La stipula di un contratto a prestazioni corrispettive rappresenta, indubbiamente, la fonte delle obbligazioni che, in ragione delle pattuizioni convenute, scaturiscono su entrambe le parti.
Nel contesto negoziale dettato dalla autonomia dei contraenti assume, tra le più svariate clausole stabilite, certa rilevanza, quella relativa alla indicazione del termine per adempiere ai fini della valutazione del suo rispetto o meno con riferimento agli impegni assunti.
Che cosa accade, però, se non è indicata una scadenza?
Tale ipotesi è stata oggetto di compiuta indagine della Corte di Cassazione (Ordinanza n. 40988/2021) ove una vicenda giudiziaria sorta nel 1979 è stata "ereditata" di padre in figlio.
Appare indubbio, dunque, l'interesse del tema in esame anche per le chiare implicazioni che può generare in una pluralità di accordi ove il contratto preveda reciproche obbligazioni a carico dei soggetti coinvolti.
Il ritardo nell'adempimento del contratto oltre ogni limite di tolleranza: la vicenda
La controversia ha origine a seguito della conclusione, nel 1976, di un contratto non andato a buon fine in cui il proprietario di due unità immobiliari si era obbligato a riconoscere una percentuale sui proventi delle future vendite degli stessi in favore dell'altro stipulante all'uopo prevedendo che quest'ultimo avrebbe dovuto eseguire interventi di ristrutturazione fino alla concorrenza di una determinata somma.
La prima causa è stata promossa nel 1979 ed ha percorso i tre gradi di giudizio, ove avanti alla Corte di Cassazione, con sentenza emessa nel 1995, è stata riconosciuta e confermata la natura di associazione in partecipazione al rapporto negoziale dedotto, come scaturente dall'accordo sottoscritto, nonché è stata rigettata la domanda di risoluzione avanzata dalla parte che avrebbe dovuto eseguire i lavori di ristrutturazione.
Sulla base di tale pronuncia, nel 2004, l'erede del proprietario degli immobili de quibus ha promosso nuova azione giudiziale con la quale, in considerazione della prolungata condotta omissiva all'obbligo di ristrutturazione contrattualmente assunto, ha chiesto il risarcimento del danno o fissazione di un termine per l'adempimento.
Parte convenuta, ha eccepito la prescrizione formulando domanda di risoluzione per sopravvenuta eccessiva onerosità.
Dopo la pronuncia avanti al Tribunale con la quale era stata accolta la pretesa di risarcitoria, in sede di appello la sentenza è stata riformata motivando che (i) la precedente sentenza della medesima Corte aveva rigettato entrambe le domande di risoluzione per inadempimento, (ii) il Giudice di prime cure aveva rigettato la censura sulla prescrizione erroneamente ritenendo che le cause proposte avessero la medesima causa petendi (iii) dalla decisione della Cassazione era emerso che il proprietario degli immobili in questione era rimasto inerte per dieci anni.
Avverso detta sentenza è stato promosso giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, accolto per le ragioni e nei limiti di seguito esposti.
Termine di prescrizione del diritto potestativo alla risoluzione del contratto ed importanza dell'inadempimento
Per inquadrare l'argomento in esame è indefettibile procedere alla disamina dei motivi di censura illustrati nel ricorso, afferenti alla violazione e falsa applicazione degli artt. 2935, 2090 e 2946 c.c. ed accolti, seppur con velata riserva rispetto alla presente vertenza, dai Giudici di Legittimità.
Il fulcro della questione attiene al momento in cui può ritenersi individuato, in aderenza alle disposizioni e principi dettati in materia, il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione in stretta correlazione non già ad un qualunque inadempimento ma, chiaramente, a quello di "non scarsa importanza". tenuto conto della assenza di una pattuizione nel contratto in ordine al tempo della esecuzione della prestazione concordata e, per l'effetto, dovuta.
Ad avviso della ricorrente, in una ipotesi come quella appena descritta, il computo al fine della corretta e giusta applicazione della prescrizione potrà decorrere solo dal giorno nel quale il ritardo nell'inadempimento ecceda ogni limite di tolleranza, tenuto conto della assenza di una pattuizione nel contratto in ordine al tempo della esecuzione della prestazione concordata e, per l'effetto, dovuta.
La tesi proposta trova fondamento nel principio già affermato dai Giudici di Piazza Cavour per cui «In tema di prescrizione del diritto potestativo alla risoluzione del contratto per inadempimento il termine decorre, ai sensi dell'art. 2935 c.c., non dal momento in cui si verifica un qualunque inadempimento ma soltanto da quello in cui si realizza un inadempimento di non scarsa importanza avuto riguardo all'interesse della controparte, sicché nell'ipotesi di obbligazioni a termine incerto e non immediatamente eseguibili tale momento coincide con quello in cui il ritardo nell'adempimento eccede ogni limite di tolleranza» (Cassazione civile sez. II, 29/07/2003, n.11640).
Il cardine della contestata illegittima della decisione appellata concerne, quindi, la errata identificazione della data da cui poter assumere realizzato il ritardo nell'inadempimento oltre il limite di ogni tolleranza.
Ripercorrendo l'iter del primo procedimento insorto, invero, la sentenza della Cassazione era stata pubblicata nel 1995 e la citazione che ha dato inizio al presente era stata notificata nel 2004.
In considerazione del principio enunciato e del lasso temporale richiamato, non si poteva addurre alcuna prescrizione dei diritti fatti valere.
Sul punto, in linea generale - è giusto sottolinearlo - non si può che condividere l'assunto in sintesi riportato tenuto conto del fatto che la Corte d'Appello non ha proceduto, preventivamente, ad accertare il momento dal quale ravvisare il ritardo oltre ogni tolleranza, semplicemente presupponendolo stante il tempo trascorso dalla sottoscrizione dell'accordo (1976) e la proposizione della domanda (2004) con la quale l'inadempimento è stato dedotto.
Al contempo, nella motivazione, si rappresenta come, qualora non sia stato stabilito dalle parti alcun termine, non ricorre alcun obbligo di diffida ad adempiere e costituzione in mora in quanto è sufficiente, per soddisfare la corretta applicazione del principio, l'avvenuta decorrenza di un congruo periodo dalla conclusione del contratto tale da attendere ad al superamento di ogni limite di tolleranza.
Con tali argomentazioni, la Corte di Cassazione, pur evidenziando che un trentennio può assurgere a circostanza sintomatica, che potrebbe dare adito alla individuazione di detto limite, costituito da un ritardo intollerabile tale da realizzare un grave inadempimento, anche in un'epoca anteriore al decennio prescrizionale, ritiene che tale valutazione possa essere condotta solo dal giudice di merito.
Sulla scorta di tale assunto, la sentenza è stata cassata con rinvio alla Corte d'Appello.