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Come si esercita il riscatto del conduttore?

Il diritto di riscatto del conduttore e le sue implicazioni legali: analisi delle condizioni per esercitare il riscatto e le conseguenze in caso di mancato adempimento da parte del locatore.
Avv. Anna Nicola 
20 Apr, 2022

La fattispecie ha interessato la Suprema Corte n. 10136 del 29 marzo 2022.

Diritto di riscatto del conduttore: analisi della situazione

Il conduttore agisce in giudizio facendo valere il suo diritto di riscatto avendo il locatore venduto il bene locato senza permettere al primo il suo diritto di essere preferito nella vendita dell'immobile e chiedendo altresì il risarcimento del danno subito.

Il Tribunale rigetta entrambe le domande asserendo che la comunicazione non vale quale esercizio di riscatto e che non sussistessero sufficienti elementi per ritenere che il mancato rispetto dell'obbligo di comunicazione da parte del locatore fosse dipeso da una condotta volta ad impedire volontariamente l'acquisto del bene da parte del conduttore.

L'appello conferma la decisione di primo grado.

Anche in sede di appello in merito alla domanda di risarcimento del danno, viene affermato che manca la prova che il venditore e il terzo acquirente avessero volontariamente posto in essere comportamenti tali da indurre il conduttore in inganno circa l'avvenuta vendita del bene e ad omettere i controlli presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari, essendo in particolare, a tal fine, insufficiente la mancata risposta da parte del locatore alla lettera.

La Corte di appello ha inoltre affermato che proprio l'avvenuta conoscenza da parte del conduttore dell'intenzione del locatore di alienare l'immobile e la mancata risposta a detta lettera avrebbero dovuto indurlo ad essere maggiormente vigile e ad effettuare una verifica presso l'Ufficio dei Registri Immobiliari per accertare la titolarità del bene.

Si giunge quindi in Cassazione.

Ci soffermiamo sulla domanda di risarcimento danni per non aver permesso il diritto di riscatto del conduttore.

La domanda di risarcimento del danno a seguito di decadenza dal riscatto

Secondo pacifico orientamento, il conduttore di un immobile ad uso non abitativo, ove sia decaduto dal diritto di esercitare il riscatto di cui all'art. 38 della legge 27 luglio 1978 n. 392, può domandare sia al venditore che al compratore il risarcimento del danno patito, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per effetto della decadenza, a condizione che ne dimostri la rispettiva malafede, cioè l'intento di tenerlo all'oscuro dell'avvenuto trasferimento; ciò in quanto, altrimenti, la possibilità del riscatto concessa al conduttore non consente, in mancanza della dimostrazione di un intento fraudolento diretto a impedirne l'esercizio, di riconoscere un nesso di causalità tra l'inadempimento dell'obbligo di denuntiatio ed il pregiudizio dell'interesse del conduttore all'acquisto dell'immobile (v. ex multis Cass. 30/08/2013, n. 19968; 03/07/2008, n. 18233; 21/05/2001, n. 6891; 02/04/1997, n. 2872; 26/05/1992, n. 6293; 16/05/1991, n. 5519).

È stato anche rilevato che la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito (v. Cass. n. 18233 del 2008).

Occorre al riguardo, però, precisare che l'insindacabilità attiene alla ricognizione della fattispecie concreta (censurabile come tale solo sul piano della motivazione e nei limiti dell'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.), non anche alla sua qualificazione giuridica.

Nel caso di specie, la corte territoriale ha giustificato il convincimento espresso circa l'impossibilità di correlare il mancato esercizio di tempestivo riscatto ad una condotta dei locatori volta a tenere il conduttore all'oscuro dell'avvenuta alienazione, con il rilievo della insufficienza dei dati fattuali accertati a dimostrare, oltre all'indubbia inosservanza dell'onere di denuntiatio incombente sul locatore (ma di per sé pacificamente insufficiente a fondare anche un obbligo risarcitorio nei confronti del conduttore), anche un intento fraudolento diretto a impedire l'esercizio del diritto di riscatto.

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Valutazione della lettera inviata dal conduttore ai locatori

Il ricorrente contesta tale valutazione, insistendo, di contro, nel porre l'accento sull'attribuire rilievo alla lettera inviata ai locatori per comunicare la propria intenzione di esercitare il diritto di prelazione (lettera però ricevuta dai destinatari successivamente alla vendita) ed alla mancata risposta ad essa da parte dei locatori.

Egli argomenta dalla combinazione di tali due condotte — una positiva, da parte del conduttore: l'invio della lettera; l'altra negativa da parte dei locatori: la mancata risposta a quella lettera, che facesse presente la già intervenuta vendita — nel senso che da esse potesse e dovesse trarsi: sia, da un lato, la malafede dei locatori che hanno omesso di palesare l'intervenuta vendita ben sapendo della volontà chiaramente espressa dal conduttore di far valere il proprio diritto di prelazione e, quindi, anche, ben potendo presumere la sua intenzione di riscattare l'immobile; sia, dall'altro, l'idoneità di tale condotta dei locatori a giustificare il convincimento del conduttore che essa dipendesse dalla non ancora maturata volontà di vendere l'immobile.

La Corte osserva che si tratta di una quaestio facti, e non di una quaestio iuris.

Pacifica essendo l'esattezza della ricognizione fattuale operata in sentenza quel che si prospetta è solo la falsa applicazione del principio richiamato sotto il profilo dell'erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso (v. Cass. 31/05/2018, n. 13747; 23/08/2018, n. 20975).

Occorre muovere dal rilievo che il silenzio serbato dai locatori, successivamente alla già operata vendita, a fronte della manifestazione espressa dell'interesse del conduttore ad acquisire l'immobile, non viola alcun obbligo giuridico.

L'unico obbligo imposto al locatore che intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile locato è, a termini dell'art. 38 legge 27 luglio 1978, n. 392, quello di «darne comunicazione al conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario» (c.d. denuntiatio).

Da questo danno non vi è alcun ulteriore scampo legislativo

Obbligo di interpello prima della vendita dell’immobile

Si tratta, secondo consolidata interpretazione, di un obbligo legale di interpello, vincolato nella forma e nel contenuto, diretto a mettere il conduttore nella condizione di esercitare il diritto di prelazione, ove ne sussistano i presupposti (Cass. Sez. U. 04/12/1989, n. 5359).

Esso però si colloca, evidentemente, anteriormente alla vendita, la quale, se effettuata in favore di terzi senza essere preceduta dal detto interpello, segna, di quell'obbligo, il definitivo inadempimento. La sanzione di tale inadempimento è, nel sistema della legge, (solo) il diritto di riscatto, da esercitare nelle forme e nei termini previsti dall'art. 39 l. cit. (sei mesi dalla trascrizione del contratto); reazione tipica ed altresì unica, nel senso che non è sostituibile con una sanzione diversa: in caso di vendita a terzi, al conduttore pretermesso è data la possibilità di riscattare l'immobile, «non esiste, invece, un 'rimedio attuativo' dell'obbligo di preferire che, in difetto dell'osservanza delle prescrizioni dell'art. 38 I. n. 392/1978, consenta al conduttore un trasferimento diretto, senza dover attendere il momento "sanzionatorio" dell'esercizio del riscatto» (così Cass. 15 26/10/2017, n. 25415).

Conseguenze del mancato interpello nella vendita

Una volta, dunque, che si verifichi il mancato interpello e la vendita a terzi, la fattispecie trasmigra nell'orbita del possibile riscatto e, dunque, della disciplina dettata dall'art. 39 l. cit., la quale non prevede, né tanto meno sanziona, un nuovo ulteriore obbligo in capo al venditore (ex locatore) di comunicare al conduttore (non più ovviamente l'intenzione di vendere ma) la già avvenuta vendita.

Bilanciamento degli interessi tra conduttore e venditore

Del che del resto ben si comprende la ratio. Il favor conductoris si risolve, per chiara scelta legislativa, solo nella previsione a vantaggio del conduttore di un diritto di prelazione e del succedaneo diritto di riscatto.

La disciplina di quest'ultimo configura un meccanismo di tutela che, nell'affidare allo stesso conduttore l'iniziativa e nel sottoporla anche a ristretti limiti temporali, tiene conto evidentemente dell'esistenza del contrastante interesse del terzo acquirente e del venditore, ex locatore, alla stabilità degli effetti del negozio concluso (di per sé pienamente valido ed efficace): interesse questo che, in tal modo e per ciò stesso, è bensì considerato in posizione recessiva (e perciò destinato a soccombere al riscatto, alla stregua di una sanzione del comportamento inadempiente prima tenuto dal locatore) ma pur sempre meritevole di tutela, realizzata, per l'appunto, attraverso la previsione di limiti temporali entro i quali quella sanzione può determinarsi; ciò in una prospettiva, dunque, non di assoluta prevalenza di un interesse sull'altro, ma di equo bilanciamento.

Sentenza della Corte Costituzionale sul diritto di riscatto

Si rammenti, in proposito, che con sentenza n. 228 dell'8 maggio 1990 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 39, primo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, sollevata, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui fa decorrere il termine di decadenza di sei mesi per l'esercizio del diritto di riscatto dalla data di trascrizione del contratto di compravendita, per l'asserita riduzione delle possibilità del conduttore di tutelare il proprio diritto e per irrazionalità della scelta dell'indicato dies a quo. Tale decisione del giudice delle leggi si è fondata sul rilievo che «far decorrere il termine semestrale di decadenza del diritto di riscatto dalla effettiva conoscenza del conduttore dell'avvenuta compravendita a lui non denunziata o, se denunziata, con indicazione di prezzo maggiorato che lo ha distolto dall'esercitare il diritto di prelazione, significherebbe spingere il favor conductoris fino a creare incertezza e intralcio al traffico commerciale degli immobili, restando il terzo acquirente permanentemente esposto per un tempo indeterminato all'esercizio del diritto di riscatto del conduttore».

«Imporre d'altra parte al terzo acquirente un onere di comunicazione verso il conduttore a supplenza della mancata denuntiatio del locatore-venditore postulerebbe un vizio del trasferimento qualora esso non fosse adempiuto.

Si tratta, come ognun vede, di operazioni di ricostruzione della norma che richiedono ponderazione di interessi sociali riservata al legislatore».

Se ne ricava, dunque, che l'esercizio del diritto di riscatto è affidato esclusivamente ad una iniziativa del conduttore, senza la previsione di alcun onere fattivo di cooperazione del venditore (ex locatore) o dell'acquirente, e ciò anche nel momento dell'acquisizione della conoscenza dell'avvenuta vendita, presumendosi che ad ottenere la stessa sia sufficiente (oltre che necessaria) la sola trascrizione del contratto e, dunque, la loro libera consultazione da parte dello stesso conduttore, per tal motivo essendo ritenuta legittima anche la sua designazione quale dies a quo del termine semestrale di decadenza del diritto medesimo.

Ciò premesso, appare altresì evidente — tornando al caso in esame — che la ricezione, successivamente alla vendita, della lettera del conduttore nulla aggiunge o toglie al quadro giuridico delineato.

Così come, se fosse stata ricevuta prima, essa nulla aggiungeva all'obbligo, già ex lege gravante sul locatore, della denuntiatio (tanto meno essa di per sé valendo a costituire l'effetto di un positivo esercizio del diritto di prelazione), allo stesso modo la sua ricezione successivamente alla vendita non vale a costituire, in mancanza di alcuna previsione di legge, un obbligo giuridico in capo all'ex locatore-venditore (né tanto meno in capo all'acquirente) di informare il mittente della già avvenuta vendita. Rispetto alla descritta ratio ispiratrice della disciplina speciale, non v'è ragione di ritenere che l'interesse del venditore e del terzo alla stabilità degli effetti del negozio, a tale disciplina sotteso nei termini detti, e il meccanismo prescelto per il loro bilanciamento, abbiano a subire una diversa considerazione e modulazione solo perché, con detta lettera, è divenuto espresso quel che quella disciplina già comunque considerava implicito: ossia l'interesse del conduttore a far valere il diritto di prelazione e, dunque, anche presumibilmente ad esercitare il succedaneo diritto di riscatto.

Tali premesse non possono non riverberarsi anche sul vaglio che si richiede di compiere circa la valenza che, nella diversa prospettiva extracontrattuale, a tale comportamento (ossia alla mancata risposta alla lettera del conduttore) si ipotizza debba attribuirsi come diretto e idoneo a impedire l'esercizio del diritto di riscatto.

Il descritto meccanismo implica che l'inadempimento del locatore all'obbligo legale della denuntiatio e poi l'inerzia, il silenzio o in genere la mancata cooperazione ai fini del succedaneo esercizio del diritto di riscatto non possano, di regola, considerarsi fonte di alcun obbligo risarcitorio nei confronti del conduttore il cui (eventuale) interesse all'acquisto, con diritto di prelazione, dell'immobile locato rimanga inattuato.

Ciò in ragione del fatto che il meccanismo di attuazione di tale interesse, rimesso e affidato, come detto, esclusivamente all'iniziativa ed alla diligenza dello stesso conduttore, è ritenuto di per sé pienamente idoneo e sufficiente a tal fine, discendendone, per converso, che l'inattuazione di quell'interesse deve di regola ritenersi causalmente imputabile allo stesso conduttore, inerte o negligente nell'attivare quelle iniziative che gli consentirebbero — nonostante il silenzio, l'inerzia o la mancata cooperazione dell'ex locatore — di realizzare ugualmente e pienamente il suo interesse.

È per tal motivo che, come s'è detto, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che una responsabilità risarcitoria del venditore (ex locatore) può configurarsi, a titolo extracontrattuale, solo a condizione che a quel nesso di causa se ne sovrapponga un altro, da dimostrarsi ovviamente dal conduttore, tale per cui l'inattuazione dell'interesse del conduttore possa considerarsi evento ricollegabile alla condotta preordinata a provocare l'evento medesimo, che, comportando un danno ingiusto, ha impedito l'esercizio di un diritto.

Il principio richiamato richiede dunque un quid pluris, un comportamento cioè diverso e più articolato del semplice silenzio; un contegno cioè che magari ricomprenda il silenzio o l'inerzia del locatore, ma che tuttavia sia anche in grado di attribuire ad essi, in ragione di altre circostanze, artificiosamente create, un significato diverso e univoco da quello meramente neutro che di per sé quelli hanno: un significato in grado di infondere oggettivamente e univocamente nel conduttore il convincimento che quella vendita non sia stata operata e comunque a indurlo a non attivarsi per effettuare le opportune visure.

Nel caso di specie successivi, vi fossero state occasioni d'incontro tra conduttore ed ex locatori idonee a rappresentar, la mancata risposta alla lettera del giugno 2001 avrebbe potuto, dunque, in tale prospettiva, essere portatrice di valore indiziario se, in ipotesi, nei mesi e — sia pure implicitamente, ma in modo univoco — l'apparente persistenza di qualità e rapporti identici a quelli anteriori alla vendita: ad es. se i venditori avessero continuato a riceversi canoni o altri oneri legati al rapporto locativo senza nulla dire (come ad es. nel caso considerato da Cass. n. 19968 del 2013, cit.).

Tanto non risulta affermato però neppure dal ricorrente, avendo anzi egli evidenziato che l'occasione nella quale i locatori ebbero a comunicargli l'intervenuta vendita a distanza di un anno dalla stessa fu quella del pagamento del canone «annuale», ovvero, è da intendere, del primo successivo alla vendita.

Non si fa neppure menzione di altre precedenti occasioni di incontro o interlocuzione con i locatori.

Non è, invece, condivisibile nella descritta prospettiva l'argomento secondo cui l'invio della predetta lettera del 1° giugno 2001 ai locatori autorizzava il conduttore ad avere certezza che la mancata risposta equivalesse a mancata concretizzazione dell'intenzione di vendita. Tale deduzione si appalesa del tutto generica, non è fondata su alcuna massima di esperienza o regola causale che possa giustificare una siffatta implicazione dalla mera mancata risposta; lo stesso ricorrente per corroborarla evoca gli ottimi rapporti tra le parti, i quali però costituiscono circostanza di fatto solo affermata ma mancante di alcun riscontro in quanto accertato in sentenza o in quanto comunque sottoposto a dibattito processuale (per cogliere il quale, comunque, sarebbe stata necessaria una denuncia, rispettosa dei connessi oneri di specificità, di omesso esame ex art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.: denuncia nella specie mancante).

Ad essa, quantomeno, è opponibile come altrettanto astrattamente valida l'implicazione che, in senso esattamente contrario, ne trae invece la corte d'appello: quella cioè che, proprio il silenzio serbato alla lettera, avrebbe potuto e dovuto consigliare il conduttore a compulsare i RR.II. per avere, in quel modo, certo e inconfutabile riscontro del fatto che quella intenzione di vendere, di cui lui stesso afferma di avere avuto notizia e che lo avevano spinto a inviare quella lettera, avesse, oppure no, avuto seguito.

Sentenza
Scarica Cass. 29 marzo 2022 n. 10136
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