Il caso: domanda di usucapione di alcune porzioni di beni comuni
L'oggetto del giudizio definito dalla Corte di appello di Perugia con la sentenza n. 275 in data 12 maggio 2025 è rappresentato dalla richiesta, avanzata da alcuni condomini, del riconoscimento, in loro favore, dell'intervenuta usucapione di due porzioni di aree comuni.
La prima era costituita da una parte di un cortile comune sulla quale erano stati edificati alcuni manufatti; la seconda, di dimensioni infinitesimali, consisteva nella base di una scala e di una colonna.
Gli attori rivendicavano il possesso, anche tramite i loro danti causa, delle aree de quibus per averle godute in modo continuativo, ininterrotto e pacifico per tutto il tempo necessario al maturare dell'usucapione. I convenuti, invece, si opponevano alla domanda, svolgendo domanda riconvenzionale di riduzione in pristino delle superfici e conseguente risarcimento.
In primo grado la causa era stata istruita documentalmente, con l'espletamento di prove testimoniali e di consulenza tecnica d'ufficio, al cui esito il Tribunale aveva accolto la domanda di usucapione ma solo per la porzione più piccola, condannando gli attori alla rimessione in pristino della ulteriore zona, oltre al pagamento di un risarcimento danni nei confronti delle parti convenute.
I soccombenti in sede di appello, per quanto di specifico interesse, insistevano per l'accoglimento della domanda di usucapione delle aree comuni non riconosciute. Sul punto il Collegio decideva in linea con quanto concluso dal Tribunale.
La decisione: confermata la sentenza di primo grado che aveva negato il maturare dell'usucapione in favore degli attori
La Corte di appello nel confermare la sentenza del Tribunale in merito alla domanda di usucapione ha trascritto parte testuale della motivazione ove si legge come "non fosse stata sufficientemente provata la circostanza che il possesso sia stato esercitato in modo inconciliabile con la possibilità del godimento altrui e tale da evidenziare un'inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus".
Conclusione fondata sul costante e consolidato orientamento giurisprudenziale, pienamente condiviso dalla stessa Corte, secondo il quale "deve ritenersi ammissibile l'acquisto per usucapione di un bene condominiale da parte di un comproprietario ogni volta che venga da questi esercitato un possesso sul bene che si caratterizzi in termini di esclusività, nel senso che non è sufficiente che gli altri comproprietari si siano astenuti dall'uso della cosa, ma occorre che chi invoca l'usucapione abbia goduto della cosa in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui" (Cass. 22 luglio 2003, n. 11419).
Una inconciliabilità che si manifesta tramite un "…dominio esclusivo dell'interessato attraverso un'attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della prova su chi invoca l'avvenuta usucapione del bene" (Cass. 27 luglio 2009, n. 17462) essendo non rilevante, a tale fine, "la semplice astensione degli altri condomini all'uso del bene" (Cass. 09 novembre 2021, n. 32808) .
Si tratta di principi di carattere generale che, applicati alla situazione accertata nel corso dell'istruttoria, hanno portato il Collegio a concludere che nella fattispecie mancavano i presupposti per accogliere la domanda di usucapione, sia per non avere gli attori fornito la prova in merito a quanto dagli stessi dedotto, sia per il fatto che i manufatti, che sarebbero stati installati sull'area comune dai rispettivi danti causa, erano precari, fatiscenti, in parte dismessi ed inutilizzati da anni, nonché addirittura rischiosi all'uso.
Il quadro probatorio, peraltro, aveva dimostrato che i luoghi al centro del contenzioso non potevano essere considerati inaccessibili ad altre persone (per assenza di un cancello e chiusura in modo precario, tramite utilizzo di filo di ferro, nonché per assenza di una vera recinzione) e che i manufatti, posti nel cortile comune, erano stati realizzati con il consenso ed in piena armonia degli altri comproprietari, talchè il possesso ad usucapionem non aveva mai iniziato a decorrere.
Il fondamento dell'usucapione di beni condominiali
L'usucapione, istituto disciplinato dall'art. 1158 c.c., rappresenta il modo per acquisire la proprietà di un bene attraverso un "comportamento "possessorio", continuato e non interrotto, inteso in modo inequivocabile ad esercitare sulla res, per tutto il periodo previsto dalla legge , un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di un diritto reale, manifestato con il compimento di atti conformi alla qualità ed alla destinazione del bene e tali da rivelare sullo stesso, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria, in contrapposizione all'inerzia del titolare" (Cass. 12 aprile 2010, n. 8662; Cass. 24 agosto 2006, n. 18392).
La particolarità della questione della quale ci stiamo occupando è data dal fatto che la domanda di usucapione non aveva come contraddittori due o più soggetti, ma interessava un ambito condominiale (pur se l'atto di citazione era stato, doverosamente, notificato a tutti i condomini) ed aveva ad oggetto non un bene privato ma un bene comune.
Al di là della necessità della presenza, anche nel condominio, di tutti i presupposti che il legislatore ha posto a presidio del diritto del proprietario/i a mantenere la contitolarità del bene comune, occorre porre l'accento sul fatto che, nella fattispecie, al concetto di possesso uti dominus è stato accostato quello di possesso uti condominus.
E, se andiamo a ben vedere, ci rendiamo conto come il binomio sia determinante, essendo il secondo connaturato alla partecipazione del soggetto alla compagine condominiale e, ai fini del riconoscimento del diritto di usucapione, deve subire una trasformazione nella sua sostanza per farlo coincidere con il primo.
I condomini, pro quota, vantano un diritto di compossesso sui beni comuni che viene esercitato diversamente a seconda che gli stessi, così come impianti e servizi, siano obiettivamente o soggettivamente utili alle singole comunità immobiliari, a cui sono collegati materialmente o per destinazione funzionale.
Tutti, quindi, ne beneficiano in forza di un diritto pro indiviso con il limite che non possono impedire o restringere il godimento spettante agli altri possessori.
Nel momento in cui questo si verifichi gli altri comproprietari possono esperire la azioni a difesa del compossesso per riportare la situazione allo stato quo ante (Cass. 17 ottobre 2017, n. 24471)
Fino a questo punto si rientra nel territorio del possesso uti condominus, ma nel momento in cui il singolo modifica la sua posizione, con riferimento all'animus possidendi ed al corpus, ed inizia a comportarsi secondo modalità precise, incontrovertibili e continuative, in modo da porsi nei confronti della compagine condominiale come l'effettivo proprietario di un determinato bene o porzione di esso, il possesso si trasforma in "possesso ad usucapionem".
Questo è quanto gli attori avrebbero dovuto dimostrare per vedere accolta la propria domanda ma i fatti sono andati diversamente.