Se può reputarsi consentito al singolo condomino trarre un più intenso vantaggio dalla cosa comune, nella specie aumentando, con opportune opere, la capacità di coibentazione del sottotetto e, ove ne ricorrano i presupposti, utilizzando lo stesso per riporre mobili di esclusiva proprietà, allo stesso tempo, tuttavia, la segregazione di una parte del medesimo, non risultando funzionale allo scopo (del maggior legittimo godimento), deve reputarsi vietata.
È la conclusione cui perviene la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 18191 del 2 settembre 2020.
Controversia sulla chiusura del sottotetto condominiale
Il Tribunale di Torino, condannava due condomini all'abbattimento del muro eretto a divisione di una parte del sottotetto condominiale e al rilascio della porzione di quest'ultimo illegittimamente occupata dagli stessi.
La Corte d'Appello di Torino, rigettava l'impugnazione avanzata dai suddetti condomini. Invero, la sentenza d'appello accertava che i ricorrenti avevano segregato la parte di esso sovrastante il loro appartamento, mediante l'edificazione di una parete divisoria e la collocazione in essa di una porta d'accesso, assicurata da una fermatura, la cui chiave, oltre che in loro possesso, era stata messa a disposizione dell'amministratore di condominio.
Avverso la suddetta sentenza d'appello, i due condomini proponevano ricorso per Cassazione assumendo in sintesi:
- Di non aver mai inteso usurpare la porzione del sottotetto di cui si discute e non ne avevano mai negato la natura condominiale;
- Che quella porzione del sottotetto era stata ristrutturata al fine di eliminare le infiltrazioni d'umidità;
- Che la chiusura con la eretta parete non precludeva l'uso comune, essendo stata sin dall'inizio consegnata la chiave all'amministratore condominiale, tanto che si era avuto accesso per svolgere dei lavori di natura condominiale;
- Che l'uso più inteso da parte del singolo condomino della cosa comune era consentito dall'art.1102 c.c., stante che l'uso paritetico non importava l'uso identico e contemporaneo da parte di tutti i condomini;
- Che costituiva «una vuota illazione» l'affermazione della Corte di Torino, secondo la quale la chiave non escludeva la disponibilità esclusiva in favore dei ricorrenti;
- Che la cosa comune non era stata alterata, essendone rimasta immutata la funzione;
- Che gli attori non avevano interesse, ai sensi dell'art. 100 c.p.c., all'azione, poiché si trovavano nel possesso delle chiavi;
- Che la Corte locale, violando gli artt. 115 e 116 c.p.c., non aveva spiegato perché mai la divisione di una parte del sottotetto, accessibile liberamente mediante l'uso della chiave, avesse costituito un uso improprio, escludente quello degli altri condomini.
Uso del sottotetto condominiale, il riferimento normativo (art. 1102 c.c.)
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.
Uso e chiusura del sottotetto condominiale, la decisione
Con la pronuncia in esame, la Cassazione, dopo aver valutato come inconferente ogni riferimento a tutte le norme denunziate tranne quella di cui all'art. 1102 c.c. di cui però non condivide l'interpretazione data dai ricorrenti, fornisce una propria interpretazione di quest'ultima norma, riprendendo precedenti giurisprudenziali della stessa Corte.
Secondo il Collegio di legittimità, la nozione di pari uso della cosa comune, agli effetti dell'art. 1102 c.c., non va intesa nei termini di assoluta identità dell'utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario, in quanto l'identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio tra i condomini nel godimento dell'oggetto della comunione (ex multis, sez. 2, n. 7466, 14/4/2015, Rv. 635044); sicché, i limiti posti dall'art. 1102 c.c. all'uso della cosa comune da parte di ciascun condòmino - ossia il divieto di alterarne la destinazione e l'obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri comproprietari - non impediscono al singolo condomino, se rispettati, di servirsi del bene anche per fini esclusivamente propri e di trarne ogni possibile utilità (sez. 2, n. 6458, 6/3/2019, Rv. 652935).
Per i ricorrenti, la chiusura del sottotetto con la eretta parete non precludeva l'uso comune, essendo stata sin dall'inizio consegnata la chiave all'amministratore condominiale, tanto che si era avuto accesso per svolgere dei lavori di natura condominiale e che l'uso più intenso della cosa comune da parte del singolo condomino era consentita dall'art. 1102 c.c., stante che l'uso paritetico non importava l'uso identico e contemporaneo da parte di tutti i condomini.
Per i Giudici, i ricorrenti ben possono usufruire della maggiorata coibentazione e possono, nei limiti delineati, collocare beni mobili di loro esclusiva proprietà, senza necessità di segregare l'area. Una tale modifica, deve sottostare al rispetto della regola generale per le innovazioni (art. 1120 c.c.).