Ogni condomino può intervenire sulle parti comuni a sue spese nei limiti di cui all'art. 1102 c.c. e in questo caso non è necessaria la previa autorizzazione assembleare. In ogni caso vanno rispettati i limiti imposti dalla norma in questione e dall'art. 1120 c.c. in tema di innovazioni.
Questo tanto per il condomino che per l'assemblea eventualmente chiamata ad autorizzare l'opera, la quale può rifiutarsi soltanto ove si riscontri una violazione di legge.
Queste le conclusioni che possono trarsi dalla recente sentenza n. 8452 del Tribunale di Roma, pubblicata lo scorso 11 giugno 2020.
Iniziativa personale del condomino e autorizzazione dell'assemblea.
Il Tribunale di Roma, evidenziando come nel caso di specie l'apertura di un varco in un muro portante dell'edificio sarebbe stata una spesa che avrebbe interamente sostenuto il condomino interessato, ha ritenuto che la questione dovesse essere inquadrata nell'ambito della disposizione di cui all'art. 1102 c.c., anche se l'attore aveva ritenuto di chiedere una preventiva autorizzazione all'assemblea condominiale.
A proposito di tale inquadramento il Giudice capitolino ha quindi richiamato quella giurisprudenza la quale ritiene che l'uso più intenso di beni comuni possa avvenire per iniziativa non solo assembleare (con imputazione dell'opera all'intera collettività, anche con riferimento alla ripartizione dei costi e quindi con applicazione dell'art. 1120 cc), ma anche di gruppi di condomini ovvero di un solo condomino, in questo caso con imputazione dell'opera e dei relativi costi ai soli comproprietari interessati e nel rispetto dei limiti di cui all'art. 1102 c.c.
Come evidenziato di recente dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 14294/2020, della quale si è già scritto in Condominioweb, vi è un evidente collegamento tra le innovazioni, disciplinate dall'art. 1120 c.c., e gli interventi di cui all'art. 1102 c.c., norma dettata in materia di comunione ma applicabile analogicamente anche al condominio.
Le innovazioni comportano infatti necessariamente una modificazione del bene comune, in quanto dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento di esso.
Per tale motivo questa tipologia di interventi soggiace a una serie di limitazioni, previste dall'art. 1120 c.c., il quale riflette e specifica, sul peculiare terreno del condominio negli edifici, i limiti di cui all'art. 1102 c.c.
Per altro verso, le innovazioni di cui all'art. 1121 c.c., ossia quelle gravose e voluttuarie, sono consentite al singolo condominio a sue esclusive spese, sicché, allorquando non si faccia questione di costi da ripartire tra la collettività, torna applicabile la norma generale dell'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni.
A questo proposito si possono nuovamente richiamare le considerazioni espresse in Cass. civ., 5 aprile 1977, n. 1300, secondo cui la norma di cui all'art. 1120 c.c., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino per tutti i condomini delle spese, ripartite su base millesimale.
Ove invece non si faccia questione di spese, torna applicabile la norma generale dell'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni.
La validità della deliberazione che abbia negato al condomino l'autorizzazione all'esecuzione dell'intervento.
Ecco allora che giustamente in casi del genere - ove, lo si ripete, il condomino voglia utilizzare una parte comune nel proprio esclusivo interesse, sostenendone le relative spese, e intenda chiedere l'autorizzazione all'assemblea, invece che procedere direttamente all'intervento - il giudizio che abbia a oggetto la validità della conseguente deliberazione con cui sia stata negata tale possibilità al condominio deve muoversi per i medesimi sentieri, ossia valutare la conformità alla legge dell'intervento avuto di mira dal condomino.
In altri termini, il Giudice dovrà valutare se sia legittimo il rifiuto opposto dalla maggioranza dei condomini all'intervento che il singolo comproprietario avrebbe il diritto di realizzare a sue spese ex art. 1102 c.c.
È evidente come in tanto il diniego potrà essere considerato conforme a legge in quanto l'assemblea abbia correttamente invocato le limitazioni di cui alla disposizione in questione e le stesse abbiano un riscontro oggettivo nella realtà.
L'assemblea potrà quindi rifiutare un intervento siffatto soltanto ove risulti che lo stesso possa alterare la destinazione del bene comune o impedirne il pari uso, oppure, ex art. 1120 c.c., possa recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o alterarne il decoro architettonico.
L'esame tecnico dell'intervento avuto di mira dal condomino.
Nella specie il Tribunale di Roma ha quindi dato mandato a un consulente tecnico di verificare se, alla stregua dei dati di fatto processualmente acquisiti, l'opera da eseguire, come rappresentata nel progetto presentato dal condomino confliggesse con i predetti divieti previsti dagli artt. 1102 e 1120 c.c.
Ebbene le conclusioni del CTU avevano consentito di verificare che la realizzazione di un nuovo vano porta fra la camera da letto e il bagno in uno dei muri portanti dell'edificio avrebbe arrecato conseguenze pregiudizievoli per la statica dell'edificio, in particolare in caso di sisma (e la zona dove è ubicato l'immobile era notoriamente sismica), atteso che la sua realizzazione a poca distanza da un preesistente vano finestra della camera da letto avrebbe trasformato "la porzione terminale dell'originaria parete portante del maschio murario in una sorta di esiguo pilastro inidoneo a sorreggere validamente, in caso di sollecitazioni, la parte dell'edificio superiore in quanto realizzato in muratura disordinata e pezzame di tufo, quindi non compatta e senza che fossero state realizzate (per il pilastro) opere di consolidamento valide alla luce di quanto esaminato visivamente e documentalmente".
Inoltre non risultava che il pilastro fosse stato oggetto delle previste iniezioni di consolidamento a bassa pressione.
Il Tribunale di Roma ha evidenziato come sia sufficiente l'esistenza di un dubbio sulla tenuta statica di una parte di muro portante dell'edificio per ritenere l'intervento non conforme a legge e, quindi, pienamente legittima la delibera che abbia negato al condomino l'autorizzazione all'esecuzione dell'intervento.
Di qui il rigetto dell'impugnazione della delibera assembleare frapposta dal condomino interessato all'esecuzione dell'opera e la sua condanna alle spese di lite.