La preoccupazione maggiore per l'amministratore di condominio è diventata quella del recupero delle quote condominiali, anche perché il protrarsi della crisi economica italiana non favorisce per nulla l'adempimento spontaneo da parte dei condòmini morosi.
Infatti, di fronte all'escalation della morosità nel pagamento delle quote condominiali, si registrano le difficoltà quotidiane degli amministratori, che devono fare i conti con gli obblighi imposti dalla legge per il recupero dei crediti.
È noto che l'amministratore, ai sensi dell'art 1130 c.c., è obbligato a riscuotere i contributi condominiali ed ai sensi dell'art. 1129 c.c., è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell'art. 63, comma 1, disp. att. c.c.; peraltro, qualora ometta di curare diligentemente l'azione giudiziaria e la conseguente esecuzione coattiva nei confronti del condomino moroso incorre in responsabilità per grave irregolarità, atte a legittimare la sua revoca dall'incarico.
Più precisamente il primo comma dell'art. 63 disp. att. c.c. dispone, che per la riscossione dei contributi, in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione.
Tali norme, seppure lodevoli negli intenti, nella pratica comportano serie problematiche applicative per l'amministratore, soprattutto nei casi in cui il condominio, decorso il termine utile per il pagamento stabilito nell'atto di precetto, con il quale intima al moroso il pagamento della somma dovuta sulla base del decreto ingiuntivo esecutivo, decida di intraprendere una procedura di esecuzione immobiliare, trovandosi successivamente in “compagnia” di altri creditori.
Ciò si verifica perché, ai sensi dell'art. 493 c.p.c., un unico bene, sul quale è stato compiuto un pignoramento, può essere asservito al pignoramento di più creditori e ogni singolo atto esecutivo produce effetti indipendenti, seppure risulta essere congiunto agli altri nello stesso processo.
Attenzione però, perché nel caso in cui fra i creditori del condomino moroso ci sia anche l'agente della riscossione dei tributi e dei crediti della pubblica amministrazione, addio principio di par condicio creditorum, ovvero il principio secondo il quale i creditori hanno eguali diritti a essere soddisfatti dalla distribuzione del ricavato dell'espropriazione di determinati beni.
In proposito i giudici della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 5255/1993, hanno affermato che “l'espropriazione immobiliare esattoriale disciplinata dagli artt. 46 e seguenti del D.P.R. 602/1973 costituisce un procedimento esecutivo speciale che deroga alle disposizioni dettate dal codice civile”.
Nello specifico l'art. 51 D.P.R. 602/1973, che disciplina la “surroga del concessionario in procedimenti esecutivi già iniziati”, prevede che “la procedura speciale tributaria può essere avviata anche nei confronti di un debitore che sta subendo una procedura ordinaria iniziata da un creditore privato e, in tali ipotesi, l'agente della riscossione si può surrogare al creditore procedente instaurando l'esecuzione speciale in luogo di quella ordinaria, che dunque si estingue”.
In altre parole, dopo che l'assemblea condominiale ha iniziato un'esecuzione immobiliare lunga e costosa, rischia che, nell'ambito della procedura esecutiva instaurata contro il condomino moroso, intervenga il concessionario della pubblica amministrazione a chiedere di essere soddisfatto, con preferenza, del proprio credito, sulla scorta del fatto che i crediti tributari rivestono un ruolo “privilegiato”, e ciò anche se interviene tardivamente nella stessa procedura, cioè dopo l'udienza che dispone la vendita, in quanto il loro intervento verrà considerato al pari di un intervento tempestivo.
A ciò si aggiunga che anche in presenza di un'ipoteca trascritta da altri creditori del condomino moroso, come ad esempio nel caso di una banca che abbia concesso il mutuo per l'acquisto dell'immobile, al momento del riparto dei crediti ricavati dalla vendita dell'immobile i creditori ipotecari saranno “privilegiati” e quindi soddisfatti per primi rispetto al condominio.
Tutto ciò in danno del condominio, che non godendo di un privilegio, rischia di vedere svanire la speranza di recuperare per intero il proprio credito, nel caso in cui il ricavato dalla vendita all'asta non sia sufficiente a soddisfare tutti i creditori in sede di distribuzione.
Ma nel caso di un immobile pignorato o sequestrato, a chi compete pagare le spese ordinarie di condominio o quelle di manutenzione straordinaria dell'immobile oggetto di esecuzione forzata e pignoramento.
In via preliminare si evidenzia che il pignoramento, ai sensi dell'art. 492 c.p.c., consiste nell'ingiunzione che l'ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da ogni atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni che si assoggettano all'espropriazione, mentre il sequestro conservativo, che è disciplinato dall'art. 671 c.p.c., è, invece, un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale richiesto dal creditore al giudice, come misura cautelare e preventiva nelle more di un giudizio di cognizione, qualora vi sia fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, intanto che il creditore non ottenga un titolo giudiziale che gli consenta poi di procedere al pignoramento.
In questo contesto la risposta al quesito viene fornita dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 12877 del 22/06/2016, con la quale stabilisce che le spese necessarie alla conservazione dell'immobile esecutato e precisamente quelle “indissolubilmente finalizzate al mantenimento in fisica e giuridica esistenza dell'immobile pignorato” sono da considerarsi a carico del creditore procedente, alias il condominio in questo caso, salvo il rimborso successivo.
L'assunto dei giudici di cassazione muove dal presupposto che il creditore procedente o il terzo custode hanno tutto l'interesse alla conservazione dell'immobile e quindi attribuire le relative spese a carico del debitore "significherebbe porle a carico di un soggetto il più delle volte impossibilitato e comunque disinteressato".
Nello specifico le spese ricollegabili al “mantenimento in fisica e giuridica esistenza” dell'immobile sono da assimilare a quelle per la manutenzione straordinaria del fabbricato, che devono essere sostenute in prededuzione dal condominio procedente nell'esecuzione forzata contro il condomino moroso.
Naturalmente la prededuzione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 8, riguarda le spese conseguenti ad “atti necessari al processo”, pertanto le spese condominiali a carico del condominio procedente sono soltanto quelle sostenute dopo l'inizio della procedura esecutiva contro il moroso.
Per quanto riguarda, invece, le spese condominiali ordinarie, regolarmente approvate dall'assemblea di condominio, le stesse sono da considerarsi a carico del proprietario dell'immobile pignorato o sequestrato, e ciò indipendentemente dal fatto che il condomino pignorato non possa più accedere al proprio immobile e a prescindere dall'utilizzo delle cose comuni (Cass. n. 3354 del 19.02.2016).
Tale diversa pronuncia fa leva sulla necessità del condominio di assicurare la gestione dei beni comuni, cioè la sussistenza dello stesso ente di gestione, che vive attraverso le delibere assembleari di approvazione del rendiconto condominiale e del preventivo spese di ogni anno.
In proposito si osserva, comunque, che l'obbligo di contribuire alle spese condominiali per la conservazione dell'immobile e per il funzionamento dei servizi prescinde dall'approvazione di dette spese da parte dell'assemblea di condominio, in quanto il dovere di contribuire, tecnicamente, si configura come un'obligatio pròpter rem, che afferisce al bene e segue il bene nella sua circolazione.
Peraltro nel corso della procedura esecutiva è verosimile che il condomino esecutato non provveda a pagare alcunché al condominio, anzi, nei casi più gravi, provvede addirittura a danneggiare volutamente l'appartamento per disprezzo avverso lo stesso condominio.
Per tali ragioni l'assemblea condominiale di solito è costretta ad approvare, a malincuore, la costituzione di un fondo straordinario, ripartito fra tutti gli altri condòmini, con tabella di proprietà, allo scopo di anticipare le quote mancanti del moroso, che verranno restituite ai solventi all'esito del recupero del dovuto, con la chiusura della procedura esecutiva e con il pagamento delle spese condominiali successive all'esecuzione da parte del neo proprietario.
È ovvio che dal momento in cui il giudice dell'esecuzione emana il decreto di trasferimento della proprietà, che aggiudica l'immobile al miglior offerente dell'asta giudiziaria, il debitore non sarà più obbligato a pagare gli oneri condominiali, spogliandosi ufficialmente della qualifica di condomino.
Pertanto finché non si verifica il trasferimento della proprietà, il condomino pignorato dev'essere considerato a tutti gli effetti il proprietario dell'immobile.
Più precisamente occorre evidenziare che “l'acquisto di un bene da parte dell'aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario, ricollegandosi a un provvedimento del giudice dell'esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato” (Cass., n. 20037 del 22/09/2010).
È noto che il decreto di trasferimento dell'immobile acquistato all'asta giudiziaria non interferisce in alcun modo con le spese condominiali c.d. “propter rem” limitandosi soltanto a liberare l'immobile da pregressi pignoramenti, ipoteche e privilegi speciali in favore dei creditori (c.d. effetto “purgativo”).
La vendita all'asta, ai sensi dell'art. 586 c.p.c. e per la natura di obligatio pròpter rem, non libera quindi il nuovo proprietario dal pagamento dei contributi condominiali, anche per quote pregresse del proprio dante causa, regolarmente rendicontate, approvate dall'assemblea condominiale e non impugnate.
Colui che subentra nel condominio può soltanto rivalersi nei confronti del suo dante causa” (Cass. n. 12841 del 23/07/2012). È facile intuire che l'esito di tale regresso è pressoché impossibile, anche perché il condomino esecutato è raro che possa disporre delle risorse necessarie a rimborsare all'aggiudicatario le spese condominiali sostenute.
Per queste ragioni è consigliabile che i compratori di immobili all'asta contattino l'amministratore per informarsi sulle morosità che gravano sull'immobile pignorato, ciò al fine di poter associare al costo dell'aggiudicazione anche le spese condominiali pregresse, rispetto alla possibile data di emissione del decreto di trasferimento della proprietà.
In conclusione è utile che il condominio, attraverso il proprio legale, verifichi l'eventuale pendenza di procedimenti esecutivi a carico del condomino moroso nei confronti del quale intende procedere, ciò per essere sicuri di soddisfare il proprio credito, oppure provveda ad iscrivere apposita garanzia reale sull'immobile di proprietà del debitore, vale a dire la c.d. ipoteca giudiziale, che gli consente di essere privilegiato nel recupero del credito stesso, anche se tale garanzia sarà comunque subordinata a quelle eventualmente già trascritte da terzi.
Avv. Michele Orefice