussistere in relazione alla legittimazione dal lato passivo dell'amministratore per qualsiasi azione, ai sensi dell'art. 1131, comma 2, c.c., volta alla determinazione giudiziale o alla revisione di una tabella millesimale che consenta la distribuzione proporzionale delle spese in applicazione aritmetica dei criteri legali.
Poiché la controversia rientra tra le attribuzioni dell'amministratore stabilite dall'art. 1130 c.c. e nei correlati poteri rappresentativi processuali dello stesso, non v'è alcuna necessità del litisconsorzio di tutti i condomini.
Riconosciuta, nella sostanza, la competenza dell'assemblea in ordine all'approvazione ed alla revisione delle tabelle millesimali, non vi sono dubbi che la rappresentanza giudiziale del condominio spetti solamente all'amministratore.
Tale conclusione è ovviamente condivisa anche dal Tribunale di Pavia, il quale ritiene correttamente instaurato il contraddittorio con la sola chiamata in giudizio del rappresentante della compagine.
Infine, il Tribunale lombardo, con la sentenza in commento, rammenta che al singolo condomino non è riconosciuto un diritto incondizionato di richiedere all'assemblea la modifica delle tabelle millesimali o di ottenerne la revisione per via giudiziale, in quanto la revisione ex art. 69 disp. att. c.c. è subordinata all'esistenza di uno o di entrambi i presupposti ivi indicati, necessariamente di carattere oggettivo e verificabile, con onere della prova della sussistenza delle condizioni che legittimano la modifica ricadente.
Solo al ricorrere di tali condizioni il giudice adito, preso atto dell'effettiva necessità di modificare le tabelle, può, con sentenza avente effetti costitutivi (ex nunc e non ex tunc) eliminare gli errori riscontrati (purché allegati e provati) nelle tabelle impugnate e che si concretino in discrepanze tra i valori attribuiti e quelli effettivi.